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5 cose da sapere sull’anisakiasi, la malattia da ingestione di pesce crudo

Cosa provoca, come si manifesta e come prevenire questa infezione, sempre in agguato quando si consuma pesce crudo o non sufficientemente cotto.

L’anisakiasi, conosciuta anche con il nome di anisakidosi, è un’infezione parassitaria del tratto gastrointestinale causata da organismi classificati tra i nematodi e chiamati “vermi” nel linguaggio comune. Si tratta di piccoli animaletti caratterizzati da un corpo cilindrico non segmentato e da un tubo digerente dotato di due aperture, all’interno del quale il movimento del cibo è a senso unico.

I nematodi possono causare vari disturbi che colpiscono parti del corpo diverse a seconda della specie coinvolta, e l’anisakiasi è tra questi. Il primo caso di anisakiasi negli esseri umani venne descritto nel 1876 dallo zoologo e parassitologo tedesco Rudolf Leuckart.

1. Perché insorge

L’infezione è scatenata da nematodi appartenenti alla famiglia Anisakidae, che include le specie Anisakis simplex, Pseudoterranova decipiens e Contracaecum osculatum. Seguire il ciclo di vita di tali organismi, che nell’insieme sono indicati con il termine anisakis, può aiutarci a capire come possano costituire un pericolo per gli esseri umani.

Gli anisakis adulti vivono nella mucosa dello stomaco di alcuni animali, soprattutto mammiferi marini. Le uova prodotte dai parassiti vengono espulse dai mammiferi con le feci e si sviluppano in larve. Queste vengono ingerite da piccoli crostacei, a loro volta ingeriti da altri organismi marini, come per esempio pesci e calamari, e quindi, risalendo la catena trofica, da altri pesci più grandi e così via. Nel passaggio tra i vari ospiti lungo la catena alimentare le larve si sviluppano nello stadio adulto, finché, raggiunto un mammifero marino, danno nuovamente avvio al ciclo.

Può capitare, nel corso di questi passaggi, che le larve siano presenti in pesci o molluschi pescati per essere messi in commercio. Se consumati crudi o poco cotti, questi possono causare l’infezione e la conseguente malattia negli esseri umani.

2. Come si manifesta

Quando si ingeriscono inavvertitamente larve di anisakis attraverso l’alimentazione, in molti casi queste muoiono e non causano disturbi; in altri possono invece attaccare lo stomaco o l’intestino tenue dello sfortunato consumatore.

I sintomi dell’infezione gastrica si manifestano solitamente entro poche ore. Quando è coinvolto lo stomaco si avvertono dolore addominale, spesso localizzato alla bocca dello stomaco, nausea e vomito. L’infezione che colpisce l’intestino tenue è meno comune, e può causare febbre, aumento dei globuli bianchi nel sangue, nausea, vomito, diarrea, dolori addominali e addirittura emorragie nel caso in cui le larve riescano a perforare la mucosa gastrointestinale. In questo caso i sintomi si manifestano a una o due settimane di distanza dall’ingestione. Quando, in seguito a perforazione, le larve migrano in altre parti del corpo, dando origine a sintomi molto vari a seconda dell’organo interessato, si parla di anisakiasi ectopica.

Talvolta, nella forma cosiddetta gastroallergica, sono presenti manifestazioni allergiche di vario tipo (come orticaria e congiuntivite), fino allo shock anafilattico. Esiste anche una forma di allergia all’anisakis, che può essere scatenata dalla semplice contaminazione, senza presenza di larve vive, e che si manifesta con dermatite, asma, congiuntivite, o con sintomi più gravi. Le forme che causano reazioni allergiche si riscontrano più spesso nelle persone esposte agli allergeni, per esempio quelle che lavorano nel settore della conservazione e della lavorazione di prodotti ittici.

3. Quante persone riguarda

Fino al 2010 erano stati riportati 20.000 casi di anisakiasi nel mondo. Oltre il 90 per cento dei casi sono stati registrati in Giappone, verosimilmente per l’abitudine degli abitanti di consumare pesce crudo e per la consuetudine dei medici a riconoscere la malattia. Anche nel resto dell’Asia l’anisakiasi è piuttosto comune, sempre a causa del consumo diffuso di prodotti ittici crudi o poco cotti.

La globalizzazione del mercato e degli usi alimentari e il perfezionamento delle conoscenze e delle modalità di diagnosi stanno però cambiando rapidamente questo quadro, anche se mancano ancora dati epidemiologici precisi. Le stime parlano di un incremento annuo nel mondo di circa 2.000 casi. In Europa sono stati registrati numerosi casi nei Paesi Bassi, in Germania, in Francia e in Spagna, ma anche nel nostro Paese non sono mancati.

Secondo gli esperti è probabile che l’anisakiasi sia ancora fortemente sottostimata a causa delle difficoltà nella diagnosi e della limitata esperienza clinica. In Italia, per il monitoraggio dei casi, è attivo il Centro di referenza nazionale per le anisakiasi (CReNA) presso la sede dell’Istituto zooprofilattico sperimentale della Sicilia.

4. Come si cura

Non è semplice fare una diagnosi di anisakiasi, in quanto i sintomi sono aspecifici e possono essere confusi con quelli di altre malattie del tratto gastrointestinale, come, per esempio, appendicite, ulcera e morbo di Crohn. Solitamente l’anisakiasi viene diagnosticata attraverso un esame endoscopico, mentre specifici test sono eseguiti per le forme allergiche. Nel corso dell’esame endoscopico possono essere rimosse le larve a cui è dovuta l’infezione, facendola regredire. In alcuni casi gravi è invece indicato un intervento chirurgico. Sono stati descritti alcuni casi trattati con successo con farmaci antiparassitari.

5. Come evitarla

Per tenersi lontani dall’anisakiasi, è sufficiente applicare alcune fondamentali norme di igiene e buonsenso, congelando o cuocendo i prodotti ittici prima del consumo. La normativa europea in materia è rigorosa e prevede l’ispezione del pesce destinato alla vendita e l’obbligo, per i rivenditori di pesce crudo o in salamoia e per i ristoranti, di effettuare una procedura preventiva di abbattimento della temperatura dei prodotti.

Questa viene eseguita attraverso l’uso di freezer che portano l’alimento a temperature inferiori a -20 °C per un periodo continuativo minimo di 24 ore o di almeno 15 ore a -35 °C. Inoltre la legge prevede che nelle pescherie e nei supermercati sia esposto un cartello che ricorda che, in caso di consumo di pesce crudo, marinato o non completamente cotto, il prodotto debba essere preventivamente congelato per almeno 96 ore a -18 °C in un congelatore domestico contrassegnato con tre o più stelle. Simili sono le norme suggerite dai Centri per il controllo e la prevenzione delle malattie (CDC) statunitensi.

È importante ricordare che l’uso di limone, aceto e marinature varie, così come altri trattamenti tradizionali degli alimenti, non sono efficaci nella prevenzione dell’infezione. Al consumo di pesce marinato e di sushi sono legati i principali casi di anisakiasi segnalati nel nostro Paese. Una particolare attenzione al consumo di prodotti ittici va posta nel corso di viaggi, informandosi sulle norme in vigore e sul trattamento degli alimenti consumati. Per avere un quadro completo di tutte le precauzioni utili a evitare l’infezione, si può fare riferimento alle indicazioni fornite dal CReNA oppure alla app per smartphone Anisakis Crena.

Anna Rita Longo
Insegnante e dottoressa di ricerca, membro del board dell’associazione professionale di comunicatori della scienza SWIM (Science Writers in Italy), socia emerita del CICAP (Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sulle Pseudoscienze), collabora con riviste e pubblicazioni a carattere scientifico e culturale.
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