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Agricoltura e allevamenti sono i primi responsabili della deforestazione tropicale

La deforestazione è in gran parte causata dall’aumento dei pascoli e delle coltivazioni di specie come la soia e la palma da olio. Ma solo la metà circa dei terreni deforestati è utilizzata per un’espansione agricola, ossia per la produzione di materie prime.

Comprendere l’entità delle deforestazioni è complesso. Da molte regioni del pianeta i dati sono lacunosi e incompleti, le stime discordanti e i risultati troppo difficili da confrontare a seconda dei parametri presi in considerazione. In questo caos un gruppo di scienziati, tra i massimi esperti globali di deforestazione, ha cercato di vederci più chiaro. E in un articolo pubblicato su Science ha stimato che il 90-99 per cento della deforestazione tropicale sia causato dall’agricoltura.

La nuova stima va sostanzialmente a confermare le previsioni precedenti che si assestavano attorno all’80 per cento. Tuttavia, i ricercatori guidati da Chris West, della Università di York, nel Regno Unito, hanno mostrato che solo la metà circa delle aree deforestate (dal 45 al 65 per cento) è stata poi impiegata per espandere le attività agricole. Spesso, infatti, le aree forestali bonificate vengono abbandonate, perché degli incendi nelle aree limitrofe le hanno rese inadatte alla coltivazione

I numeri della deforestazione

Il gruppo di lavoro ha raccolto le varie stime presenti in letteratura sulla perdita di copertura arborea e sulla valutazione delle risorse forestali effettuata dalla FAO (Food and Agricolture Organization of the United States). Il problema, sottolineato anche nell’articolo, è che solo una manciata di ricerche offre delle stime sulla deforestazione per scopi agricoli nell’intera fascia tropicale. Al punto che per il periodo di riferimento – tra il 2011 e il 2015 – i tassi variano tra i 4,3 milioni e i 9,6 milioni di ettari. Grazie al nuovo articolo di revisione, la stima si è ristretta, con numeri che si collocano tra i 6,4 e gli 8,8 milioni di ettari di foreste abbattute l’anno. Cifre comunque elevate.

Ma perché questa discrepanza nei dati? I ricercatori spiegano che con i rilievi satellitari, comunque fondamentali, non si riescono a rilevare le varie cause di deforestazione. Inoltre vi sono dei limiti nella definizione stessa del fenomeno. Non esiste cioè un solo modo per distinguere tra foreste e aree non forestali – che spesso sono dedicate alla silvicoltura o alla produzione di materie legnose –, né tra deforestazione e degrado delle foreste. Per questo motivo viene data una definizione univoca, che prende spunto dalle diverse definizioni tecniche impiegate nelle politiche di gestione forestale e di perdita di biodiversità. La deforestazione può quindi essere intesa come una conversione persistente della foresta naturale in qualsiasi altro uso del suolo, inclusi l’agricoltura, gli insediamenti umani o la silvicoltura.

Ma allora quali sono le materie prime che causano una maggiore deforestazione? Al primo posto vi è la produzione soprattutto di carne bovina, che sarebbe all’origine di circa la metà della deforestazione e del conseguente aumento dei terreni destinati a pascolo. Le coltivazioni di palma da olio e di soia sono insieme responsabili di almeno un ulteriore 20 per cento. Seguono altre sei colture – gomma, cacao, caffè, riso, mais e manioca – che rappresentano probabilmente la maggior parte del restante 30 per cento circa. Inoltre, un fattore da non sottovalutare è che l’aumento dei pascoli sembra essere guidato dalla domanda interna dei Paesi coinvolti, piuttosto che dalla domanda per esportazione delle carni.

Perché è utile questa revisione

Conoscere più a fondo le cause della perdita di foreste è fondamentale per individuare e adottare politiche utili a contrastare il fenomeno.

Per raggiungere l’obiettivo di mantenere l’innalzamento delle temperature globali entro 1,5°C sembra necessario ridurre il tasso annuo di deforestazione 2,5 volte più velocemente di quanto stiamo facendo ora. La previsione è contenuta nel rapporto “State of the climate 2022”, redatto dal World Resource Institute, un’organizzazione non profit con sede a Washington D.C. Il rapporto è stato pubblicato pochi giorni prima della Conferenza sul clima Cop 27, che si è tenuta a novembre 2022 a Sharm el-Sheikh in Egitto. L’obiettivo contenuto nel rapporto equivarrebbe a evitare ogni anno la deforestazione di un’area grande quanto tutti i terreni coltivati della Svizzera. Alla Cop26 del 2021, oltre 140 leader di altrettanti Paesi si sono impegnati a fermare e invertire la deforestazione e il degrado del suolo entro il 2030. A tale scopo sono state allocate risorse pari a circa 12 miliardi di dollari per un periodo che va dal 2021 al 2025. Anche la Commissione europea sta lavorando a un sistema di nuove norme che dovrebbe consentire una maggiore attenzione posta alle filiere reputate responsabili della deforestazione.

Iniziative quanto mai necessarie per invertire la rotta, ma insufficienti, secondo gli autori della revisione, dato che l’efficacia sembra essere in ultima analisi limitata. Sarà dunque necessario prevedere nuove misure in grado di incentivare un’agricoltura più sostenibile che siano allo stesso tempo economicamente attraenti. Tali misure dovranno anche disincentivare l’ulteriore conversione delle aree forestali e sostenere i piccoli agricoltori. “Altrimenti”, conferma Toby Gardner, direttore di Trase e ricercatore presso l’Istituto per l’ambiente di Stoccolma, “possiamo aspettarci che i tassi di deforestazione rimangano ostinatamente alti.”

Rudi Bressa
Giornalista ambientale e scientifico, collabora con varie testate nazionali e internazionali occupandosi di cambiamenti climatici, transizione energetica, economia circolare e conservazione della natura. È membro di Swim (Science writers in Italy) e fa parte del board del Clew Journalism Network. I suoi lavori sono stati supportati dal Journalism Fund e dalI'IJ4EU (Investigative Journalism for Europe).
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