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Che cos’è la malattia del legionario?

A luglio 1976 un gruppo di veterani della Pennsylvania American Legion lascia l’Hotel Bellevue-Stratford, a Philadelphia, dove si è appena tenuto il loro raduno annuale. Dopo pochi giorni decine di loro si ammalano di una strana polmonite. Quello stesso anno i Centers for Disease Control and Prevention (CDC) isolano la causa: si tratta di un batterio rimasto fino a quel momento sconosciuto alla comunità scientifica, poiché si sviluppava in alcuni tipi di condizionatori d’aria che erano stati introdotti da poco. Il batterio fu chiamato legionella in onore delle prime vittime note della malattia da esso causata.

Il capitano di aviazione Ray Brennan, 61 anni, fu il primo ad ammalarsi. Era appena tornato da Philadelphia, dove l’American Legion della Pennsylvania si era riunita dal 21 al 24 luglio. Secondo la sorella era già affaticato al ritorno, ma del resto quello del 1976 era stato un raduno impegnativo. L’associazione dei veterani, alla quale appartengono anche molti Presidenti americani, aveva celebrato il bicentenario della Dichiarazione di indipendenza nella stessa città dove essa era stata scritta e firmata. E all’Hotel Bellevue-Stratford si erano riuniti 2.000 legionari dello Stato.

Brennan aveva la febbre alta e faticava a respirare. Ciò nonostante non volle farsi ricoverare e morì il 27 luglio nella sua casa a Towanda. Nel giro di pochi giorni numerosi altri legionari cominciarono a sentirsi male. Il 2 agosto Edward T. Hoak, uno dei leader dell’associazione, fu contattato da un medico che gli chiese quanti dei membri presentassero gli stessi sintomi. A quel punto Hoak era venuto a sapere di 8 vittime e di decine di persone che stavano male.

La caccia al patogeno

All’inizio dell’anno a Fort Dix, nel New Jersey, 13 persone si erano ammalate (e una di loro era morta) a causa di un nuovo ceppo influenzale che secondo gli esperti era simile a quello che aveva provocato la Spagnola, la pandemia che tra il 1918 e il 1920 aveva ucciso molte decine di milioni di persone. La stagione influenzale passò tuttavia senza che si verificassero nuovi casi. Ciò nonostante le autorità sanitarie erano rimaste all’erta, come mostra un memorandum dell’epoca dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms). Così, quando si diffuse la notizia della “malattia della legione”, come all’inizio era stata battezzata, si temeva il peggio: si sospettava una nuova influenza che avrebbe rischiato di estendersi ben oltre la Pennsylvania.

Il Public Health Service, i CDC e diverse agenzie di salute pubblica si mobilitarono subito per scoprire la causa dell’epidemia che stava facendo ammalare, a volte uccidendoli, i legionari che si erano riuniti a Philadelphia. A metà agosto, mentre l’ondata di casi si arrestava, non era ancora stata trovata una risposta. L’ipotesi influenzale era stata esclusa ed era chiaro che il contagio non passava da un individuo all’altro. In tutto si erano ammalate 182 persone, di cui 29 morirono, e tutti i casi furono ricollegati dagli epidemiologi all’Hotel Bellevue-Stratford.

Le 750 stanze furono ispezionate palmo a palmo, gli ospiti interrogati. Qualcuno giurava di aver sentito dei pappagalli e si ipotizzò una ornitosi, una malattia che può trasmettersi dagli uccelli agli esseri umani. Si andò a caccia di tossine in grado di provocare sintomi compatibili con quelli riportati dalle vittime, come per esempio il cadmio. Un giovane confessò di aver gettato nell’impianto di aerazione una spezia fumigante durante una convention di maghi. Ma ogni strada si rivelò essere un vicolo cieco. Nel frattempo nell’opinione pubblica e tra i politici si erano diffuse le ipotesi di un avvelenamento da radiazioni o di un attacco terroristico.

L’isolamento di Legionella pneumophila

La svolta nelle indagini arrivò a fine anno. I tentativi di isolare un patogeno nei tessuti delle vittime non avevano dato risultati, ma il microbiologo Joseph McDade, dei CDC, ci riprovò coinvolgendo negli esperimenti le proprie cavie. McDade le impiegava per studiare i batteri della rickettsia, la sua specialità, ma gli animali si rivelarono molto suscettibili anche a un altro microbo. Dopo alcuni esperimenti McDade riuscì a provare che nei polmoni dei legionari si era sviluppato un batterio che venne chiamato Legionella pneumophila.

Rimaneva ancora da capire da dove fosse arrivato. Solo studi successivi dimostrarono che il batterio prospera nell’acqua calda, attraverso la quale può diffondersi nell’aria tramite gli aerosol. Una volta introdotto nell’organismo umano con la respirazione, il batterio può causare una grave polmonite. Le persone più a rischio sono quelle con un sistema immunitario più debole , proprio come gli anziani veterani.

All’Hotel Bellevue-Stratford non è mai stata isolata la fonte del batterio, perché nel frattempo l’impianto era stato ripulito, ma in base alle altre epidemie di legionella si pensa che sia stato diffuso da condizionatori contaminati.

A posteriori altre strane epidemie verificatesi negli anni precedenti sono state attribuite alla malattia del legionario, ma nessuna prima degli anni Quaranta. Il batterio infatti, pur non essendo una specie particolarmente recente, in natura è un semplice parassita dei protozoi e raramente può trovare grandi riserve di acqua stagnante calda dove moltiplicarsi e nuocere. Ancor più improbabile è che tale acqua, all’aperto, sia nebulizzata e possa trasportare la legionella per lunghe distanze. Solo i progressi del ventesimo secolo, che ci hanno regalato potenti impianti di climatizzazione, hanno creato le condizioni perché il batterio potesse infettare gli esseri umani.

I microbi sono severi maestri

Le epidemie di malattia del legionario oggi sono sporadiche, anche perché si adottano numerose precauzioni per minimizzare il rischio. I normali climatizzatori domestici aria-aria di norma non sono l’habitat ideale per lo sviluppo della legionella (anche se vanno correttamente puliti almeno una volta all’anno prima dell’uso). Il batterio, infatti, necessita di acqua calda, che trova invece nei grandi condizionatori centralizzati, come quelli degli alberghi, degli uffici ecc.. Questi raffreddano l’ambiente sfruttando l’evaporazione di una grande massa d’acqua, dove il microbo può svilupparsi e diffondersi. Oggi sappiamo, a differenza di cinquant’anni fa, che questi sistemi, e tutti gli impianti a rischio, vanno periodicamente disinfettati e controllati.

“La pubblicità si è placata. Appena abbiamo capito quale fosse la malattia che colpì i membri della Pennsylvania American Legion, nell’estate del 1976, il mistero è stato quasi del tutto risolto. Siamo stati risparmiati dal ‘killer mostruoso’ che era stato costruito dalla stampa nel 1976, solo per vederlo apparire pochi anni dopo sotto forma di virus della sindrome da immunodeficienza umana acquisita. La legionella e il virus dell’immunodeficienza umana ci hanno insegnato il valore delle vaste risorse mediche e scientifiche che abbiamo sviluppato, ma abbiamo anche imparato a essere umili di fronte a nemici microbici intraprendenti e apparentemente instancabili.” Così nel 1988 il medico e microbiologo Washington C. Winn Jr. ricordava come, in una torrida estate di dodici anni prima, il mondo avesse conosciuto un nuovo patogeno, il batterio della legionella. E proprio quando stava tirando un sospiro di sollievo, avendo scoperto che la malattia non era contagiosa, irrompeva sulla scena l’AIDS. Winn, allora, confidava nel fatto che stessimo imparando a non sottovalutare i microbi.

Stefano Dalla Casa
Giornalista e comunicatore scientifico, si è formato all’Università di Bologna e alla Sissa di Trieste. Scrive o ha scritto per le seguenti testate o siti: Il Tascabile, Wonder Why, Aula di Scienze Zanichelli, Chiara.eco, Wired.it, OggiScienza, Le Scienze, Focus, SapereAmbiente, Rivista Micron, Treccani Scuola. Cura la collana di divulgazione scientifica Zanichelli Chiavi di Lettura. Collabora dalla fondazione con Pikaia, il portale dell’evoluzione diretto da Telmo Pievani, dal 2021 ne è il caporedattore.
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