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Coriandolo: amore, odio… e genetica

Se siete tra quelli che proprio non riescono a mandar giù il coriandolo, il problema di gusto potrebbe risiedere nel vostro DNA. Varianti geniche associate alla percezione possono spiegare almeno in parte perché molte persone trovino così sgradevole il sapore di questa spezia. 

Per alcune persone una foglia di coriandolo nel piatto è soltanto un modo di insaporire una ricetta. Per altre, invece, è un sapore insopportabile, assolutamente disgustoso. Il problema potrebbe dipendere dal fatto che la spezia è poco comune dalle nostre parti?
Il coriandolo (coriandrum sativum) è un’erba particolarmente utilizzata nella cucina asiatica, dove è uno degli ingredienti del curry o masala. Si trova anche in quella latinoamericana, dove è conosciuto come cilantro e lo si usa nella salsa guacamole. È noto che abitudini culinarie e aspetti culturali concorrano a dare forma alla capacità di percepire e apprezzare un determinato sapore.

Ma a spiegare opinioni così polarizzanti sul coriandolo sembra contribuire anche la genetica. Sono state infatti individuate varianti genetiche associate al senso del gusto e dell’olfatto che, almeno in parte, spiegherebbero perché molte persone trovano questa spezia così sgradevole. Scendiamo nel dettaglio.

A caccia di geni

Che alcuni di noi siano geneticamente predisposti a non amare il coriandolo è suggerito dai risultati di diversi studi. Nel 2012 un gruppo guidato da Nicholas Eriksson, della società specializzata in test genetici 23andMe con sede a Mountain View (California), ha rilevato un polimorfismo associato alla percezione del gusto saponoso all’interno di un gruppo di geni localizzati sul cromosoma 11. In particolare, i ricercatori hanno identificato il gene OR6A2 che codifica per un recettore olfattivo (OR nella sigla sta infatti proprio per olfactory receptor) attivato da diverse aldeidi, le sostanze chimiche che determinano le qualità aromatiche del coriandolo e che sono responsabili del suo sapore saponoso e pungente.

I risultati di un altro studio, pubblicati nello stesso periodo, hanno mostrato un’associazione tra la sensibilità al coriandolo e alcuni geni (precisamente TRPA1, GNAT3, TAS2R50). La ricerca, condotta al Monell Chemical Senses Center di Philadelphia, ha confrontato alcune caratteristiche sensoriali in coppie di gemelli omozigoti ed eterozigoti. I risultati raccolti suggeriscono che la preferenza o meno per il coriandolo sia un carattere ereditario. La stragrande maggioranza dei gemelli identici concordava infatti sul trovare piacevole o spiacevole questa spezia, mentre solo la metà dei gemelli eterozigoti ha espresso un giudizio concorde rispetto al cosiddetto “prezzemolo cinese”.

Oltre al DNA c’è di più

La genetica, da sola, non è però sufficiente a spiegare le preferenze alimentari nel loro insieme. Entrano in gioco anche altri fattori, come sottolinea gli stessi ricercatori della società 23andMe.

Un gruppo di scienziati dell’Università di Toronto, per esempio, ha osservato la diversa propensione ad apprezzare o meno il sapore del coriandolo da parte di gruppi etnici differenti. I risultati pubblicati di recente indicano che si registrano percentuali più alte di chi detesta questa spezia tra i caucasici, le persone asiatiche orientali e quelle di origine africana (rispettivamente 17 per cento, 21 per cento e 14 per cento) a fronte di percentuali più basse fra chi è originario del Medio Oriente, dell’Asia del Sud e dell’America Latina (rispettivamente 3 per cento, 7 per cento e 4 per cento). Ciò potrebbe essere legato, secondo i ricercatori, anche alla frequenza di esposizione all’ingrediente, poiché il coriandolo è indubbiamente più comune nelle cucine tradizionali di queste regioni e la provenienza culturale, si sa, modifica i comportamenti che hanno a che vedere col cibo. In altre parole, è più probabile che chi è cresciuto mangiando regolarmente coriandolo ne apprezzi (o non ne disprezzi) il sapore.

Le preferenze alimentari sono modellate da un numero elevato di fattori: ambientali, culturali e nutrizionali, oltre che genetici, come mostrano anche i risultati pubblicati nel 2019 sulla rivista Nutrients da un gruppo dell’Ospedale Burlo Garofalo e dell’Università di Trieste. E come riassume il libro Guida per cervelli affamati delle neuroscienziate Carol Coricelli e Sofia Erica Rossi, cibo e geni “si parlano”, ma non sono soli in questa conversazione. Anche l’ambiente circostante ha voce in capitolo e quello che accade intorno a noi, a partire già dal grembo materno, influisce sulle nostre abitudini alimentari. Che si tratti di frutta e verdura o ciambelle zuccherate, “ci alleniamo” di fatto sin da piccoli a mangiare alimenti che non per forza sono quelli che dovremmo preferire secondo i nostri geni.

Sui motivi di reazioni tanto diverse nei confronti del coriandolo, nello specifico, è ancora da chiarire se queste siano attribuibili al tipo di molecole odorose che la pianta sprigiona, alle nostre papille gustative o alla combinazione di entrambi.

Dal limone alla cimice

Il coriandrum sativum appartiene alla stessa famiglia del cumino, del prezzemolo e di altre erbe aromatiche che presentano un fiore a forma di ombrello. Ma per quanto riguarda il “metter zizzania”, non ha rivali in cucina: il coriandolo è l’ingrediente più polarizzante, c’è chi lo ama e chi lo detesta.

Chi lo apprezza descrive il profumo e il sapore del coriandolo come fresco e agrumato; chi invece non lo ama riferisce che sa di sapone, di muffa, di sporco, persino di cimice (non a caso nella radice del suo nome si trova il termine greco korios, che significa appunto cimice). C’è chi lo disprezza a tal punto che la pagina Facebook dal nome alquanto eloquente di I Hate Coriander, creata nel 2013 e seguita da oltre 287.000 persone, ha proposto di celebrare, ogni 24 febbraio, l’International I Hate Coriander Day. Assieme a una richiesta: che nel menù dei ristoranti di tutto il mondo vengano d’ora in poi indicati quali piatti hanno il coriandolo tra gli ingredienti.

E se ci facessimo il pesto?

La pianta di coriandolo è coltivata almeno dal secondo millennio a.C. ed è una componente importante di diverse tradizioni alimentari nel mondo. In particolare, in Asia meridionale si tende a usare per cucinare sia i semi sia le foglie, mentre nella cucina latinoamericana si utilizzano solo queste ultime. Proprio le foglie, se macinate (per ricavarne una salsa simile al pesto), sembrano infastidire meno i commensali insofferenti al sapore del coriandolo. La frantumazione dell’ingrediente potrebbe accelerare la velocità con cui gli enzimi vegetali scompongono le molecole di aldeide, rimuovendo quelle a cui coloro che detestano il coriandolo sono più sensibili.

Simona Regina
Giornalista professionista, lavora come freelance nel campo della comunicazione della scienza. Scrive di salute, innovazione e questioni di genere e al microfono incontra scienziati e scienziate per raccontare sfide e traguardi della ricerca. People Science & the City è tra le trasmissioni che ha curato e condotto su Radio Rai del Friuli Venezia Giulia. Elogio dell'errore la sua ultima avventura estiva. Su Rai Play Radio il podcast che ha realizzato per Esof2020 che racconta Trieste città europea della scienza: Magazzino 26. Ogni anno si unisce all'equipaggio del Trieste Science+Fiction Festival per coordinare gli Incontri di futurologia, quest'anno approdati sul web come Mondofuturo.
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