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Cosa possiamo imparare dagli estremofili

Temperature altissime (o, al contrario, bassissime), livelli di acidità, salinità e pressione incompatibili con la vita umana: ecco come i microrganismi che resistono a condizioni estreme possono essere rivoluzionari per la nostra esistenza.

L’espressione “condizioni incompatibili con la vita” è di uso piuttosto comune. Quando la adoperiamo tendiamo però a dimenticare che esistono forme di vita che sembrano farsi beffe di questo assunto e che si sono adattate piuttosto bene a condizioni apparentemente impossibili. Collettivamente questi organismi sono chiamati estremofili. La parola, composta da termini di origine greco-latina, sottolinea il fatto che questi organismi riescano a prosperare in condizioni estreme, difficili se non impossibili da sopportare per la stragrande maggioranza delle forme di vita.

Gli estremofili sono per lo più microrganismi procarioti (cioè privi di un nucleo definito), fanno quasi tutti parte dei batteri o degli archei, tranne qualche raro esempio di eucarioti, le forme di vita dotate di nucleo. Il termine estremofili è stato adoperato per la prima volta nel 1974 dallo scienziato statunitense Robert D. MacElroy nel suo articolo Some comments on the evolution of extremophiles (in italiano: Alcuni commenti sull’evoluzione degli estremofili), che dava una prima descrizione formale di questi organismi e della loro evoluzione.

Ampliare il concetto di vita

La scoperta dell’esistenza di queste forme di vita ci ha permesso di ampliare le nostre conoscenze sugli organismi e di riconsiderare l’idea stessa di condizioni di vita, mettendo in discussione molte certezze in materia. Studiare gli estremofili consente anche di farsi un’idea sulle forme di vita più antiche apparse sulla Terra, in un’epoca in cui le caratteristiche dell’ambiente erano molto diverse e decisamente inospitali. Nel corso della loro storia evolutiva, questi organismi hanno sviluppato una serie di strategie, come particolari proprietà metaboliche, di regolazione e di utilizzo dell’energia, che permettono loro di controbilanciare le condizioni avverse dell’ambiente. Gli estremofili hanno anche sollecitato la curiosità degli esseri umani e suggerito interessanti applicazioni.

I diversi tipi di estremofili

Ci sono molti tipi di condizioni estreme, e il solo carattere che accomuna tali condizioni è il fatto di rendere proibitivo insediarsi e sopravvivere in un determinato ambiente, per tutti gli organismi tranne gli estremofili.

In base alle caratteristiche dell’ambiente in cui, contro ogni previsione, prosperano gli organismi estremofili, questi si possono suddividere in diverse categorie. Si chiamano termofili gli organismi che sono in grado di sopravvivere a temperature molto alte, e tra questi si distinguono i cosiddetti ipertermofili, capaci di resistere a temperature superiori agli 80 °C. È il caso dei microrganismi che vivono nei pressi delle fumarole nere, sorgenti idrotermali che si trovano nel fondale oceanico, tra cui il Pyrococcus furiosus, che è in grado di vivere a 100 °C, e il Pyrodictium occultum, che ha una temperatura di crescita ottimale di 105 °C.

Sono definiti psicrofili i microrganismi che vivono a basse temperature, in particolare dai 10-15 °C in giù, anche nei ghiacci delle zone polari o nelle acque molto profonde. Chiamiamo alofili gli organismi (per esempio gli archei che fanno parte della classe Halobacteria) che si trovano in acque dalle concentrazioni saline proibitive ai più, come quelle del Mar Morto o del Gran Lago Salato. Vi sono poi organismi acidofili, che prosperano in ambienti a pH molto basso, fortemente acidi (per esempio, il Ferroplasma acidiphilum, trovato a pH 1,7) o, al contrario, gli alcalofili (o basofili), in grado di vivere a pH molto alto, fortemente basico.

Esistono poi i microrganismi radioresistenti, cioè capaci di sopportare radiazioni di diverso tipo; gli xerofili, in grado di tollerare ambienti estremamente secchi; gli oligotrofi, capaci di vivere con ridottissime quantità di nutrimento; i barofili o piezofili, resistenti ad alte pressioni; gli endoliti e i litoautotrofi, che possono vivere all’interno delle rocce o sopra di esse; i metallo-tolleranti, cioè resistenti ad alte concentrazioni di metalli; e i poliestremofili, che resistono a più di una caratteristica estrema.

Cosa ci insegnano gli studi e le applicazioni

Lo studio dei microrganismi estremofili in laboratorio comporta molte difficoltà, in quanto spesso deve essere condotto attraverso laboriose modificazioni e adattamenti delle tecniche comunemente usate. Oggi però queste ricerche sono sempre più diffuse perché possono avere diverse importanti applicazioni, in campi che spaziano dalle biotecnologie all’industria, dallo sviluppo dei farmaci alla ricerca di base. Per esempio, sul fronte delle applicazioni industriali, hanno particolare importanza gli enzimi prodotti da questi microrganismi, che sono detti appunto estremozimi.

Solo per citarne alcuni, l’amilasi prodotta da microrganismi termofili è molto usata nell’industria alimentare, per la produzione di sciroppi di glucosio-fruttosio e nel processo di panificazione. La cellulasi prodotta sempre da batteri termofili ha applicazioni nell’industria alimentare, tessile, nel settore farmaceutico, per la produzione di detergenti e biocarburanti. Dai termofili così come dagli psicrofili si produce anche la xilanasi, molto usata per il candeggio della carta, ma anche nell’industria alimentare. La subtilisina prodotta da un microrganismo psicrofilo è utile nella formulazione di detergenti, ma anche diversi altri enzimi usati nell’industria sono prodotti attraverso microrganismi alofili. Si potrebbero fare molti altri esempi e la ricerca in questo settore è molto attiva e in continua evoluzione.

Si sta studiando anche la possibilità di usare alcuni microrganismi estremofili per la tutela dell’ambiente, per via della loro capacità di degradare gli inquinanti organici. In generale, secondo alcuni scienziati, lo studio dei microrganismi estremofili rappresenta un’importante fonte di ispirazione per l’elaborazione di biotecnologie sempre più raffinate, necessarie alla transizione verso un’economia sostenibile basata sulle biomasse.

Molto interessata allo studio dei microrganismi estremofili è l’astrobiologia (un tempo chiamata esobiologia), cioè la scienza che studia l’origine, l’evoluzione e la distribuzione delle forme di vita nell’universo, al di fuori del nostro pianeta. Poiché le caratteristiche di molti ambienti extraterrestri si possono definire estreme, lo studio degli organismi estremofili può fornire utilissimi spunti al riguardo.

Tra le iniziative che riguardano la ricerca sulle forme di vita che vivono in condizioni ambientali estreme, si può ricordare il progetto CAREX (Coordination Action for Research activities on life in EXtreme enviroments), sostenuto dall’Unione europea, con lo scopo di individuare linee di ricerca comuni tra oltre 200 scienziati attivi nel settore, per favorire progressi in diversi settori, tra cui quello biotecnologico e farmaceutico.

Una collaborazione che coinvolge istituti di ricerca in diverse parti del mondo è alla base dell’Extreme Microbiome Project (XMP), che ha lo scopo, attraverso un consorzio di microbiologi, genetisti, bioinformatici e oceanografi, di mettere a punto nuovi protocolli di ricerca sui microrganismi estremofili, adoperando le tecnologie più avanzate nel campo della genomica e della microbiologia. Fanno capo al consorzio gruppi di ricerca che studiano gli argomenti più svariati, dal microbioma fecale del colibrì agli organismi del Mar Morto e del Grande Lago Salato, dalle condizioni ambientali nel permafrost dell’Alaska a quelle sulla Stazione spaziale internazionale.

Anna Rita Longo
Insegnante e dottoressa di ricerca, membro del board dell’associazione professionale di comunicatori della scienza SWIM (Science Writers in Italy), socia emerita del CICAP (Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sulle Pseudoscienze), collabora con riviste e pubblicazioni a carattere scientifico e culturale.
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