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È iniziata l’era dei necrorobot?

Per sviluppare e costruire i robot (e tanto altro) ci ispiriamo spesso alla natura, riproducendo in parte fattezze e comportamenti di animali e piante. Un gruppo di ricercatori ha invece utilizzato i resti di un animale morto, un ragno, anziché riprodurlo sinteticamente. Con il cadavere di un ragno “rianimato” hanno creato una sorta di pinza che solleva più del suo stesso peso.

Nel Novecento Isaac Asimov aveva previsto un futuro dominato dai robot, già a partire dal nostro secolo. Secondo lo scienziato e scrittore di fantascienza, la rivoluzione robotica avrebbe nel tempo permesso all’umanità di condurre una vita agiata, eliminando tutti i lavori pesanti e noiosi e lasciando agli esseri umani solo attività intellettuali gratificanti. Oggi sappiamo che quella previsione era un po’ troppo ottimistica, ma sull’inesorabile avanzata della robotica Asimov non si era sbagliato. Macchine almeno in parte autonome si trovano pressoché ovunque: nei cieli, nei mari, nelle nostre case. Inoltre leggiamo regolarmente che gli scienziati sono al lavoro su robot sempre più avveniristici, da quelli soffici come un mollusco a quelli microscopici fatti di solo DNA.

Quest’estate, però, alla Rice University di Houston, in Texas, è stato costruito un robot mai visto prima, realizzato a partire dal cadavere di un animale. Gli autori, in un articolo pubblicato il 25 luglio 2022 sulla rivista Advanced Science, hanno descritto il prototipo, ispirato da una domanda di per sé molto semplice: come mai le zampe dei ragni morti appaiono sempre raccolte? Ecco com’è andata.

La natura: maestra nella vita e nella morte

Molti robot sono bioispirati, cioè le loro fattezze e comportamenti sono progettati prendendo esempio dalla natura. La ragione è piuttosto semplice. Nella storia della vita la pressione evolutiva ha stimolato la soluzione di molti problemi che avrebbero messo in crisi più di un ingegnere. Noi non siamo in grado di copiare precisamente tali soluzioni, poiché esse non sono il frutto di alcun progetto. Possiamo tuttavia cercare di utilizzarle come guida per risolvere problemi analoghi. Con questi obiettivi è nata la cosiddetta biomimetica, una disciplina da cui sono emersi alcuni oggetti apparentemente semplici, come il velcro (ispirato dai frutti della bardana), e prodotti più complessi, come alcune meduse robotiche. Esistono poi i robot cosiddetti bioibridi, ossia macchine che incorporano cellule o tessuti viventi. Rientra in questa categoria una sorta di razza, costruita in laboratorio e in grado di muoversi grazie a cellule cardiache che vengono attivate dalla luce.

Il gruppo di ingegneri robotici della Rice University ha deciso di compiere un ulteriore passo in questa direzione: sviluppare robot a partire da componenti presenti in cadaveri di animali. Nello specifico, i ricercatori hanno utilizzato il corpo non più vivente di un ragno allo scopo di fabbricare una pinza capace di sollevare un peso. Questo animale è protagonista delle fobie di tanti, ma allo stesso tempo è anche molto interessante dal punto di vista evolutivo.

Cosa può fare ancora un ragno morto?

Nell’articolo gli autori sostengono che la realizzazione del robot non sia poi troppo complessa. A questo scopo i ricercatori hanno dapprima infilato un ago da siringa nel corpo di un ragno morto della famiglia dei ragni lupo (Lycosidae), per la precisione nel prosoma, o cefalotorace. Quindi hanno sigillato il foro con una goccia di colla e infine, con una siringa, o in alternativa con un piccolo dispositivo pneumatico, hanno iniettato aria nel cadavere. Il risultato è stato che le zampe, fino a quel momento raccolte sotto il torace, si sono aperte, mentre, riducendo la pressione, tendevano a tornare nella posizione di partenza. In questo modo è stato possibile usare il ragno come una specie di marionetta prensile che afferrava e sollevava oggetti. Per chi non si impressiona, si può apprezzare il risultato in questo video.

Gli scienziati sono arrivati al prototipo in parte spinti da un’osservazione casuale. Un giorno, in laboratorio, qualcuno aveva notato un ragno morto, e si era chiesto come mai i cadaveri dei ragni avessero sempre le zampe raccolte. La ragione, come il gruppo ha scoperto poi documentandosi attraverso la letteratura dedicata, è che le loro zampe non possiedono muscoli antagonisti, cioè che si rilassano e si contraggono in modo opposto, a seconda del movimento desiderato (come avviene per esempio con il bicipite e il tricipite nel braccio umano).

Nei ragni i muscoli delle zampe servono solo a raccoglierle, mentre l’estensione è controllata idraulicamente. In queste creature, infatti, lo scheletro esterno, o esoscheletro, è riempito di un fluido, detto emolinfa, che svolge anche le funzioni del sangue. La pressione di questo liquido fa da contraltare ai muscoli, estendendo dunque le zampe. Poiché un ragno morto non può più mantenere la pressione dell’emolinfa, i muscoli delle zampe si contraggono assumendo la tipica posizione in cui le troviamo.

Un ragno vivo è in grado di muovere le zampe indipendentemente l’una dall’altra, mentre nel robot, per ora, ci si deve accontentare di controllare il movimento simultaneo di tutte le zampe, che si estendono e si contraggono come una mano a otto dita.

Vantaggi e svantaggi della necrorobotica

Secondo i ricercatori la necrorobotica (dal neologismo inglese necrobotics) potrebbe permettere di utilizzare strutture biologiche che sarebbero difficili o impossibili da riprodurre artificialmente. Un robot che contiene parti di cadavere è naturalmente mimetico. In teoria potrebbe anche essere usato nell’ambiente esterno, per esempio per raccogliere campioni biologici, a differenza di robot più tradizionali che all’aperto rischiano di rovinarsi o non funzionare. Un altro vantaggio è che un ragno morto, al pari di ogni altro cadavere di animale, è biodegradabile al 100 per cento.

L’utilizzo di materiale organico, però, porta con sé anche qualche svantaggio: dopo un dato numero di cicli di presa, la pinza-ragno perde di efficienza e dopo appena un paio di giorni diventa inutilizzabile poiché le articolazioni tendono a cedere. Secondo gli autori, è probabile che si tratti di una conseguenza della disidratazione. Per questo, ipotizzano che, ricoprendo il ragno con speciali vernici, dovrebbe essere possibile prolungarne il tempo di utilizzo, ma per questo occorrerà verificare sperimentalmente. Da ultimo, non si possono trascurare gli aspetti etici: i ragni impiegati in questo esperimento sono stati uccisi apposta. Gli scienziati non li hanno catturati in natura, ma li hanno acquistati da allevatori autorizzati. Quindi ai ragni hanno praticato l’eutanasia seguendo le regole sulla sperimentazione animale. Nell’articolo, però, hanno osservato che le norme attualmente in vigore non contemplano ancora casi come il loro.

Si intuisce che al momento non ci sono applicazioni concrete all’orizzonte, ma questo vale anche per molti degli altri robot ottenuti non da cadaveri. Dal laboratorio al mercato la strada può essere lunga. E rimane aperto più di un interrogativo, incluso il dubbio sull’accettabilità e desiderabilità di questo genere di robot da parte del pubblico e dei ricercatori stessi. In altre parole, chissà se altri ricercatori sentiranno il richiamo della necrorobotica, dando origine a un nuovo campo di studi, o se, al contrario, essa rimarrà solo una parola curiosa associata a pochi esperimenti.

Stefano Dalla Casa
Giornalista e comunicatore scientifico, si è formato all’Università di Bologna e alla Sissa di Trieste. Scrive o ha scritto per le seguenti testate o siti: Il Tascabile, Wonder Why, Aula di Scienze Zanichelli, Chiara.eco, Wired.it, OggiScienza, Le Scienze, Focus, SapereAmbiente, Rivista Micron, Treccani Scuola. Cura la collana di divulgazione scientifica Zanichelli Chiavi di Lettura. Collabora dalla fondazione con Pikaia, il portale dell’evoluzione diretto da Telmo Pievani, dal 2021 ne è il caporedattore.
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