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Guardare qui, guardare lì: cosa succede mentre spostiamo lo sguardo?

Sembrava assodato che i nostri occhi sperimentassero alcuni istanti di “buio” nel muoversi scattanti da un punto all’altro di una scena. Ma i risultati di un nuovo studio dimostrano che siamo in grado di assorbire informazioni anche durante i movimenti oculari più rapidi.

Bastano meno di 5 centesimi di secondo ai nostri occhi per passare da un punto a un altro di una scena che abbiamo davanti. Un balzo rapidissimo (chiamato saccade) che ci permette di vedere qualcosa di nuovo dove a volte si focalizza la nostra attenzione. Ciò che sta accadendo davanti ai nostri occhi viene così proiettato sulla parte centrale della retina, il più nitidamente possibile. Ma cosa accade in quel brevissimo lasso di tempo in cui stiamo spostando il nostro sguardo?

Per lungo tempo gli scienziati hanno ipotizzato che durante i rapidi movimenti oculari gli esseri umani siano temporaneamente ciechi, ossia che in quei pochi centesimi di secondo i nostri occhi non siano in grado di fornire al cervello delle informazioni visive utili e utilizzabili. Probabilmente si sbagliavano, almeno secondo i risultati di un recente studio scientifico, pubblicati dalla rivista Science Advances. Lo studio è stato condotto dai ricercatori Richard Schweitzer e Martin Rolfs dell’università Humboldt di Berlino.

In base ai dati raccolti, i due scienziati ritengono che l’informazione visiva possa essere elaborata anche durante il rapido movimento degli occhi e che il cervello riesca comunque a dare continuità al flusso di informazioni ricevute, elaborando un’interpretazione coerente per la successione di oggetti entrati nel campo visivo. Secondo questa ipotesi, e per analogia con l’informatica, si può forse dire che la visione umana funziona in modo analogico e non digitale, ossia raccoglie informazioni in modo ininterrotto e non attraverso una sequenza di fotografie discrete. Un esempio di fantasia può aiutare a chiarire il concetto: immaginiamo di volere seguire gli spostamenti di un gruppo di persone, conoscendo la posizione di ciascuno sotto forma di un puntino posto su una mappa. Se abbiamo a disposizione solo una serie di fotogrammi successivi, che mostrano la disposizione dei puntini, i percorsi di ogni persona non potranno essere individuati con certezza né distinti tra loro, poiché si creeranno ambiguità su chi si è spostato, in quale direzione e con quale velocità. Se invece seguiamo continuamente gli spostamenti di ciascun puntino, allora possiamo individuare con maggiore certezza i percorsi, senza confonderci.

Lo stesso sembra accadere ai nostri occhi: quando cambiamo la direzione dello sguardo, possiamo riuscire comunque a raccogliere quel minimo di informazioni necessarie a dare continuità visiva tra il punto da cui lo sguardo ha iniziato il proprio movimento e quello di arrivo. Schweitzer e Rolfs hanno studiato le tracce di luce che arrivano alla retina durante il rapido movimento oculare, dimostrando che gli oggetti (seppure percepiti appena) continuano a essere identificabili mentre la loro proiezione si muove attraverso la retina. E c’è di più: queste tracce ci aiutano a collegare tra loro le impressioni successive raccolte dai nostri occhi, senza soluzione di continuità. Con la conseguenza di poter riconoscere rapidamente gli oggetti non appena lo sguardo si posa sul punto di arrivo e renderci immediatamente pronti all’azione.

Più che un istante di cecità, quindi, quello che sembra accadere mentre spostiamo rapidamente lo sguardo può essere paragonato a ciò che si verifica quando si fa un brusco movimento panoramico con una videocamera. Il movimento determina una sorta di evidente sfocatura, lasciando però tracce di luce sulla retina, sufficienti a elaborare un minimo di informazione visiva. Quanto basta per far sì che alla fine si abbia un’idea complessiva della situazione e che il punto di partenza e di arrivo dello sguardo non siano interpretate dal cervello come due scene separate.

Esperimenti da saccade

Per raggiungere una conclusione scientificamente solida, i due scienziati hanno condotto una serie di esperimenti. Ai partecipanti allo studio sono state mostrate video ad alta velocità, realizzati appositamente affinché lo scenario cambiasse continuamente nel breve lasso di tempo in cui gli occhi erano in movimento dal punto di partenza verso un oggetto bersaglio. In quei pochi millisecondi corrispondenti alla saccade, con opportuni strumenti i movimenti degli occhi sono stati misurati con precisione e sono stati tradotti, per così dire, nelle tracce visive lasciate sulla retina.

I ricercatori hanno notato che tali tracce influenzano la velocità e la frequenza con cui le persone riescono a rivolgere lo sguardo verso il punto bersaglio. Ciò conferma il fatto che elaboriamo informazioni visive anche durante il rapido movimento degli occhi. Inoltre ci dice anche che queste informazioni, per quanto minime, sono decisive per consentire il tracciamento degli oggetti nello spazio e nel tempo, e dunque per la nostra performance sensoriale complessiva.

Nuovo paradigma, nuove applicazioni

I risultati pubblicati sulla rivista Science Advances confutano quindi il paradigma precedente, secondo cui l’elaborazione visiva è interrotta da momenti di “cecità” durante ogni saccade. Inoltre indicano un nuovo approccio per lo studio della percezione visiva, semplificando quello usato finora. Le ipotesi più avvalorate fino a qualche tempo fa prevedevano che le ipotetiche lacune e i supposti momenti di “buio” nella percezione visiva venissero in qualche modo colmati attraverso complessi processi predittivi del cervello. Oggi non sembra più necessario presumere che tali processi predittivi esistano, dato che a livello sensoriale il momento di cecità non pare esistere.

La scoperta, se confermata, potrà essere tradotta in applicazioni cliniche, in particolare per quanto riguarda la connessione tra la percezione visiva e le funzioni motorie. Inoltre potrà anche essere utile quale indicazione per sviluppare algoritmi più efficaci per la visione artificiale. Basti pensare ai sistemi di rendering nei visori per la realtà virtuale, dove a oggi vengono visualizzate solo quelle parti dell’immagine ad alta risoluzione che la persona sta guardando in quel momento. Potenzialmente, questo potrebbe spiegare come mai non si riesce ancora, con la realtà virtuale, a riprodurre fedelmente le sensazioni del mondo fisico, soprattutto quando si tratta di movimenti rapidi. Chissà se i risultati di Schweitzer e Rolfs porteranno a modificare gli algoritmi di rendering per adattarli meglio ai movimenti oculari, consentendo di ricreare più correttamente la percezione ininterrotta, anche durante i movimenti più rapidi di cui gli esseri umani sono capaci.

Gianluca Dotti
Giornalista scientifico freelance e divulgatore, si occupa di ricerca, salute e tecnologia. Classe 1988, dopo la laurea magistrale in Fisica della materia all’università di Modena e Reggio Emilia ottiene due master in comunicazione della scienza, alla Sissa di Trieste e a Ferrara. Libero professionista dal 2014 e giornalista pubblicista dal 2015, ha tra le collaborazioni Wired Italia, Radio24, StartupItalia, Festival della Comunicazione, Business Insider Italia, Forbes Italia, OggiScienza e Youris. Su Twitter è @undotti, su Instagram @dotti.it.
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