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La carne senza la carne

Sono sempre più numerose (e concrete) le soluzioni alternative alla carne animale ideate per ridurre le emissioni di anidride carbonica e promuovere lo sviluppo sostenibile, garantendo allo stesso tempo nutrimento adeguato a tutta la popolazione mondiale. Ecco a che punto siamo con le cosiddette carni vegetali e con quelle coltivate in laboratorio.

Ogni anno, nel mondo, noi esseri umani consumiamo circa 350 milioni di tonnellate di carne. Il dato, già di per sé impressionante, è da tempo in crescita senza interruzioni e gli scienziati stimano che, anche a seguito dell’incremento della popolazione mondiale, continuerà ad aumentare ulteriormente. Se queste quantità fossero ripartite equamente, ciò corrisponderebbe a un consumo medio pro capite annuo di quasi 50 chilogrammi di carne per ogni abitante della Terra. In Italia il valore medio è di circa 79 chilogrammi per abitante all’anno, e siamo tra le popolazioni meno “carnivore” d’Europa. Tutto ciò rappresenta un grosso problema per il pianeta, considerando le gigantesche emissioni di sostanze inquinanti – oltre al consumo d’acqua – prodotte dagli allevamenti.

Già da oltre un decennio si cercano soluzioni alimentari diverse e sostenibili: dalle alternative vegetali fino alla produzione di carne direttamente in laboratorio, le possibilità aperte dalla ricerca scientifica e dalla tecnologia sono ormai numerose. In parallelo sempre più aziende – anche in risposta a una domanda di mercato molto evidente, soprattutto nei Paesi occidentali – si stanno orientando verso questo genere di offerta alimentare.

L’impatto della carne sulla salute del pianeta

Anche una piccola modifica del comportamento alimentare, se messa in atto da qualche miliardo di persone, può avere un effetto decisivo sulla salute della Terra. L’alimentazione è infatti una delle attività quotidiane di maggiore rilevanza da questo punto di vista, in particolare quando si parla del consumo di carne. Secondo una recente indagine del World Economic Forum, per il solo consumo umano vengono macellati ogni anno 50 miliardi di polli, un miliardo e mezzo di maiali, mezzo miliardo di pecore e 300 milioni di mucche. Il valore economico totale dell’industria globale della carne è stimato in circa duemila miliardi di dollari (fonte: ultimo rapporto della società di consulenza IDtechEX).

Le stime per il futuro indicano che, di questo passo, nei prossimi trent’anni la produzione potrebbe aumentare di un ulteriore 70 per cento rispetto ai valori attuali e che i terreni destinati al pascolo e all’agricoltura dedicata ai mangimi dovranno ampliarsi almeno del 30 per cento. Sembra impossibile poter raggiungere questi numeri, se non altro con una sola Terra a disposizione, considerando che già oggi circa il 60 per cento delle terre disponibili è utilizzato per produrre mangimi o per far pascolare gli animali, secondo i dati dell’Organizzazione delle nazioni unite per il cibo e l’agricoltura (Fao),.

La soluzione più semplice sarebbe ridurre in maniera drastica il consumo di carne, perché la sua produzione, oltre a presentare problemi etici, con gli attuali metodi è insostenibile sotto svariati punti di vista. Poiché scelte così radicali non sono forse percorribili, occorre trovare soluzioni in grado di rispondere alle esigenze alimentari della popolazione, cercando al contempo di ridurre l’impatto ambientale di tale produzione e magari creando vantaggi dal punto di vista economico. Per ora le nuove frontiere che si intravedono, nel campo dell’alimentazione di massa, contribuiscono in modo quasi infinitesimale al volume d’affari, ma le prospettive potrebbero essere più interessanti.

Un hamburger vegetale che sembra di carne

Una prima proposta innovativa arriva dal mondo del fast food e della grande distribuzione: produrre carne di origine vegetale rendendola sempre più simile a quella tradizionale. L’effetto si ottiene per esempio con una sostanza detta leghemoglobina, colloquialmente detta sangue artificiale. Si tratta di una proteina vegetale che si trova in alcune leguminose, tra cui la soia, e che è in grado di trasportare ossigeno, analogamente alla nostra emoglobina. Tale sostanza è in grado di conferire alla pseudo-carne vegetale l’aspetto succulento tipico della carne di origine animale e tanto gradito ai consumatori. L’obiettivo è anche allargare la platea dei clienti avvicinando sia i vegani sia i salutisti, ossia puntando al contempo su aspetti etici e sul rendere il prodotto più sostenibile e nutrizionalmente valido anche dal punto di vista della salute umana.

In commercio esistono già, com’è noto, hamburger totalmente vegetali: le aziende che li offrono cercano di creare un prodotto con le stesse caratteristiche organolettiche dell’originale, puntando a sostituire progressivamente i derivati animali. La carne vegetale ha spesso e già oggi un sapore e una quantità di proteine molto simili a quella animale, ma un impatto ambientale bassissimo se confrontato con l’alternativa tradizionale.

Per arrivare a questo risultato ogni azienda ricorre a un miscela di legumi e vegetali diversi, in modo da ottenere il colore e la compattezza necessari. Le proteine sono principalmente ottenute dalla soia, le vitamine e i minerali vengono aggiunti durante la preparazione e il colesterolo è pressoché nullo. La nota dolente è rappresentata dalla presenza di acidi grassi saturi, il cui consumo non dovrebbe mai essere eccessivo. Tuttavia, il raffronto nutrizionale tra un semplice piatto di legumi e una bistecca vegetale resterà probabilmente a favore del primo, mentre la finta bistecca potrebbe invece prevalere per gusto ed estetica.

Dal laboratorio alla tavola: succulente come vere bistecche

Proviamo a compiere un salto verso il futuro, conoscendo meglio le qualità della carne sintetica, che si differenzia dalla carne vegetale. Si tratta di un particolare tipo di carne che si ottiene nutrendo con sieri di origine vegetale o animale alcune cellule animali, in genere quelle staminali, prelevate da animali vivi senza provocare loro dolore (e quindi in modo etico). Gli studi per perfezionare e ottimizzare il processo produttivo a livello industriale sono ancora in corso, ma alcuni ristoranti di Tel Aviv e di Singapore sono già stati autorizzati a inserire carne artificiale nel proprio menù.

Dopo tre mesi di nutrimento all’interno di speciali bioreattori che permettono la crescita di tessuto muscolare, si arriva a ottenere una potenziale “polpetta” da 150 grammi. Per ora non è ancora possibile mescolare fibre diverse, quindi è necessario coltivarle separatamente per poi fonderle in un secondo momento. I primi hamburger pionieristici di una decina di anni fa avevano costi di produzione molto elevati (parecchie migliaia di euro) e il problema della struttura tridimensionale della carne ottenuta è ancora oggi lontano dall’essere risolto. Se ne sta però occupando un’azienda israeliana, che si sta impegnando a fornire ai potenziali produttori di carne sintetica una piattaforma di coltivazione e crescita della carne in grado di determinare un costo al chilogrammo di circa 20 euro. Anche da un punto di vista sanitario le promesse sono incoraggianti: per la preparazione del prodotto si ipotizza infatti l’eliminazione degli antibiotici usati negli allevamenti, oltre ai pesticidi usati nei campi per produrre i mangimi, e molte altre sostanze tossiche oggi impiegate nella filiera produttiva.

La bioingegneria sta provando a fare la sua parte in questo ambizioso progetto, e probabilmente saranno i Paesi più industrializzati a utilizzare per primi questi metodi nutrizionali alternativi. Secondo alcuni studi delle università di Oxford e Amsterdam, le emissioni di gas serra causate dalla produzione di carne diminuirebbero di oltre il 90 per cento, come anche il consumo d’acqua. La produzione di carne in laboratorio, insomma, potrebbe essere un toccasana sia per il pianeta sia per l’equilibrio degli ecosistemi viventi.

Altri aspetti positivi e sfide future da perseguire

Ripensare l’industria della carne non è una sfida da poco, specialmente se teniamo presenti i tanti posti di lavoro da riconfigurare e gli effetti economici sia sul breve sia sul lungo periodo. Se questi nuovi tipi di nutrimento, alternativi alla carne tradizionale, dovranno far parte del nostro futuro, sarà necessario che i costi di produzione e il prezzo di vendita siano adeguati e concorrenziali. Prima di tutto, però, il consumatore dovrà essere messo nelle condizioni di poter avere fiducia in questa novità alimentare.

Secondo la Food and Drug Administration (Fda) statunitense, circa l’80 per cento degli antibiotici venduti negli Stati Uniti è destinato agli animali di allevamento: questo favorisce l’acuirsi delle patologie legate alla presenza di batteri, dannosi anche per gli esseri umani, che sviluppano resistenza agli antibiotici. La “carne senza la carne” potrebbe essere, dunque, una scelta non solo opportuna ma anche necessaria, considerato che la comunità scientifica concorda sull’esigenza di un cambio drastico nella dieta della popolazione mondiale. Il passaggio culturale potrebbe anche essere inevitabile se vogliamo sperare di raggiungere davvero gli obiettivi per il clima, fissati dall’Accordo di Parigi, che prevede l’azzeramento delle emissioni nette di anidride carbonica entro il 2050. Emissioni a cui gli allevamenti contribuiscono sensibilmente.

Gianluca Dotti
Giornalista scientifico freelance e divulgatore, si occupa di ricerca, salute e tecnologia. Classe 1988, dopo la laurea magistrale in Fisica della materia all’università di Modena e Reggio Emilia ottiene due master in comunicazione della scienza, alla Sissa di Trieste e a Ferrara. Libero professionista dal 2014 e giornalista pubblicista dal 2015, ha tra le collaborazioni Wired Italia, Radio24, StartupItalia, Festival della Comunicazione, Business Insider Italia, Forbes Italia, OggiScienza e Youris. Su Twitter è @undotti, su Instagram @dotti.it.
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