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Microbi in tuta spaziale

In vista delle prossime missioni umane nello spazio più lontano da noi, alcuni ricercatori stanno studiando l’insieme delle popolazioni di microrganismi che vivono nel nostro corpo, chiamate nell’insieme microbiota. Saperne di più potrebbe aiutare a proteggere la salute degli astronauti.

Perché le future spedizioni in luoghi sempre più distanti dello spazio possano diventare realtà, sono ancora tanti i problemi da superare. Gli astronauti si stanno preparando, sottoponendosi a duri ed estenuanti addestramenti, mentre i ricercatori studiano nuovi modi per tutelare la loro salute nelle ostili condizioni dello spazio. Negli ultimi tempi si sono concentrati su qualcosa di molto piccolo, numeroso ed eterogeneo: il microbiota, ossia l’insieme delle popolazioni di microrganismi che abitano nel nostro organismo e svolgono un ruolo cruciale in molti processi biologici. Forse gli astronauti non arriveranno sul Pianeta Rosso, ma è comunque fondamentale sapere come il loro microbiota possa rispondere alle condizioni estreme anche di altri ambienti spaziali.

Pericolosi squilibri

Più lo studiamo, più scopriamo quanto è determinante: il microbiota non aiuta soltanto a regolare le funzioni intestinali, ma influisce anche sulle nostre risposte immunitarie, e può inoltre condizionare le funzioni cognitive, il sonno e numerosi comportamenti. La sua composizione è estremamente varia da individuo a individuo, in quanto è influenzata da molti fattori. Alcuni sono sotto il nostro controllo, come la dieta, l’igiene personale, le abitudini e i comportamenti, mentre altri, come i partner e l’ambiente in cui viviamo, non dipendono esclusivamente da noi.

Possiamo immaginare il microbiota come un enorme gruppo di popolazioni distinte di microrganismi che convivono tra loro e insieme alle nostre cellule. In condizioni ottimali queste popolazioni mantengono un equilibrio tale per cui nessuna colonia sovrasta le altre, tutte reagiscono adeguatamente agli stimoli esterni e promuovono la salute dell’individuo che li ospita. Ma un cambio improvviso dell’alimentazione, un innalzamento dei livelli di stress o una banale diarrea possono generare scompensi nelle popolazioni microbiche. Questi squilibri prendono il nome di disbiosi e possono contribuire allo sviluppo di diverse patologie, tra cui l’infiammazione dell’intestino, l’obesità, il diabete o la sclerosi multipla.

Studiare un nuovo ecosistema

Negli anni gli scienziati hanno attuato almeno due strategie per studiare come, durante le missioni spaziali, può cambiare il microbioma, ovvero l’insieme dei patrimoni genetici presenti nel microbiota. Hanno cercato innanzitutto di ricreare sulla Terra alcune delle condizioni estreme dello spazio, scontrandosi però con alcuni limiti oggettivi. Inoltre hanno provato a monitorare direttamente gli astronauti, ma le persone che hanno viaggiato o soggiornato nello spazio fino a oggi sono solo 600, e tutte si sono trattenute lassù per un periodo massimo di sei mesi. Si tratta di un campione piccolo e di un periodo troppo breve per raccogliere risultati solidi e statisticamente affidabili.

Tuttavia, grazie a simulazioni di spedizione, come per esempio il Mars500 project e l’Hawaii Space Exploration ANalog and Simulation IV (HI-SES-IV), e alle missioni di alcuni astronauti nello spazio, è stato possibile dimostrare che il microbioma verosimilmente cambia fuori dall’orbita del nostro pianeta. Infatti, le condizioni estreme possono provocare una vera e propria lotta per la sopravvivenza tra i microrganismi, dove le popolazioni dominanti prevalgono su quelle più deboli. Altre variazioni significative sono state registrate in uno studio del 2019, che ha messo a confronto il microbioma dei due gemelli Kelly, entrambi astronauti. Scott ha però soggiornato a lungo nella Stazione spaziale internazionale (ISS), mentre Mark ha viaggiato nello spazio senza però fermarsi lassù. Ne è risultato che nell’intestino di Scott si erano ridimensionate le popolazioni dei batteri Bacteroidetes e Firmicutes, collegate rispettivamente a problemi neurologici, metabolici, del sistema immunitario e relativi alla digestione di fibre e amido.

Allargando la prospettiva, i diversi esperimenti hanno mostrato che a trasformarsi è l’intero ecosistema di una base spaziale e dei membri che lo popolano. Si tratta infatti di un ambiente piccolo e chiuso, dove per lungo tempo un gruppo ristretto di persone vive a contatto ravvicinato, assumendo alimenti poco vari e uguali per tutti, ed espletando tutte le altre funzioni vitali. La conseguenza, misurata, è una diminuzione della biodiversità all’interno del microbioma di ogni astronauta. Si riducono le differenze tra i membri dell’equipaggio e, ancora una volta, sono avvantaggiate le popolazioni di microrganismi dominanti, mentre tutti gli individui sono maggiormente fragili e vulnerabili agli stimoli esterni. Nelle prossime spedizioni, che si preannunciano sempre più lunghe e ambiziose, un adeguato monitoraggio del microbioma dell’equipaggio potrebbe aiutare a fare la differenza.

Tutto sotto controllo

Per la sfida di raggiungere distretti spaziali sempre più remoti, i ricercatori hanno già programmato un dettagliato piano di monitoraggio del microbioma e di altri parametri fisici, come i livelli di stress e la quantità di cibo assunta. L’obiettivo è ottenere una panoramica completa sullo stato di salute degli astronauti per trovare nuove relazioni di causa ed effetto, e inoltre identificare istantaneamente ogni eventuale segnale di malessere.

L’intensità dei controlli sarà diversificata a seconda della fase della spedizione: le verifiche saranno giornaliere nei periodi di massima allerta, per esempio nei giorni che precedono il decollo o al momento dell’arrivo, e meno frequenti durante il viaggio di andata e ritorno. Per le rilevazioni sono già stati progettati dei macchinari resistenti, portatili e pratici, capaci di sequenziare il genoma del microbiota e restituire in poco tempo informazioni sulla presenza di batteri patogeni. Se qualche parametro si discosterà dalle previsioni, si azionerà un sistema di allarme automatizzato, capace di identificare l’agente responsabile della perturbazione fisica prima ancora che si manifestino sintomi.

Prevenzione: lavori in corso

Oltre al monitoraggio delle perturbazioni del microbioma degli astronauti, i ricercatori stanno lavorando alla prevenzione, affinché i malesseri fisici e psichici dell’equipaggio siano ridotti al minimo. Per le prossime spedizioni spaziali si dovranno anche sviluppare nuovi metodi per ridurre lo stress, ripensare i sistemi di sterilizzazione, conservazione e preparazione del cibo, garantire l’apporto di fibre nella dieta e limitare l’assunzione di antibiotici, in modo da non abbattere ulteriormente la biodiversità del microbiota. Bisognerà migliorare i sistemi di monitoraggio dell’aria e selezionare con cura i detergenti e i prodotti per la pulizia personale, così da evitare la crescita di popolazioni microbiche patogene. Allo stesso tempo, si dovrà approfondire ulteriormente ciò che già sappiamo sul microbiota. Oggi non sono ancora noti tutti gli effetti delle spedizioni spaziali sui suoi equilibri, e la ricerca punta a una conoscenza più specifica e personalizzata del microbiota di ogni astronauta.

Per fortuna gli scienziati hanno ancora tempo per studiare tutte queste dinamiche e scoprire nuovi modi per monitorare e prendersi cura del microbioma degli astronauti. La prima spedizione con equipaggio umano su Marte, se mai si avvererà (gli ostacoli da superare sono infiniti!), non è prevista prima della fine del 2030 o dell’inizio del 2040.

Camilla Fiz
Comunicatrice della scienza, ha terminato il master in comunicazione della scienza alla SISSA di Trieste, dopo una formazione in biotecnologie molecolari all’Università degli studi di Torino e in pianoforte al Conservatorio Giuseppe Verdi della stessa città. Oggi si occupa della realizzazione e revisione di testi sui temi di salute e ricerca biomedica per Fondazione AIRC.
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