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Quando le opere d’arte svelano antichi tumori

Sculture e dipinti del passato possono essere rivelatori della presenza di malattie oncologiche: ne sono un esempio almeno due opere rinascimentali italiane, testimoni preziose di casi cinquecenteschi di tumore al seno, analizzate in dettaglio da uno studio i cui risultati sono stati pubblicati su The Lancet Oncology.

Sono tante le opere d’arte del passato dai cui dettagli è possibile cogliere informazioni su aspetti non solo culturali, sociali o storici, ma anche sanitari, dell’epoca in cui sono state realizzate.

Accanto agli esempi più eclatanti di amputazioni, protesi e malformazioni evidenti, un’analisi più dettagliata di dipinti e sculture può rivelare molto anche a proposito di malattie meno appariscenti, come una neoplasia in stato più o meno avanzato. Anche se in molti casi il tumore non è di per sé visibile a occhio nudo, quando colpisce un tessuto più superficiale può determinare deformazioni e alterazioni apprezzabili e ben riconoscibili. Tanto da essere immortalate nelle tinte e nelle forme di opere dall’incredibile fedeltà anatomica, come quelle tipiche del Rinascimento italiano.

Quanto basta per fare una diagnosi

Ciò che rende la questione davvero degna di nota, dal punto di vista scientifico, è la possibilità di approssimare oggi valutazioni e diagnosi su tumori vecchi di mezzo millennio. Le opere d’arte infatti ci aiutano a confermare l’esistenza, anche in epoche così lontane dalla nostra, di neoplasie, su cui peraltro solo raramente si interveniva chirurgicamente. Inoltre consentono di ipotizzare, in base ad alcuni dettagli, il più probabile tipo di tumore, il possibile stadio di avanzamento, in certi casi gli effetti fisiologici determinati dalla malattia e lo stato di salute generale della persona.

Di questo genere di studi si occupa la paleopatologia, ossia il ramo della medicina che studia resti umani del passato, e in particolare una sottobranca di questa disciplina chiamata paleopatografia. Questa si occupa in particolare di analizzare non scheletri, mummie e tracce di DNA, bensì le fonti letterarie, le opere d’arte, i documenti o altre rappresentazioni grafiche. L’obiettivo è capire come sono cambiate nel corso dei secoli le malattie che hanno interessato i nostri antenati, e ricavarne informazioni utili anche per il presente e il futuro della medicina.

Due casi emblematici di tumore al seno

Uno degli esempi più eclatanti di quanto la paleopatografia e l’arte possano ancora oggi insegnarci a proposito di tumori è uno studio anglo-italiano i cui risultati sono stati pubblicati sulla prestigiosa rivista The Lancet Oncology e che ha come primo autore Raffaella Bianucci dell’università di Warwick, nel Regno Unito. L’attività di ricerca si è concentrata in particolare sul tumore al seno, e ha preso in considerazione due famose opere italiane realizzate nel Cinquecento.

La prima è La notte, un olio su pannello dipinto da Michele di Rodolfo del Ghirlandaio (Michele Tosini), che è la trasposizione pittorica della statua in marmo omonima scolpita da Michelangelo Buonarroti nella Chiesa di San Lorenzo a Firenze. Nella mammella sinistra della statua era stato già da tempo identificato chiaramente un tumore, possibilmente presente nella modella che forse aveva posato. Un grande oncologo come Gianni Bonadonna mostrava spesso l’immagine di La notte di Michelangelo nelle sue conferenze.

Le sfumature di colore del dipinto del Ghirlandaio hanno tuttavia permesso di fare emergere altri dettagli rilevanti, invisibili in un’opera scultorea. Oltre al rigonfiamento attorno al capezzolo, la pittura rivela una regione irritata in quell’area che, combinata con la retrazione quasi completa del capezzolo stesso e la netta riduzione del volume del seno sinistro, ha portato a concludere che si trattasse di una neoplasia maligna nella regione centrale del seno sinistro.

Qualcosa di simile vale anche per Allegoria della Fortezza di Maso di San Friano (Tommaso Manzuoli), un dipinto olio su pannello oggi esposto alla Galleria dell’Accademia, sempre a Firenze. In questo caso la donna protagonista della raffigurazione ha il seno sinistro nettamente sovradimensionato rispetto al destro, con un rigonfiamento nel quadrante mediale inferiore. Analizzando l’opera nei dettagli, si notano anche la dilatazione delle vene, una tumefazione della pelle che circonda l’areola, la pelle a buccia d’arancia e un’evidente erosione della punta del capezzolo. Gli esperti hanno riconosciuto inoltre alcune minuscole ulcerazioni rotonde sotto il capezzolo e sulla parte inferiore del seno, mentre la colorazione più scura del solito della regione ascellare potrebbe derivare da un ulteriore processo di tumefazione, indicando un coinvolgimento anche dei linfonodi ascellari. Mettendo insieme tutte queste informazioni, la diagnosi proposta dagli autori della ricerca è di un carcinoma mammario ulcerato e necrotizzante con un linfedema associato.

Una testimonianza voluta?

Vista la cruda precisione anatomica con cui i dettagli del cancro e dei suoi effetti sono stati rappresentati, l’ipotesi riportata su The Lancet Oncology (qui l’articolo in versione completa, in pdf) è che la rappresentazione del carcinoma mammario fosse assolutamente voluta, come modo per far sapere al mondo e attraverso i secoli quanto il tumore al seno fosse all’epoca diffuso. A oggi si stima che nel periodo rinascimentale il cancro alla mammella fosse in assoluto il tipo di tumore più frequente.

Se questa elevata incidenza è nota e oggetto di studi ormai da moltissimo tempo, oggi si sta invece cercando di capire quanto fossero diffuse le neoplasie benigne rispetto a quelle maligne, quanti fossero i tumori veri e propri in confronto ad altri tipi di patologie che interessano la stessa parte del corpo, e quale fosse l’effettivo stato di sviluppo del cancro nelle persone rappresentate nelle opere d’arte. E chissà che conoscere più da vicino questi dettagli di sculture e dipinti del passato possa valere come azione di sensibilizzazione per enfatizzare – pur cinquecento anni dopo – l’importanza della prevenzione, degli screening e della diagnosi precoce.

Gianluca Dotti
Giornalista scientifico freelance e divulgatore, si occupa di ricerca, salute e tecnologia. Classe 1988, dopo la laurea magistrale in Fisica della materia all’università di Modena e Reggio Emilia ottiene due master in comunicazione della scienza, alla Sissa di Trieste e a Ferrara. Libero professionista dal 2014 e giornalista pubblicista dal 2015, ha tra le collaborazioni Wired Italia, Radio24, StartupItalia, Festival della Comunicazione, Business Insider Italia, Forbes Italia, OggiScienza e Youris. Su Twitter è @undotti, su Instagram @dotti.it.
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