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Protesi dall’antichità

Un viaggio indietro nel tempo fino alle remote origini della medicina protesica, fino a molti millenni fa, grazie a tutto quello che l’archeologia moderna ci racconta sulla storia e sull’evoluzione delle protesi.

Legno, pelle, oro, ferro, argento, cartapesta, filo e non solo: moltissimi materiali sono stati utilizzati nei secoli per realizzare delle protesi, anche da molto prima di quanto spesso si creda. La pratica di realizzare protesi per rimpiazzare parti del corpo mancanti o perdute risale ad almeno 5.000 anni fa, e iniziò a essere praticata con una certa regolarità già nell’antico Egitto, nel 3.000 avanti Cristo.

Si tratta di un percorso di ricostruzione storica per niente scontato: a eccezione dei metalli, molti dei materiali utilizzati in passato per le protesi sono andati incontro a decomposizione e sono quindi scarsi i reperti che si sono conservati intatti, o di cui sia stata perlomeno possibile l’identificazione da parte degli archeologi. Sono stati spesso i processi di mummificazione (quasi sempre artificiali, e solo in pochi casi avvenuti tramite processi naturali) che hanno preservato le antiche protesi dall’azione del tempo, e che oggi ci offrono rari ma significativi esempi di come siano evolute nel tempo pratiche e metodi di realizzazione delle protesi stesse.

Le protesi dei nostri tempi hanno spesso un duplice ruolo, funzionale ed estetico. Perché possano soddisfare al meglio queste esigenze, vi sono molte diverse strategie, anche d’avanguardia, messe a punto grazie all’impiego di biomateriali, della stampa 3D e a volte dell’avanzatissima soft robotics. In passato, però, la limitata capacità tecnologica faceva sì che spesso uno solo di questi obiettivi potesse essere perseguito. Per esempio, una protesi oculare per sostituire un occhio che aveva perso la vista non poteva che avere uno scopo essenzialmente estetico, mentre nel realizzarne una di gamba si cercava, per quanto possibile, di sostituire anche le funzioni dell’arto andato perduto.

Dal mito alla storia, tra Egitto e Iran

La prima testimonianza scritta riguardo al possibile uso di protesi nell’antichità ci arriva dal mito dell’occhio di Horo, secondo cui al dio egizio Horo venne estratto l’occhio sinistro, poi sostituito con un nuovo bulbo oculare grazie all’intervento della divinità Thot. La storia viene oggi ritenuta ispirata a interventi protesici che verosimilmente si verificavano all’epoca in Medio Oriente. Nell’attuale territorio iraniano sono stati per esempio ritrovati i resti risalenti al 3.000-2.800 avanti Cristo di una protesi oculare, indossata da una persona evidentemente di alto rango. Più precisamente si trattava di un occhio finto di due centimetri e mezzo di diametro costituito da pasta bituminosa e rivestito da un sottile strato d’oro.

Che la regione medio-orientale sia stata la culla della medicina protesica ormai è un fatto accertato. Celebre è in questo senso il cosiddetto “Cairo toe (piede del Cairo), la più antica protesi ritrovata integra, datata tra il 950 e il 710 avanti Cristo. I resti della sua proprietaria sono stati trovati vicino alla città egiziana di Luxor, e la protesi corrispondeva a una parte del piede destro, alluce incluso. Per molti motivi questo manufatto è oggi di grandissimo interesse scientifico, tanto che i risultati di alcuni studi su questo argomento sono stati pubblicati anche sulla prestigiosa rivista medica The Lancet.

Anche in altri corpi mummificati sono state trovate protesi, realizzate però solo in occasione della sepoltura. Con ogni probabilità invece il Cairo toe è stato utilizzato dalla sua proprietaria in vita: fatta di legno, pelle animale e filo, è una perfetta e incredibilmente raffinata riproduzione anatomica dell’avampiede femminile e, soprattutto, svolge alla perfezione la sua funzione di supporto alla deambulazione. Ne siamo certi, oggi, perché riproduzioni di questa protesi sono state fatte indossare a volontari privi della stessa parte di piede, i quali hanno confermato quanto possa migliorare il comfort all’interno delle classiche calzature tipiche dell’antico Egitto. Coeva a questa protesi è almeno un’altra, ritrovata anch’essa in Egitto, costituita da una sorta di cartapesta: ancora più raffinata dal punto di vista estetico, ma certamente inutilizzabile per camminarci sopra.

Non solo gli egizi erano abili nel ricreare parti del corpo umano. Risale a 3.200 anni fa un reperto di una gamba metallica, trovato in Asia, che apparteneva presumibilmente alla donna guerriera Vishpala, descritta nei cosiddetti “Inni dei Veda (Ṛgveda), testi collocati storicamente tra il 2.000 e il 1.500 avanti Cristo. Nell’antica Roma sono stati invece trovati degli involucri protesici in bronzo, che però avevano con tutta probabilità una funzione esclusivamente estetica.

Tanti esempi dal mondo antico

Al di là dei casi citati, che sono probabilmente i più celebri perché di grande interesse sia storico sia scientifico, diversi altri esemplari di protesi sono stati ritrovati soprattutto negli ultimi decenni di studi e scavi. Nel 2007 è stata rinvenuta, in Cina, una gamba di legno vecchia di circa 2.200 anni, indossata da un uomo sulla cinquantina il cui ginocchio era verosimilmente rimasto paralizzato per via di un’infezione che gli rendeva impossibile camminare. La protesi fu realizzata senza intervenire sulla gamba del paziente e conteneva parti anatomiche delle zampe di un cavallo. Fu indossata, secondo gli storici, per parecchi anni prima della morte.

Decisamente più recente, ma di certo all’avanguardia, è una protesi dentale ritrovata in Italia e che risale al 1.600 circa. Fu realizzata agganciando insieme cinque denti di altre persone grazie a una striscia d’oro, e poi fissata alle arcate grazie a “chiodini” sempre in oro. Non sappiamo a chi fosse destinata, ma è stata ritrovata in un monastero francescano in Toscana. Del sesto secolo dopo Cristo, invece, sono i resti di un uomo ritrovato in un cimitero austriaco e che aveva subito l’amputazione di parte di una gamba. La notizia in questo caso non è l’amputazione in sé, ma la presenza nell’arto di un anello in ferro che consentiva di “agganciarvi” una protesi della parte di gamba mancante.

Altro celebre esempio nostrano è la protesi di Capua, forse l’arto artificiale più antico del mondo, che prende il nome dall’omonimo comune campano in cui è stata ritrovata. Datata intorno al 300 avanti Cristo, si tratta di una ricostruzione in bronzo di un ginocchio e della parte inferiore della gamba, che presumibilmente era possibile agganciare alla coscia con delle bande metalliche. Una riproduzione dell’originale è esposta al Science Museum di Londra.

E se nell’Impero romano le protesi erano una rarità, lì come altrove vi era un’ovvia consuetudine sociale: solo i più ricchi, i più potenti e i più valorosi potevano ottenerne una. Le ragioni erano soprattutto economiche, anche perché spesso le protesi richiedevano continue manutenzioni e perfezionamenti, dunque solo i grandi generali, le donne di altissimo rango, i sovrani, gli eroi di guerra e i funzionari più in vista potevano permettersele.

Gianluca Dotti
Giornalista scientifico freelance e divulgatore, si occupa di ricerca, salute e tecnologia. Classe 1988, dopo la laurea magistrale in Fisica della materia all’università di Modena e Reggio Emilia ottiene due master in comunicazione della scienza, alla Sissa di Trieste e a Ferrara. Libero professionista dal 2014 e giornalista pubblicista dal 2015, ha tra le collaborazioni Wired Italia, Radio24, StartupItalia, Festival della Comunicazione, Business Insider Italia, Forbes Italia, OggiScienza e Youris. Su Twitter è @undotti, su Instagram @dotti.it.
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