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Binge drinking: un passo verso problemi di salute e dipendenza da alcolici

Il cosiddetto “binge drinking” è l’abitudine ad assumere saltuariamente alcolici in grandi quantità. È una pratica che può portare numerosi problemi, tra cui un aumentato rischio di cancro e malattie cardiovascolari, disturbi di salute mentale e dipendenza da alcol. Il comportamento è diffuso tra gli adulti, ma anche tra i più giovani e tra i minorenni, che a maggior ragione non dovrebbero, anche per legge, assumere alcolici. Come limitare il problema?

 

“Stasera ci ubriachiamo?” Il binge drinking è un consumo episodico ma eccessivo di alcol, che consiste nell’assunzione di circa 6 o più bicchieri di bevande alcoliche in un breve arco di tempo. È anche una delle attività più diffuse in Italia nel fine settimana. In Italia, secondo le stime del Sistema monitoraggio alcol (SISMA) riportate dall’Istituto Superiore di Sanità, nel 2020 oltre 3 milioni e mezzo di persone sopra gli 11 anni si sono cimentate in questa pratica. A dedicarsi al binge drinking sono soprattutto le persone tra i 18 e i 24 anni (circa il 18 per cento dei maschi e l’11 per cento delle femmine), ma l’abitudine è diffusa anche tra i più giovani. Nel 2021 più di 83.000 i minorenni si sono ubriacati almeno una volta.

Quando pensiamo agli alcolici ci vengono soprattutto in mente momenti di convivialità, celebrazioni e relax. Non a caso durante il periodo di restrizioni pandemiche, con la chiusura dei locali e le minori occasioni di incontro, il consumo di alcolici in Italia si era ridotto, per poi tornare a valori pre-pandemici nel 2022. Ma si beve alcol anche per sopire emozioni negative, spesso in solitudine. In ogni caso, l’alcol è, anche in quantità limitate, un fattore di rischio per problemi di salute a carico di molti organi. Rischi che aumentano superando le dosi consigliate, anche “solo una volta ogni tanto”. E al di sotto dei 25, dei 18, dei 15 anni d’età i problemi che ne derivano sono ancora di più.

 

L’alcol per gli esseri umani (e gli altri animali)

Non è raro trovare animali, come macachi, alci, pipistrelli della frutta e tupaie, che si sono ubriacati: proprio come noi, barcollano, cadono e rigurgitano. Questi animali appartengono a specie che si nutrono prevalentemente di frutta o nettare, alimenti che quando fermentano producono appunto etanolo. Assumere cibi contenenti etanolo può offrire qualche vantaggio evolutivo: essendo ricchi di energia, possono favorire la sopravvivenza in ambienti dove c’è poco da mangiare. Probabilmente è anche per questo, oltre che per il gradevole effetto di piacere e di attenuazione degli stimoli d’ansia e di paura, che l’umanità si nutre di alimenti alcolici fin dall’età della pietra, e forse anche da prima. Un’altra probabile ragione per cui fin dall’antichità si sono bevuti alcolici è che l’etanolo è un disinfettante, quindi utile in epoche in cui l’acqua non era potabile ed era un’importante fonte di infezioni.

Bere insieme è un’abitudine radicata, che forse ha anche avuto un ruolo nel rendere le comunità umane più coese. Com’è emerso da una ricerca svolta nel sito archeologico turco di Göbekli Tepe, la condivisione di bevande fermentate (tra cui alcuni alcolici) e di alimenti cotti potrebbe aver contribuito alla formazione di gruppi sociali tra popolazioni umane nel corso della rivoluzione agricola, risalente a circa 11.000 anni fa. L’uso conviviale degli alcolici è una consuetudine talmente consolidata e socialmente accettata che chi non ne fa uso si sente in dovere di giustificarsi, quasi l’astinenza fosse una colpa.

Oggi sappiamo che l’assunzione di alcol provoca oltre 200 malattie, tra cui alcuni tipi di tumore, disturbi cardiovascolari e problemi cognitivi. Se c’è chi sostiene che alcuni alcolici contengono anche sostanze benefiche, i benefici non superano i rischi (su WonderWhy ne abbiamo parlato qui). Inoltre, bere alcolici favorisce gli incidenti stradali, i rapporti sessuali non protetti, l’assunzione di sostanze stupefacenti, violenze, suicidi e altri comportamenti che possono avere esiti gravi o fatali su chi beve e chi sta loro intorno. Per esempio, bere in gravidanza può comportare gravi conseguenze per il feto, tra cui alcune malformazioni, ritardi dello sviluppo e disordini che insieme costituiscono il cosiddetto spettro dei disordini feto-alcolici. E per le persone sotto i 25 anni l’alcol è il primo fattore di rischio per morte prematura e disabilità.

 

Perché continuiamo a bere alcolici?

Dal punto di vista fisiologico, assumere alcol riduce l’ansia, e provoca un senso di euforia perché stimola il “centro del piacere” o “circuito della gratificazione”. Si tratta di circuiti cerebrali che, quando facciamo qualcosa di piacevole, per esempio il sesso, inducono la produzione di molecole come endorfine e dopamina, che a loro volta provocano piacere e distensione. Queste esperienze lasciano tracce fisiche sia nei recettori cerebrali sia nei circuiti della memoria, che ci motivano a ripetere l’esperienza per ritrovare le sensazioni piacevoli. È a causa di uno scompenso di questi meccanismi che può iniziare una dipendenza da alcolici, un circolo vizioso in cui alla prima sensazione piacevole seguono ansia e stress molto forti e anche sintomi più invalidanti, come tremori e nausea. Per sopire queste sensazioni la persona beve di nuovo, ma i recettori dell’alcol sui neuroni non rispondono più alla dose iniziale. Per questo l’appagamento iniziale non si riproduce, e così si beve sempre di più, mettendo a rischio la propria salute, le attività quotidiane, la vita.

Fattori individuali e contesto familiare e sociale hanno un ruolo importante. Semplificando, come è stato schematizzato in un articolo pubblicato su Current Directions in Psychological Science, a spingere a bere in modo poco controllato possono essere da un lato la tendenza a bere per socializzare, collegando l’alcol a emozioni ed esperienze positive, e dall’altro la volontà di far fronte a emozioni negative. Speranze mal riposte, che possono portare a stare male psicologicamente e fisicamente. Un altro rischio è l’abitudine al consumo di alcol in famiglia: i figli di alcolisti hanno probabilità circa 4 volte maggiori rispetto alla popolazione generale di sviluppare problemi simili. Il rischio in questo caso non è legato a fattori genetici, bensì a comportamenti da imitare, al fatto che un consumo eccessivo non è stigmatizzato e all’ampia disponibilità di alcolici in casa.

 

Quando il troppo stroppia?

Per capire quanto alcol beviamo viene in auto l’unità alcolica standard (UA), che corrisponde a 12 grammi di etanolo puro. È la quantità di alcol contenuta all’incirca in una lattina di birra da 330 millilitri, un bicchiere di vino (125 millilitri) o un bicchierino di liquore (40 millilitri), considerando le gradazioni alcoliche tipiche di queste bevande (circa 4,5 gradi per le birre, 12 gradi per i vini e 40 gradi per i superalcolici). L’adulto medio, con variabilità legate alla persona e all’aver mangiato o meno, riesce a metabolizzare questa quantità di etanolo in circa un’ora, senza avere un’intossicazione, di cui tipicamente ci accorgiamo con l’ubriacatura. I danni degli alcolici, però, passano più inosservati e arrivano già con le prime gocce di alcol.

Uno dei motivi per cui bere alcolici è dannoso è che il nostro organismo converte l’etanolo in acetaldeide, una molecola che provoca danni al DNA e mutazioni genetiche potenzialmente cancerogene. Perciò anche il consumo moderato di alcolici è associato allo sviluppo di tumori, come mostrano dati recenti riferiti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, nonché disturbi cardiovascolari, problemi all’apparato digerente e altri disturbi. Per cui, non esiste una soglia sicura di assunzione di alcol. Ma allora perché numerose istituzioni sanitarie, come l’Istituto Superiore di Sanità, in linea generale raccomandano di non superare una UA al giorno per le donne e due UA al giorno per gli uomini?

Le istituzioni usano le unità alcoliche standard per definire un consumo moderato e che comporta rischi per la salute modesti. Le istituzioni non parlano di rischio zero. La raccomandazione nasce dal fatto che più si beve più aumentano i problemi, sia acuti sia cronici. E a maggior rischio sono anche il consumo fuori pasto e il consumo alcolico episodico eccessivo: superare, nel corso di una giornata, le 5 unità alcoliche per gli uomini o 4 per le donne, anche occasionalmente, aumenta notevolmente il rischio di lesioni ad alcuni organi e altri effetti dannosi per l’organismo. Al di sopra di queste soglie si parla di consumo episodico eccessivo, che nel nostro Paese è praticato soprattutto tra gli uomini, le persone socialmente più avvantaggiate, coloro che hanno un alto livello di istruzione e persone sotto i 24 anni.

 

Il binge drinking e i giovani

Più tardi si inizia a bere alcol, meglio è. Prima dei 16 anni, le persone non hanno ancora sviluppato l’enzima che consente di metabolizzare l’alcol, per cui rischiano di andare incontro a effetti tossici più importanti. Ma i rischi sono importanti anche più avanti: durante lo sviluppo, l’assunzione di alcolici può interferire con la normale crescita dell’organismo; per esempio, il sistema nervoso termina il suo sviluppo intorno ai 25 anni, e l’alcol può far sì che sviluppi anomalie strutturali, causando problemi cognitivi, come una riduzione della capacità di memorizzazione fino al 30 per cento, e alterazioni del comportamento e della personalità. Per esempio, sfavorendo il consolidamento della razionalità della persona. Non sono rari, poi, i casi di violenza, gli incidenti e i tentativi di suicidio associati all’assunzione di alcolici a queste età. Inoltre, per il recente aumento di casi precoci di tumore del colon retto tra i giovani non sono chiare le cause, ma l’abuso di alcol è uno tra i fattori di rischio più sospettati.

I risultati di diversi studi longitudinali, che cioè seguono gli stessi gruppi di persone per un lungo periodo di tempo, mostrano che iniziare a bere prima dei 16 anni, a prescindere dalle quantità, favorisce lo sviluppo di disturbi da uso di alcol come la dipendenza. E prima si inizia, o più si beve, e peggio è.

 

Come contrastare il fenomeno

Uno dei primi passi per ridurre l’abuso di alcolici, episodico o meno, è cambiare la prospettiva sull’alcol, affinché sia identificato in primo luogo con i danni che porta alla salute e alla società. In Italia, come riportano i dati di PASSI 2021-2022, persino gli operatori sanitari sensibilizzano troppo poco sul tema, dal momento che solo il 7 per cento dei consumatori a maggior rischio intervistati aveva ricevuto il consiglio di bere meno alcolici.

Per i giovani sono importanti progetti scolastici e campagne di sensibilizzazione (per esempio nelle palestre e sui social) che educhino al consumo zero fino ai 25 anni e a stare in guardia dalle campagne dell’industria degli alcolici. Ma i familiari hanno un ruolo particolarmente importante, innanzitutto con il loro esempio, che influenza significativamente il rapporto tra i giovani e l’alcol. Inoltre, spesso sono loro a rendere accessibili gli alcolici, mentre dovrebbero controllare che i ragazzi non bevano e informarli dei rischi, all’interno di un rapporto di ascolto e supporto. Un altro strumento utile è la psicoterapia, utile a fornire ai giovani gli strumenti per essere assertivi e gestire correttamente le emozioni.

Per prevenire l’assunzione eccessiva di alcolici l’Organizzazione mondiale della sanità consiglia di agire anche a livello normativo, regolando la disponibilità degli alcolici, aumentandone il prezzo per ridurre la domanda e favorendo politiche di controllo efficaci. Al pari di quanto si fa per altre sostanze d’abuso meno accettate socialmente.

È poi importante individuare casi a rischio di abuso alcolico, rafforzando la formazione obbligatoria del personale sanitario, i servizi di screening (come i test di identificazione dei disturbi da abuso di alcool, gli screening AUDIT) e l’impatto dei servizi di alcologia come gli Alcolisti anonimi, AICAT e il telefono verde alcol.

Per un futuro più libero dagli alcolici, le nuove tecnologie possono costituire risorse ulteriori. I consulti online aiutano a gestire la depressione e ridurre l’uso di alcol, gli influencer e altre figure di spicco sui social potrebbero aiutare a sensibilizzare e, secondo studi preliminari, anche app ben studiate potrebbero favorire la riduzione del consumo di alcolici.

 

Jolanda Serena Pisano
Dopo una laurea triennale in scienze biologiche e la laurea magistrale in Evoluzione del comportamento animale e dell'uomo presso l'Università degli studi di Torino, ha conseguito il master in comunicazione della scienza MaCSIS dell'Università degli studi di Milano-Bicocca. Si occupa di comunicazione della scienza dal 2019, principalmente come redattrice di contenuti per siti rivolti a pubblici vari e per eventi rivolti ai professionisti della salute. Nel 2023 è diventata Caporedattrice di BioPills, associazione senza scopo di lucro di divulgazione scientifica. Per AIRC, in qualità di Scientific Communication and Dissemination Specialist, redige e revisiona testi, è responsabile editoriale del sito WonderWhy.it e cura la comunicazione di progetti di ricerca europei.
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