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Che cos’è l’adroterapia?

Adroterapia

Di cosa parliamo quando parliamo di terapia con adroni e nuclei: come funziona? In quali casi viene praticata? Quali sono i limiti della sua applicazione?

Sono oltre 260.ooo i pazienti nel mondo che sono stati sottoposti a un ciclo di adroterapia, una forma particolare di radioterapia che, anziché i raggi X o gamma, impiega sia le particelle costituenti del nucleo atomico (soprattutto protoni), sia interi nuclei atomici di alcuni elementi. Vediamo in cosa consiste e per quale motivo è utile e interessante.

Tutto ha avuto origine con la radioterapia

Il primo a suggerire di utilizzare le radiazioni ionizzanti per uso terapeutico fu un medico austriaco, Leopold Freund, nel 1896, poco dopo la scoperta dei raggi X. Era stato osservato che l’esposizione prolungata a questo tipo di radiazioni causava bruciature alla pelle e si era quindi pensato che potessero essere usate per distruggere o danneggiare tessuti malati in modo selettivo.

I raggi X, cui si affiancarono presto altri tipi di radiazioni ionizzanti, furono inizialmente applicati con successo a lesioni della pelle prodotte da malattie come tumori e lupus, e in seguito il loro uso fu esteso ad altre parti del corpo. Nasceva così la radioterapia, il cui principio di cura si basa sull’osservazione che le cellule malate sono più suscettibili agli effetti ionizzanti della radiazione, e pertanto hanno maggiori probabilità di subire un danno irreparabile rispetto alle cellule sane.

La radioterapia oggi e i suoi limiti

Oggi la radioterapia viene utilizzata per trattare il 60 per cento circa dei pazienti oncologici e un certo numero di altre condizioni non tumorali. Le dosi di radiazioni ricevute dai pazienti sono centinaia di volte inferiori rispetto a quelle utilizzate nei primi anni del Novecento, e lo sviluppo di apparecchiature e software sempre più precisi ha permesso di concentrare le radiazioni il più possibile nell’organo malato.

Tuttavia, chi si sottopone a radioterapia può andare incontro a una serie di effetti collaterali, anche a lungo termine, più o meno comuni, tra cui un aumento del rischio di sviluppare tumori secondari, fibrosi dei tessuti, problemi cognitivi e disturbi cardiovascolari. Per capire da dove derivino tali effetti, è necessario comprendere come i vari tipi di radiazione interagiscano con la materia che attraversano.

La fisica della radioterapia con fotoni (e il perché dell’adroterapia)

I raggi X e gamma fanno parte dello spettro delle radiazioni elettromagnetiche, il cui quanto di energia è il cosiddetto fotone. Man mano che queste radiazioni penetrano in uno spessore di materia, interagiscono con gli atomi che trovano lungo il percorso e cedono gran parte della loro energia, che diminuisce così in modo proporzionale allo spessore di tessuto attraversato. Questo significa che, se si cerca di raggiungere una lesione posta in profondità nel nostro corpo, l’energia “persa” dalle radiazioni rischia di avere un impatto sui tessuti sani.

Sono stati messi a punto bracci rotanti che focalizzano il fascio di radiazioni nella zona malata, ma esse possono comunque causare un certo danno cellulare in un’area diffusa più ampia rispetto alla zona da trattare. Anche gli elettroni sono usati in radioterapia, ma la loro energia viene interamente assorbita dai primi millimetri di tessuto. Questo li rende molto efficaci per colpire i tessuti cutanei risparmiando quelli profondi, ma non quando si cerca di fare l’opposto.

Per questo motivo è importante ricercare nuove strategie per minimizzare ancora di più l’impatto della radiazione sui tessuti sani, concentrando l’effetto su quelli malati, anche se si trovano in zone più profonde del nostro corpo. Una di queste strategie è appunto l’adroterapia.

Terapia con protoni, ioni e neutroni veloci

I protoni si comportano diversamente. Anche loro interagiscono con gli atomi dei tessuti sani che attraversano, ma la frazione di energia che va dispersa nel tragitto non solo è centinaia o migliaia di volte minore, ma aumenta gradualmente all’aumentare della profondità, per poi impennarsi negli ultimi millimetri di percorso, lungo i quali i protoni cedono “in blocco” tutta la dose rimanente di energia. La regione dove si concentra il massimo dell’energia ceduta viene detta picco di Bragg.

La profondità del picco dipende dalla dose di energia con cui sono stati caricati i protoni utilizzati. Questo significa che, modulandola, è possibile riuscire a irradiare tutto lo spessore della zona da trattare. Inoltre, dato che (al contrario dei raggi gamma) i protoni sono particelle cariche, è possibile farli deviare mediante opportuni elettromagneti in modo da scansionare la sezione del tumore.

I vantaggi di questo approccio sono evidenti: si massimizzano i danni ai tessuti malati, limitando enormemente quelli sui tessuti sani, riducendo gli effetti collaterali (tra cui anche il rischio di sviluppare tumori secondari) e migliorando la qualità della vita durante il trattamento. Inoltre, questo approccio rende possibile svolgere sedute aggiuntive in caso di recidive di tumori in pazienti che hanno già subito radioterapia convenzionale.

Per alcuni tumori particolarmente resistenti si può ricorrere all’utilizzo di nuclei atomici. Il meccanismo d’azione è lo stesso ma, avendo una massa maggiore, i nuclei sono in grado di rilasciare la loro energia (e quindi il loro effetto distruttivo sui tessuti malati) in modo ancora più intenso e mirato. Per il momento, la pratica clinica prevede il solo utilizzo di nuclei di carbonio, ma sono oggetto di studio anche quelli di altri elementi come per esempio l’ossigeno.

Anche i neutroni sono utilizzati per la radioterapia. A parità di energia, infatti, producono effetti biologici sensibilmente maggiori rispetto ai protoni. Purtroppo, contrariamente ai protoni e agli ioni, i neutroni rilasciano molta energia nella parte iniziale del tragitto, ed è inoltre difficile selezionare neutroni dell’energia desiderata, il che comporta un grosso limite nella precisione del trattamento. Tuttavia i neutroni trovano ancora applicazioni nel trattamento di alcuni tumori, come quelli della prostata e delle ghiandole salivari. Esiste infine un altro approccio, quello della terapia a cattura neutronica, che però si basa su un principio di funzionamento molto differente e perciò non ne parleremo in questa sede.

L’adroterapia nel mondo e in Italia

Oggi nel mondo ci sono un centinaio di centri di adroterapia attivi, più un’altra trentina in costruzione. La gamma di neoplasie trattabili con l’adroterapia è piuttosto vasta e comprende tumori oculari, dell’encefalo, del midollo spinale, della colonna vertebrale, del collo e della base del cranio; tumori del fegato, del pancreas, dei reni e della zona pelvica e tumori solidi pediatrici.

L’Italia è stata tra i Paesi precursori della terapia con adroni. Un sincrotrone di 25 metri di diametro si trova presso la fondazione CNAO (Centro nazionale di adroterapia oncologica) di Pavia, ed è uno dei 12 acceleratori al mondo in grado di rendere possibile anche un trattamento con ioni di carbonio. CNAO nacque da un articolo seminale scritto nel 1991 dai fisici Ugo Amaldi e Giampiero Tosi; dopo una lunga fase di gestazione e costruzione, ha permesso di trattare il primo paziente nel 2011 ed è pienamente operativo dal 2014. Nel febbraio di quest’anno, è stato reso noto che la terapia con protoni somministrata presso CNAO ha curato con successo anche un caso di aritmia ventricolare, una condizione che genera gravi irregolarità del battito cardiaco aumentando il rischio di un arresto cardiaco. Vi sono inoltre il Centro di protonterapia di Trento e il centro CATANA di Catania.

Un punto sui limiti

Non bisogna però pensare che l’adroterapia faccia miracoli. Innanzitutto, per ottenere protoni e ioni con le energie desiderate occorrono apparecchiature altamente specializzate e molto costose che includono, oltre agli acceleratori di particelle già citati, dispositivi per direzionare con precisione il fascio e monitorare accuratamente la dose somministrata al paziente. Rispetto alla radioterapia convenzionale, l’effetto dell’irraggiamento con adroni dipende molto di più dalla precisione con cui si colpisce il bersaglio; questo significa che l’irraggiamento di diversi tumori addominali e toracici richiede l’adozione di tecniche sofisticate per tracciare la posizione esatta dell’area da trattare. Oltre agli investimenti iniziali, anche i costi relativi alla formazione del personale, all’operatività e alla manutenzione sono più alti rispetto alla radioterapia convenzionale.

Per questo motivo si tende a riservare l’utilizzo dell’adroterapia a condizioni non operabili e che hanno mostrato una scarsa risposta agli altri trattamenti; tanto più che alcuni ricercatori hanno mosso delle critiche ai metodi di raccolta e analisi dei dati clinici sull’adroterapia, sostenendo che allo stato attuale della ricerca non è ancora possibile stabilire con certezza una maggior efficacia della terapia con protoni o ioni rispetto alla radioterapia tradizionale.

Silvia Kuna Ballero
Classe ’79, genovese di nascita e carattere, milanese d’adozione. Astrofisica, insegnante, redattrice scolastica, giornalista e divulgatrice con un interesse particolare per la storia della scienza e il rapporto tra scienza e società.
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