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Cinque cose da sapere sulle cellule staminali

Che cosa sono? Perché vi è tanto interesse in merito? Quali stiamo già utilizzando in campo medico? E quali sono le prospettive per il loro utilizzo nel futuro? Queste e altre curiosità da scoprire.

Proviamo a immaginare di avere a disposizione un materiale tanto duttile da poterlo riadattare a ogni componente della nostra automobile: avremmo possibilità infinite di plasmare pezzi di ricambio e aggiustare ogni guasto. Analogamente la scoperta delle cellule staminali ha messo a disposizione dei ricercatori una “materia prima” che, in ambito medico, ha acceso la speranza di poter rigenerare i tessuti danneggiati dalle malattie e di rimpiazzare le cellule con mutazioni genetiche o altri danni con cellule identiche ma sane.

  1. Che cosa sono le cellule staminali?

Le staminali sono cellule immature o indifferenziate, che non hanno cioè ancora assunto le caratteristiche mature, necessarie per svolgere funzioni distinte e specifiche all’interno dell’organismo. Ne esistono svariati tipi, e possono essere presenti sia negli embrioni sia nell’organismo adulto. Rappresentano una minuscola frazione delle cellule che compongono i tessuti e, per distinguerle dalle altre, occorre isolarle e riconoscere in esse alcune proprietà peculiari. A differenza delle cellule mature, in particolare, le staminali possono dividersi in modo asimmetrico, dando luogo a una cellula identica a sé e a una cellula destinata invece alla maturazione in una cellula differenziata e specializzata.

  1. A ciascuna il proprio grado di differenziazione

Le uniche cellule staminali che hanno una totale plasticità nello sviluppo e numerosissime possibilità di differenziamento sono quelle embrionali, che per questo definiamo pluripotenti e che possono dare origine a tutti i tessuti di un organismo. Le staminali dell’adulto sono invece distribuite in diversi tessuti e possono differenziarsi solo nei tipi di cellule che compongono il tessuto dove risiedono e hanno funzioni di riparazione o sostituzione di cellule danneggiate o invecchiate.

Vi sono poi le cosiddette cellule staminali mesenchimali (MSC) definite multipotenti perché hanno la capacità di differenziarsi in diversi tipi cellulari, anche se con meno varietà rispetto alle pluripotenti. Le cellule che possono dare origine al massimo a due linee cellulari sono definite oligopotenti: ne è un esempio la frazione di staminali del sangue da cui si sviluppano le componenti rossa e bianca di questo tessuto. Altre cellule invece danno origine a un unico tipo cellulare e vengono dette per questo unipotenti. Le cellule staminali intestinali, per esempio, rigenerano solo il rivestimento dell’intestino.

  1. Il potere della riprogrammazione

Una categoria di cellule molto interessanti per gli scienziati è quella delle staminali pluripotenti indotte, conosciute anche come iPSCs (dall’inglese Induced Pluripotent Stem Cells). Si tratta di cellule derivate dalla riprogrammazione in laboratorio delle cellule somatiche, cioè tutte quelle del corpo escluse le germinali (cellula uovo e spermatozoo). La loro storia inizia nell’agosto del 2006, quando i ricercatori dell’Università di Kyoto Katutoshi Takahashi e Shinya Yamanaka dimostrano che quattro fattori di trascrizione (Oct4, Sox2, KLF4 e c-MYC, agenti che controllano l’espressione genica nelle cellule staminali embrionali) sono sufficienti a riprogrammare una cellula somatica alla pluripotenza. Cosa significa? Che le cellule differenziate con questo metodo possono acquisire nuovamente le caratteristiche tipiche delle cellule staminali embrionali: una scoperta dal potenziale applicativo enorme nel campo della medicina rigenerativa che è valsa, nel 2012, il Nobel per la medicina o la fisiologia a Yamanaka.

Al momento, le iPSCs più utilizzate nelle terapie cellulari sono di fatto le cellule staminali somatiche, che, utilizzate in trapianti autologhi, provocano meno rigetti e hanno una probabilità minore di generare potenziali tumori rispetto agli altri metodi disponibili a oggi.

Le cellule staminali pluripotenti indotte permettono inoltre di ovviare all’impossibilità di impiegare – per motivi etici – le cellule embrionali in ambito sperimentale. Tuttavia per ottenerle è necessario parecchio tempo, e i risultati raggiunti non sono sempre soddisfacenti. Un’alternativa può essere di applicare, al posto delle iPSC, la cosiddetta conversione diretta, che prevede di portare, con l’uso di fattori specifici, le cellule già differenziate (per esempio i fibroblasti che risiedono nella cute) a un punto di maturazione intermedio di un altro tessuto (per esempio, a cellule precursori del pancreas), senza dover arrivare alla pluripotenza delle iPSC.

  1. Quali stiamo già utilizzando in campo medico?

Facili da reperire in diversi tessuti e con solide procedure messe a punto per la coltura in laboratorio, le cellule staminali mesenchimali sono già usate sperimentalmente per trattare diverse patologie, come per esempio la SCID, un’immunodeficienza severa dovuta a un difetto a carico del gene ADA, difetto che è possibile correggere usando appunto le MSC. Lo stesso è accaduto per il trattamento dell’anemia di Fanconi, una malattia rara che determina malformazioni congenite e predispone a diversi tipi di tumori, e in cui invece il gene corretto grazie alle MSC si chiama FANCA.

Studi preclinici e sperimentazioni cliniche hanno già dato risultati promettenti per il trattamento di diabete mellito, leucemia mieloide cronica, cirrosi, fibrosi polmonare, morbo di Crohn e insufficienza cardiaca.

In campo oncologico, i ricercatori che si occupano del cancro gastrointestinale avanzato sono stati i primi a sperimentare un trattamento con cellule staminali. I ricercatori hanno indotto le MSC prese dal midollo osseo dei pazienti a produrre un farmaco tossico per il tumore. Uno studio clinico in fase I sta invece valutando gli effetti delle MSC per la terapia del cancro alle ovaie.

Altri studi si stanno concentrando sulla possibilità che le staminali mesenchimali agiscano come cavalli di Troia per promuovere la consegna di agenti immunostimolatori antitumorali, come le chemochine e le citochine, all’interno del tumore. Sperimentazioni sono in corso per il trattamento di melanomi e tumori al polmone, al colon-retto e alla prostata.

  1. Quali sono le prospettive per il futuro?

Malgrado i passi avanti, è ancora difficile in alcuni tipi cellulari ripristinare la funzionalità: nel trattamento delle cardiomiopatie, per esempio, non si è riusciti ancora a integrare da un punto di vista sia elettrico sia meccanico i tessuti ingegnerizzati grazie alle cellule staminali e impiantati. Per superare queste sfide, i ricercatori stanno sviluppando metodi per indurre la differenziazione ventricolare, atriale, e delle cellule pacemaker. L’impiego delle cellule staminali in ambito clinico deve inoltre fare i conti con il difficile attecchimento, la scarsa capacità di sopravvivenza e il rischio di migrazione che caratterizzano questo tipo di cellule.

Un’altra grande sfida è l’eventuale produzione su larga scala di cellule staminali possibilmente approvate per i trattamenti. Tali cellule dovrebbero essere infatti sottoposte a numerosi controlli di sicurezza oltre che di efficacia, tra gli altri motivi per verificare che non accumulino mutazioni tumorali al loro interno, e siano quindi sicure. Occorre inoltre rendere più rapide le – a oggi – lunghe procedure di preparazione, in modo che le terapie siano compatibili con malattie da trattare in fase acuta. Resta ancora un sogno la creazione di una banca di cellule staminali da donatore universale che abbiano modifiche a carico dei geni necessari per il riconoscimento immunitario. Ciò renderebbe le cellule pluripotenti e pronte all’uso per qualsiasi paziente, evitando così problemi di rigetto.

Giulia Annovi
Ha un dottorato in biologia molecolare e rigenerativa. Come giornalista scientifica collabora con diverse testate italiane. Scrive di medicina e innovazione, salute e ambiente. Con Il Pensiero scientifico editore ha pubblicato il libro Nelle reti.
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