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Il punto sulle dipendenze da Internet

Cos’è, come viene trattato e cosa lo contraddistingue rispetto alle altre dipendenze.

Nel mondo ci sono attualmente circa 4,7 miliardi di utenti attivi di Internet, ossia quasi il 60 per cento della popolazione mondiale, che navigano sugli oltre 1,8 miliardi di pagine del World Wide Web o che usano applicativi connessi alla rete. Un fenomeno di queste proporzioni è inedito nella storia dell’umanità. Internet ha diversi lati oscuri, e uno di questi sembra essere il fatto che un eccessivo uso della rete possa causare uno specifico problema di dipendenza, detto Internet Addiction Disorder (IAD).

Una dipendenza senza sostanza

L’IAD è una forma di disturbo riconosciuta da alcune associazioni di settore, come la American Psychological Association, ma non dall’Organizzazione mondiale della sanità, e non è inclusa nel DSM-5, l’ultimo aggiornamento del manuale di riferimento per i disturbi mentali. Vi è infatti tuttora un dibattito in corso se considerare la dipendenza da Internet una malattia o un problema sociale e di comportanento.

In generale gli esperti sono piuttosto restii nell’identificare come dipendenza un problema che non è legato all’abuso di una sostanza. Finora, l’unica “dipendenza senza sostanza” riconosciuta ufficialmente è quella patologica dal gioco d’azzardo. Di conseguenza, può essere difficile (sia per la persona che ne è affetta, sia per coloro che le sono vicini) riconoscere il problema e affrontarlo con l’aiuto di uno specialista qualificato.

L’IAD sembra avere caratteristiche simili ad altri disturbi da dipendenza. Chi soffre di IAD fa un uso non solo eccessivo, ma compulsivo di Internet, a livelli tali da compromettere gli aspetti personali, relazionali, accademici o professionali della propria vita, quando non la salute; allo stesso modo, la mancanza di accesso a Internet può portare a vere e proprie crisi di astinenza.

Sono state identificate a oggi cinque forme principali di IAD: la dipendenza da cybersex, la ricerca di informazioni compulsiva, la dipendenza da videogiochi online (“gaming disorder, da non confondere col gioco d’azzardo), la dipendenza da relazioni virtuali (non solo sentimentali ma anche di amicizia) e le spese compulsive in scommesse, shopping, aste online, investimenti finanziari e via discorrendo.

Va detto che la quantità di tempo passata online non è necessariamente indicativa di una condizione patologica, in quanto potrebbe essere legata a un uso professionale o a interessi personali dell’utente. Certi comportamenti sono interpretabili invece come segnali d’allarme: la persona dipendente da Internet può restare sveglia fino a ore molto tarde e arrivare in ritardo al lavoro o agli appuntamenti; può smettere di frequentare gli amici o abbandonare i propri passatempi e le proprie aspirazioni; può diventare emotivamente distante e irritabile e reagire male se viene interrotta nell’uso del computer o dello smartphone, diventare inaffidabile al lavoro non rispettando consegne e scadenze o registrare un calo di rendimento scolastico; soprattutto, tenderà a mentire sul tempo passato online, o a minimizzarlo.

Quanto è diffuso il problema?

La prevalenza dell’IAD non è facile da stimare in quanto manca una definizione uniforme del disturbo e una metodologia condivisa di indagine. Una meta-analisi condotta su dati di 31 paesi nel 2014 ha trovato una prevalenza del 6 per cento circa. Un dato allarmante, se si considera che all’epoca solo il 39 per cento della popolazione mondiale aveva accesso a Internet. Analisi recenti riportano risultati ancora più preoccupanti per certe popolazioni: per esempio, in sette Paesi del Sud-Est Asiatico si registra una prevalenza dell’IAD del 20 per cento circa.

Il numero di persone con accesso a Internet è destinato a crescere nel mondo, e l’IAD è un problema che dovrebbe essere affrontato. Anche situazioni contingenti come la pandemia di Covid-19 e il ricorso alla didattica digitale a distanza rischiano di esacerbare la situazione.

Perché succede?

Senz’altro, il carattere pervasivo di Internet, la sua disponibilità 24 ore al giorno, sette giorni alla settimana e l’aumento delle occasioni di accesso con dispositivi sempre più versatili facilitano lo sviluppo dell’IAD e dei problemi connessi. Chi progetta i social media adotta strategie finalizzate ad aumentare il coinvolgimento dell’utente e a farlo così restare connesso il più a lungo possibile. Se un tempo le tariffe a consumo potevano tradursi in ingenti spese per chi soffriva di dipendenza, l’introduzione di piani tariffari flat “tutto compreso” ha ovviato a questa complicazione, non risolvendo però (e anzi in parte esacerbando) il problema principale.

Chiunque inizi a usare Internet è a rischio potenziale di sviluppare una dipendenza dal suo uso. Difficilmente però questa si manifesta in assenza di problemi preesistenti non adeguatamente affrontati, che possono essere di natura comportamentale (come una tendenza già presente alla compulsione) o legati a situazioni da cui l’utente cerca una via di fuga: un contesto familiare opprimente, un matrimonio o una vita professionale insoddisfacente, eccessiva timidezza, scarsa autostima e così via. Tra le altre cose, Internet permette di creare un’identità “filtrata”, depurata dai suoi aspetti negativi, quando non interamente fittizia, e offre una sterminata varietà di comunità virtuali tra le quali cercare l’approvazione e la realizzazione che mancano nella vita concreta.

Un percorso terapeutico per uscire dalla dipendenza dovrà dunque necessariamente far emergere i particolari aspetti problematici che ne sono alla base e tenerne conto per elaborare una strategia efficace di intervento.

Che fare?

Contrariamente alle altre forme di dipendenza, in genere non è possibile (né, di solito, auspicabile) risolvere l’IAD rinunciando totalmente a Internet da un giorno all’altro, sia perché la persona che ne è affetta può essere tenuta a stare online per lavoro, sia perché comunque le occasioni di ricadere in tentazione sono troppe, proprio per la pervasività dei dispositivi connessi. Inoltre, un uso equilibrato di Internet è forse oggi imprescindibile e in oltre offre una serie di vantaggi innegabili in termini di reperimento di informazioni, contatti, risorse e opportunità.

Il primo passo non banale è, ovviamente, riconoscere di avere un problema. Per quanto riguarda la dipendenza da Internet, succede spesso, ancor più che per le sostanze da abuso, che la persona interessata sottovaluti la questione, mentre è più probabile che siano i suoi cari a rendersene conto per primi. In tal caso, sarebbe un errore dare ultimatum: la persona dipendente potrebbe mostrare miglioramenti temporanei per poi regredire alla condizione precedente. La buona notizia è che rispetto ai primi tempi sempre più terapeuti professionisti e gruppi di aiuto hanno riconosciuto la portata del fenomeno dell’IAD e sono quindi in grado di offrire ascolto e supporto qualificato.

Esistono opzioni farmacologiche (antidepressivi, antiepilettici, stabilizzatori dell’umore) che intervengono sui neurotrasmettitori coinvolti nel circuito della ricompensa, ma l’alternativa terapeutica che sembra avere più successo è la terapia cognitiva comportamentale (CBT), da modulare di volta in volta sulle esigenze del paziente. Una possibile strategia è stabilire tempi precisi e limitati per l’uso ricreativo di Internet, o indurre il paziente a misurare il proprio tempo online e chiedergli poi di mettere nero su bianco una serie di aspetti della propria vita peggiorati dalla dipendenza, pensando ad alcuni obiettivi realistici che potrebbe raggiungere risparmiando il tempo passato in rete. O ancora, si può cercare un modo di tramutare in interessi e hobby concreti le attività svolte online.

Infine, Internet può essere sia il problema sia la soluzione, perché permette di cercare informazioni sulla dipendenza e di contattare professionisti accreditati per ottenere aiuto. Più dubbio è il ruolo dei gruppi di aiuto online che, spesso privi di moderazione, si trasformano in spazi di lamentela dove non si persegue un reale percorso di guarigione.

Silvia Kuna Ballero
Classe ’79, genovese di nascita e carattere, milanese d’adozione. Astrofisica, insegnante, redattrice scolastica, giornalista e divulgatrice con un interesse particolare per la storia della scienza e il rapporto tra scienza e società.
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