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Il consenso informato

Quando e dove è nato questo strumento informativo, come è strutturato e cosa garantisce ai pazienti?

Il consenso informato in medicina è un documento di autorizzazione che i pazienti devono, per legge, firmare prima di ricevere un qualunque trattamento sanitario. Nel documento sono contenute informazioni importanti sui possibili rischi del trattamento in questione, che il personale sanitario è tenuto a spiegare ai pazienti prima che firmino.

Il consenso informato è un aspetto cruciale – e particolarmente delicato – della legislazione ed etica sanitaria. È anche un’espressione del principio di autodeterminazione di una persona sul proprio corpo ed è emanazione delle leggi internazionali sui diritti umani. Ogni persona che debba decidere se sottoporsi a un esame o a un trattamento medico ha il diritto di ricevere informazioni sufficienti a prendere una decisione volontaria e deliberata a riguardo, in un linguaggio che sia accessibile, in modo che possa dare il proprio consenso o meno a eseguire tale procedura.

Il consenso informato come oggi lo conosciamo è una “creatura” relativamente recente, frutto di discussioni, negoziazioni e riformulazioni avvenute nel corso di almeno un secolo. Fino all’Ottocento, medici e personale sanitario non erano legalmente obbligati a fornire ai pazienti alcuna informazione sui trattamenti che lo riguardavano o sulle sperimentazioni a cui potevano essere sottoposti. I primi studiosi di etica medica, come per esempio Thomas Percival (autore del testo di riferimento Medical Ethics), ritenevano che i medici potessero prendere decisioni senza il consenso dei pazienti qualora reputassero che ciò fosse nel loro miglior interesse.

Il significato del consenso informato oggi

I principi del consenso informato nella pratica medica sono stati standardizzati nel corso del Novecento e diverse istituzioni nazionali e sovranazionali sono sorte proprio per definire e migliorare gli standard etici e legali in quest’ambito.

Le condizioni ritenute necessarie affinché il consenso possa essere considerate valido sono oggi tre: deve essere volontario, informato e la persona che fornisce il consenso deve avere la capacità di prendere la decisione. Il consenso può essere definito volontario se la decisione di consentire o meno alla procedura medica in questione è presa dalla persona coinvolta, senza che questa sia influenzata da eventuali pressioni subite da parte del personale medico, della famiglia o di chiunque altro. Il consenso può dirsi inoltre informato se alla persona sono state fornite tutte le informazioni necessarie a comprendere ciò che comporta la procedura, inclusi rischi e benefici, l’esistenza di procedure alternative e l’esito di un’eventuale interruzione della procedura. Infine, la capacità della persona di decidere dipende dal fatto che sia nelle condizioni di capire l’informazione che gli è fornita e di utilizzarla.

Queste condizioni devono valere per qualunque intervento sanitario, sia esso un trattamento o un esame medico, una sperimentazione clinica o la modifica di un trattamento in corso. Una volta che le condizioni sono rispettate e che sia stata verificata la piena comprensione da parte della persona, la decisione presa va rispettata, anche se questo possa significare rinunciare a un intervento medico vitale o compromettere una sperimentazione clinica in corso. I pazienti hanno inoltre diritto a ritirare il consenso accordato in precedenza, in caso cambiassero idea prima dell’inizio della procedura.

Come dare il consenso (e chi deve darlo)

 A seconda del tipo di intervento, della complessità e dei rischi, il consenso può essere comunicato verbalmente o per iscritto al personale sanitario. In situazioni di routine, nelle quali il contesto sia evidente, anche un semplice gesto (come per esempio allungare il braccio per acconsentire a un prelievo di sangue) può fungere da consenso informato. Nel caso di procedure più importanti, come un’operazione chirurgica, il consenso deve essere ottenuto in anticipo con un modulo realizzato appositamente, in modo che i pazienti abbiano il tempo di comprendere la procedura e fare domande prima di firmare.

Il consenso è solitamente dato dai pazienti stessi, se maggiorenni. Se invece si tratta di minorenni, il modo di acquisire il consenso può variare a seconda della legislazione sanitaria di ciascun Paese. In molti Paesi si chiede il consenso di chi ha la responsabilità genitoriale (genitori o tutori legali) e l’assenso dei minori, se hanno superato una certa età. Con l’assenso i minori si dichiarano d’accordo a ricevere un trattamento, mentre il consenso rappresenta il permesso legale di somministrarlo.

Quando si può non richiedere il consenso

Ci sono alcune eccezioni nelle quali si può procedere a un trattamento senza il consenso della persona interessata. Se una persona non ha la capacità di prendere una decisione e non è possibile individuare una persona delegata a farlo in tempi utili, il personale sanitario che l’ha in cura può procedere con un trattamento o un esame se ritiene che sia nel miglior interesse della persona stessa.

Un esempio tipico è quello di pazienti in stato d’incoscienza che rischiano la morte o un danno irreversibile nel caso in cui il personale sanitario non intervenga immediatamente o, ancora, di procedure impreviste e urgenti che si rendono necessarie nel corso di un intervento pianificato. In queste situazioni, le ragioni dell’intervento effettuato devono essere spiegate il prima possibile, non appena i pazienti si riprendono.

Ci sono situazioni in cui la capacità dei pazienti di prendere decisioni informate è compromessa e dubbia: parliamo per esempio di persone con deficit cognitivi, psicosi, comportamenti autolesionisti, suicidi o comunque dannosi per sé o per gli altri. In casi di estrema necessità, può essere richiesto l’intervento di un team di figure sanitarie che valuti la capacità dei pazienti. Eccezioni all’obbligo di consenso informato possono insorgere poi nel caso in cui la persona soffra di una malattia altamente contagiosa e pericolosa (rabbia, colera o SARS, per esempio) oppure viva in condizioni di grave degrado igienico.

Un problema etico molto controverso si presenta quando i rappresentanti legali di pazienti incoscienti che non hanno lasciato volontà scritte richiedono di interrompere le procedure di supporto vitale, come la respirazione e la nutrizione artificiale. La decisione dovrebbe essere presa sulla base di quello che si ritiene essere il miglior interesse dei pazienti stessi, raccogliendo informazioni su quale avrebbe potuto essere la loro decisione e considerando le loro prospettive di qualità di vita e di ripresa. Nelle situazioni in cui non è possibile raggiungere un accordo, il caso può essere deciso in sede giudiziaria.

Il consenso nella sperimentazione clinica

Il consenso informato deve essere fornito anche nelle occasioni in cui i pazienti partecipino a una ricerca o a una sperimentazione clinica. In tal caso, devono essere messi al corrente di tutti i dettagli della sperimentazione: le procedure, lo scopo e la durata presunta della ricerca, la descrizione dei possibili rischi e disagi ‒ comprese le misure messe in atto per ridurli ‒ e la descrizione degli eventuali benefici della ricerca per i pazienti stessi o per altri pazienti. Vanno sempre forniti i contatti di persone di riferimento a cui chiedere informazioni o segnalare eventuali effetti collaterali non previsti. Infine, i pazienti devono sapere chi avrà accesso alle informazioni ottenute dalla sperimentazione.

Ci sono però alcune situazioni in cui la sperimentazione clinica richiede che le persone non siano informate di alcuni dettagli, come per alcuni studi di psicologia cognitiva o per ricerche di interesse militare. Questi casi sono una possibile fonte di controversie e la sperimentazione viene autorizzata solo con specifiche condizioni: il rischio per i soggetti deve essere trascurabile, i benefici apportati dalla ricerca devono essere inequivocabili e va dimostrato che un pieno consenso informato è in contrasto con gli scopi stessi della sperimentazione.

Esiste un vero consenso informato?

Stabilire se una persona ha davvero fornito o meno il consenso informato è una questione non banale, non essendoci un metodo condiviso e standardizzato per misurare la comprensione da parte delle persone. È dunque inevitabile che possa sorgere un certo livello di fraintendimento, specialmente se ci sono barriere linguistiche, sensoriali o culturali per le quali è importante che esistano intermediari in grado di usare, se necessario, strumenti di comunicazione integrativi.

Non è poi possibile escludere del tutto l’esistenza di circostanze che compromettono il giudizio dei pazienti: determinati stati d’animo, pressioni sociali, credenze religiose, sfiducia nella medicina, varie forme di vulnerabilità. Ogni caso andrebbe dunque valutato a sé. È comunque essenziale che il processo del consenso informato non si riduca all’adempimento di una mansione burocratica, o peggio che si tratti di medicina difensiva a tutela di medici, personale sanitario e ospedali più che dei pazienti. Dovrebbe essere invece considerato un’azione collaborativa, nella quale i pazienti si sentono attivamente coinvolti e partecipi del processo decisionale sulla propria salute.

Silvia Kuna Ballero
Classe ’79, genovese di nascita e carattere, milanese d’adozione. Astrofisica, insegnante, redattrice scolastica, giornalista e divulgatrice con un interesse particolare per la storia della scienza e il rapporto tra scienza e società.
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