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Lo zoccolo che salvò i cavalli

Lo zoccolo dei cavalli composto da un blocco unico ha contribuito alla sopravvivenza di questa specie ai cambiamenti climatici avvenuti circa 5 milioni di anni fa, mentre gli equidi a 3 dita si estinguevano gradualmente.

Siamo abituati a pensare ai cavalli che galoppano veloci in mezzo a prati sterminati, ma in realtà questi animali si muovono soprattutto alle andature più lente del passo e del trotto. Il motivo è probabilmente legato alla particolare evoluzione dello zoccolo di questa specie. Infatti, mentre molti animali che fanno parte dell’ordine dei perissodattili, come i rinoceronti, e i tapiri, hanno le zampe composte da più parti, lo zoccolo dei cavalli è composto da un blocco unico. Eppure milioni di anni fa la maggior parte dei loro antenati aveva più dita.

Quando i cavalli avevano le dita

Circa 23 milioni di anni fa i primi antenati della famiglia degli equini vivevano nel Nord America. Appartenevano in prevalenza al genere Hipparion, che comprendeva numerosissime specie diverse, piuttosto simili ai cavalli attuali: erano erbivori con un muso allungato e alti in media 1,4 metri da terra fino alla spalla. I loro zoccoli però avevano 3 dita: il dito centrale era più sviluppato e dominante, perché vi si appoggiavano maggiormente, mentre gli altri due, un po’ più rialzati, non toccavano in genere il suolo durante la locomozione, ma servivano invece probabilmente a evitare le storte e a dare maggior aderenza su terreni scivolosi. Nel corso dell’evoluzione il genere Hipparion ebbe molto un notevole successo, perché riuscì a sopravvivere per milioni di anni in ambienti molto diversi tra loro. Tuttavia fu in Nord America, il suo luogo di origine, che raggiunse la massima diffusione circa 17,5 milioni di anni fa e si differenziò in tantissime specie diverse. Tra gli 11 e gli 8,5 milioni di anni fa, potevano coesistere nella stessa località fino a 8 specie differenti di equidi.

Attorno a 5 milioni di anni fa, furono gradualmente sostituiti da animali molto simili, ma discendenti da un genere diverso, quello degli Equus. Questi avevano una caratteristica particolare: uno zoccolo composto da un solo dito, che oggi chiamiamo spring-foot (piede a molla in italiano). Queste specie iniziarono a diffondersi in Nord America, portando quelle del genere Hipparion prima a spostarsi nelle zone più settentrionali e poi a estinguersi definitivamente. Se poche specie monodattili riuscirono a sostituire i numerosissimi tridattili, le ragioni stanno probabilmente nella combinazione tra condizioni climatiche e ambientali più favorevoli alle prime e nell’estrema efficienza del piede a molla.

La rivoluzione del piede a molla

Grazie alla sua conformazione e alla fitta rete di legamenti, il piede a molla è un capolavoro di ingegneria biomeccanica, perché permette all’animale di risparmiare energia durante il movimento. Anziché appoggiare prima il tallone e poi il resto del piede, come facciamo noi, il cavallo appoggia prima la punta dello zoccolo e poi la parte posteriore, su cui scarica il peso. Qui viene a contatto col terreno un tessuto elastico a forma di V, detto fettone, o frog in inglese. Proprio come un cuscino che si piega sotto la nostra testa, questa struttura si deforma leggermente per assorbire lo shock provocato dal peso dell’animale. In seguito il garretto, la regione ossea molto elastica posizionata con un’inclinazione di circa 25° sopra lo zoccolo, si flette a seconda del movimento. In questo modo produce energia elastica che viene accumulata a diversi livelli nei tendini e nei legamenti della zampa. È proprio la flessione del garretto a rendere così rivoluzionario il piede a molla, perché consente di accumulare energia elastica e risparmiare il 40 per cento circa dell’energia locomotoria tra un passo e l’altro.

L’entità dell’efficienza varia però a seconda dell’andatura. Le zampe dei cavalli moderni, formate pressoché allo stesso modo, portano a recuperare il 70 per cento circa dell’energia meccanica al passo e il 40 per cento al galoppo. È insolito che un animale a quattro zampe sia più adatto a camminare piuttosto che a correre. Per spiegare questo fenomeno la comunità scientifica ha formulato un’ipotesi.

Lo zoccolo vincente

Si stima che l’evoluzione del piede a molla sia iniziata con la diffusione delle terre verdi di 20 milioni di anni fa. Tuttavia, la svolta decisiva per la sopravvivenza degli animali con questa zampa, rispetto ai tridattili, furono i cambiamenti climatici di circa 5 milioni di anni fa. Quando le temperature nel Nord America diventarono più fredde e secche e i terreni aridi, questi cavalli si ritrovarono a essere favoriti nella ricerca di acqua ed erba, già allora la loro principale fonte di nutrimento. Infatti, grazie all’efficienza locomotoria delle loro zampe, potevano muoversi per molti chilometri, aumentando le possibilità di nutrirsi e abbeverarsi. In quelle circostanze tornò loro più utile avere una grande resistenza piuttosto che riuscire a fuggire in fretta dai predatori. Inoltre la zampa a molla permetteva di muoversi in modo più agile su terreni di diversi tipi.

Che fine hanno fatto le dita dei cavalli?

Le dita laterali non sono scomparse all’improvviso. In uno studio del 2018, un gruppo di ricerca statunitense aveva ipotizzato che fossero state assorbite nel tempo in quella principale, andandone a formare i vari strati e componenti. Un lavoro più recente, pubblicato nel 2023 sulla rivista Royal Society Open Science, smentisce però questa teoria. Dal confronto di numerose fotografie di impronte di zoccoli di cavalli, i ricercatori dell’Università di Bristol hanno infatti osservato che il fettone si è evoluto in modo indipendente dalle dita laterali, acquisendo quelle caratteristiche uniche, che hanno reso questa parte anatomica in grado di assorbire lo shock della zampa e di aumentare l’efficienza nel movimento. Il processo sarebbe stato quindi ben più semplice. Favoriti anche dal peculiare zoccolo a piede a molla, nel corso delle generazioni questi animali sono sopravvissuti di più, producendo una prole più resistente rispetto ai loro simili con 3 dita. Si è dunque mantenuta la caratteristica dello zoccolo a blocco unico, mentre i geni portatori delle dita laterali, ormai diventate inutili, si sono persi nel tempo.

Tuttavia se siete fortunati potreste ancora trovare dei cavalli con le dita. Può capitare infatti che in alcuni esemplari si ripresentino caratteristiche di specie antenate ormai scomparse (un fenomeno detto atavismo). È quello che potrebbe essere accaduto ad Asturcone, il destriero di Giulio Cesare e il più noto cavallo polidattile della Storia. Lo storico e biografo dell’età imperiale Svetonio lo descrisse così nella sua opera Vita dei Cesari: “Un cavallo straordinario, che aveva piedi quasi umani, con le unghie fesse in forma di dita”.

Camilla Fiz
Comunicatrice della scienza, ha terminato il master in comunicazione della scienza alla SISSA di Trieste, dopo una formazione in biotecnologie molecolari all’Università degli studi di Torino e in pianoforte al Conservatorio Giuseppe Verdi della stessa città. Oggi si occupa della realizzazione e revisione di testi sui temi di salute e ricerca biomedica per Fondazione AIRC.
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