TORNA ALLE NEWS

Compie 106 anni Brenda Milner, la donna che ha riscritto le regole della memoria umana

Brenda Milner è considerata una pioniera nell’ambito delle neuroscienze, grazie ai suoi studi sull’effetto delle lesioni cerebrali sul comportamento umano, che hanno consentito di conoscere meglio il funzionamento del cervello umano e di migliorare alcune tecniche operatorie e la diagnosi di alcune condizioni.

 

È una giornata qualunque del 1955 quando una giovane ricercatrice in neuroscienze, dell’Università McGill di Montreal, incontra per la prima volta uno dei pazienti più famosi della storia della medicina. Lui è Henry Molaison, conosciuto a lungo soltanto con le iniziali HM, il paziente “prigioniero del presente” che ha ispirato la figura del protagonista del film “Memento”. Lei è Brenda Milner, una pioniera della neuropsicologia cognitiva che oggi compie 106 anni. Il loro incontro ha rivoluzionato le neuroscienze, cambiando per sempre la nostra comprensione del funzionamento del cervello umano e degli effetti che le lesioni cerebrali possono avere sul comportamento. Festeggiamo Milner ripercorrendo insieme la sua vita e le sue straordinarie scoperte.

 

Dal Regno Unito al Canada

Nata nel 1918 a Manchester, in Inghilterra, Brenda Milner (nata Langford) all’età di soli 6 mesi venne colpita dall’epidemia di influenza spagnola che in quell’anno stava mietendo milioni di vittime in tutto il mondo. Fortunatamente la piccola Brenda sopravvisse e, nonostante la morte del padre per tubercolosi, avvenuta nel 1926, ebbe una giovinezza serena grazie alle cure della madre, donna dalla vivace curiosità che le trasmise l’amore per lo studio e la conoscenza.

In un’epoca in cui le donne raramente sceglievano (quando potevano farlo) la scienza come carriera lavorativa, Brenda Milner nel 1936 si iscrisse alla facoltà di matematica al Newnham College di Cambridge, cambiando presto indirizzo per intraprendere la strada della psicologia. Nel dipartimento diretto da Frederic Bartlett, grazie al suo giovane supervisore Oliver Zangwill, fu indirizzata a quello che sarebbe diventato il suo principale ambito di ricerca: lo studio degli effetti delle lesioni cerebrali sul comportamento umano per comprendere il normale funzionamento del cervello.

Dopo la fine della Seconda guerra mondiale, i Milner si trasferirono in Canada. Infatti, Peter Milner, l’uomo che Brenda aveva sposato nel 1944, era stato ingaggiato come ingegnere in un progetto di ricerca sull’energia nucleare che richiedeva la sua presenza a Montréal.

Brenda Milner, che nel 1939 si era laureata in psicologia e aveva iniziato la sua carriera di ricercatrice in neuroscienze a Cambridge, sfruttò questo trasferimento come un’opportunità per fare nuove esperienze lavorative. Era peraltro facilitata dalla sua padronanza del francese, lingua che la madre le aveva insegnato fin da bambina. In Canada, nei 7 anni che seguirono, Brenda Milner lavorò come docente di psicologia all’Università di Montréal. Accanto all’insegnamento, era molto interessata alla ricerca, al punto che aveva avviato un laboratorio per lo studio del comportamento delle cavie.

Alla fine degli anni Quaranta venne a contatto con Donald Hebb, direttore del Dipartimento di psicologia al Montréal Neurological Institute (MNI) della McGill University. Hebb la invitò all’istituto per studiare, insieme all’importante neurochirurgo Wilder Penfield, gli effetti sul comportamento degli interventi di neurochirurgia.

 

Il lavoro iniziale alla McGill University

Nel 1950 Brenda Milner entrò definitivamente a far parte del gruppo di ricerca dell’MNI della McGill University, conosciuto anche come Neuro, dove avrebbe lavorato per il resto della vita – ancora oggi, pur essendo da anni in pensione, continua a offrire il suo notevole contributo.

Qui Milner rivolse il suo interesse in particolare agli effetti sulla memoria delle lesioni riportate da due pazienti, conosciuti anche loro con le sole iniziali PB e FC. In seguito all’asportazione unilaterale del lobo temporale del cervello, un’operazione eseguita per curare l’epilessia, i due pazienti avevano sviluppato un’amnesia anterograda, cioè avevano perso la capacità di creare nuovi ricordi a lungo termine. Ma per alcuni aspetti l’amnesia era anche retrograda, dato che impediva loro di ricordare cosa fosse avvenuto prima dell’operazione. I sintomi, tuttavia, non si erano manifestati in altri pazienti che avevano subito la stessa operazione.

Milner ipotizzò che l’amnesia di questi pazienti fosse dovuta a una sottostante patologia del lobo temporale, nel lato non operato. Secondo lei, la malattia aveva mostrato i suoi effetti soltanto dopo l’escissione del lato operato del lobo temporale, che prima compensava la lesione, mascherando l’amnesia. L’ipotesi della dottoressa Milner fu in seguito confermata dall’autopsia effettuata sui corpi dei due pazienti.

Grazie alla presentazione di questi due casi clinici, nel corso di una conferenza negli Stati Uniti, nel 1955 Milner venne contattata dal neurochirurgo William Beacher Scoville, del Dipartimento di neurologia e neurochirurgia dell’ospedale di Hartford, in Connecticut (USA). Il medico-scienziato la invitò a studiare il peculiare caso del suo paziente HM, un caso unico nel suo genere, che portò Milner a compiere importanti scoperte sul funzionamento della memoria umana.

 

Il paziente HM e le scoperte sulla memoria umana

HM erano, come abbiamo anticipato, le iniziali di Henry Molaison, un giovane paziente a cui a 29 anni erano state asportate le parti mediane di entrambi i lobi temporali. Scopo dell’intervento neurochirurgico era trattare la grave forma di epilessia resistente ai farmaci che lo tormentava da quando era bambino. L’operazione aveva fermato per sempre le pericolose crisi epilettiche, ma allo stesso tempo aveva causato al paziente degli effetti collaterali, come l’amnesia anterograda.

Milner studiò per molti anni il paziente “prigioniero del presente”, insieme ad altri 8 pazienti di Scoville. Li sottoponeva a test neuropsicologici che lei stessa aveva messo a punto per comprendere la relazione tra determinate aree del cervello e i comportamenti che risultavano per effetto delle loro lesioni. I test elaborati da Milner diventarono fondamentali per lo sviluppo della neuropsicologia cognitiva, una branca delle neuroscienze al confine tra neurologia e psicologia di cui è considerata una pioniera.

I test effettuati portarono Milner a dimostrare che il paziente HM non era in grado di immagazzinare nuove informazioni, tanto che in circa trent’anni di frequentazione non ricordò mai il nome di Brenda. Non riusciva neppure a imparare nuovi compiti motori, né a migliorare in movimenti che aveva imparato prima dell’operazione e di cui, pur essendo in grado di compierli, non aveva alcun ricordo. Milner scoprì così che la memoria era una funzione ben più complessa di quanto si pensava fino ad allora. In base ai suoi risultati, emerse infatti una nuova visione della memoria, alla cui elaborazione contribuivano diverse aree del cervello, e che diverse funzioni, come la memoria di lavoro, la memoria episodica, la memoria procedurale e così via, erano distribuite in modo asimmetrico nei due emisferi.

Brenda Milner aveva dunque sviluppato un metodo per studiare a lungo termine i comportamenti dei pazienti che hanno subito lesioni cerebrali, soprattutto nelle aree associate alla memoria come l’ippocampo e l’amigdala. Tale metodo, oltre a portare ai suoi risultati, ha contributo enormemente alla comprensione della struttura e del funzionamento del cervello umano. Non a caso l’articolo in cui Milner e il collega Scoville hanno riportato, nel 1957, le scoperte sulla memoria fatte grazie al contributo di Henry Molaison e degli altri pazienti, è stato citato più di 10.000 volte, restando ancora oggi uno degli articoli più rilevanti della storia delle neuroscienze.

 

Oltre ottant’anni di ricerca scientifica

Gli studi di Brenda Milner sulla memoria sono stati riconosciuti fin da subito come contributi fondamentali per lo sviluppo della ricerca negli ambiti delle neuroscienze, della psicologia cognitiva, della neurologia e della neurochirurgia. Nell’immediato hanno aiutato a migliorare le tecniche operatorie, la diagnosi e l’assistenza ai pazienti, mentre più a lungo termine hanno cambiato radicalmente la concezione del funzionamento del cervello umano.

Grazie ai suggerimenti ricevuti dal giovane neurologo giapponese Juhn Wada, Milner introdusse al Montreal Neurological Institute l’impiego preoperatorio dell’amobarbital per inattivare farmacologicamente alcune aree del cervello prima delle operazioni di neurochirurgia. Il farmaco aiutava i medici a valutare se i pazienti avrebbero potuto mostrare gravi effetti collaterali in seguito all’asportazione di porzioni del cervello. I neurochirurghi avrebbero così potuto modificare, se necessario, l’intervento chirurgico.

Nel 1989, insieme al collega Michael Petrides, Milner ottenne un cospicuo finanziamento dalla McDonnell-Pew Foundation per creare al MNI un centro per le neuroscienze cognitive che fosse collegata all’unità di neuroradiologia che era da poco stata inaugurata. Era l’epoca in cui si iniziavano a utilizzare ampiamente tecniche di imaging, come la TC e la risonanza magnetica: strumenti che sarebbero diventati rapidamente imprescindibili anche nella ricerca neuroscientifica.

Oltre ad aver fatto importanti scoperte sulla memoria, Milner si è dedicata anche alla comprensione del funzionamento del linguaggio prendendo in esame in particolar modo le persone bilingui. Aveva così dimostrato che l’utilizzo di una seconda lingua coinvolge gli stessi circuiti neuronali implicati nell’utilizzo della lingua madre.

Dopo 64 anni dall’inizio del suo lavoro di ricerca alla McGill University e numerosi premi conferiti per le sue scoperte, Brenda Milner è ormai in pensione, ma continua a sostenere il lavoro dei colleghi, forte della sua esperienza professionale e umana. E non si può ignorare quanto il suo lavoro abbia contribuito non solo all’avanzamento della ricerca scientifica ma anche ad aprire la strada a migliaia di altre ragazze. Nonostante durante la sua lunga carriera Brenda Milner non abbia contribuito attivamente ai movimenti femministi, sono tante le ricercatrici che si sono ispirate alla vita e carriera di questa scienziata. Hanno così sfidato il maschilismo che ha a lungo imperato nelle istituzioni della ricerca per inseguire i propri sogni.

 

Sofia Corradin
Divulgatrice scientifica e medical writer freelance, scrive di medicina e ricerca clinica per testate giornalistiche indirizzate a medici e personale sanitario. È autrice della newsletter 'Appuntamento con la morte' dedicata all'approfondimento sulla scienza della morte e cura il progetto di divulgazione social @lamedicinageniale.
share