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Una diagnosi a colori

L’esame dei tessuti al microscopio è una parte importante di molti processi diagnostici, inclusi quelli delle malattie oncologiche. Per distinguere cellule di diverso tipo, è spesso necessario sottoporre il campione di tessuto a più fasi di colorazione. Un metodo innovativo, di cui la rivista Nature ha da poco dato notizia, si basa su un nuovo tipo di vetrino da microscopio che utilizza le nanotecnologie per modificare il colore percepito delle cellule senza che sia necessario “macchiarle”.

L’utilizzo dei colori si rivela ancora una volta una strategia importante per la diagnosi anche di gravi malattie, tra le quali il cancro. Uno studio i cui risultati sono stati pubblicati lo scorso 6 ottobre sulla rivista Nature dà notizia di una nuova tecnica che, applicando la cosiddetta plasmonica, un sottocampo della fisica, genera una percezione di colore in una cellula o tessuto.

L’importanza del colore

L’occhio umano è in grado di distinguere fino a diecimila colori diversi, ma non è sempre in grado di riconoscere le variazioni di intensità cromatica. Nel tempo, medici e scienziati hanno colorato in molti modi i campioni biologici da esaminare, che prima della colorazione sono in genere perlopiù grigiastri e indistinti. Scopo di tali colorazioni è aumentare il contrasto distinguendo così diversi dettagli con maggiore precisione. Le colorazioni impiegate in istologia per facilitare le osservazioni al microscopio sono diverse e sfruttano alcuni noti principi: in alcuni casi, per esempio, ci si basa sull’affinità dei coloranti per un determinato tessuto, oppure per il suo pH. I coloranti basici, infatti, colorano le strutture acide presenti in cellule e tessuti, mentre quelli acidi colorano le strutture basiche.

Colorare senza coloranti

In alcuni casi, però, la colorazione di un campione biologico può comportarne l’alterazione, un fenomeno evitabile grazie all’uso di tecniche che siano in grado creare visivamente l’effetto dei colori, senza però l’uso di coloranti che possano generare questi problemi.

Lo studio i cui risultati sono stati pubblicati su Nature, guidato dal professor Brian Abbey della La Trobe University, in Australia, propone una soluzione che si basa sull’applicazione delle nanotecnologie ai vetrini adoperati per le osservazioni al microscopio. Attraverso una modifica su scala nanometrica dei vetrini, che interviene sull’interazione fra la luce e il campione biologico, è possibile indurre le diverse strutture cellulari analizzate ad assumere un aspetto molto più contrastato nei colori. Si può evidenziare così, in particolare, l’eventuale presenza di cellule tumorali che appaiono con un colore diverso rispetto a quelle sane.

Una diagnosi precoce

Il principale vantaggio di questa tecnica, oltre a lasciare intatti i campioni biologici, consiste nella capacità di individuare lesioni cancerose anche nei primi stadi, quando il numero di cellule maligne non è elevato e la possibilità di distinguerle da lesioni benigne è decisamente ridotta. In questo modo si eviterebbero alcuni risultati falsi negativi comuni con le tecniche tradizionali.

Questa nuova tecnica potrebbe essere applicata a procedure diagnostiche salvavita. Nel corso dello studio, per esempio, il metodo è stato applicato alla diagnosi del tumore mammario in fase iniziale: i vetrini, contenenti un campione ottenuto con una biopsia e colorati con questo procedimento, hanno consentito di evidenziare le cellule cancerose distinguendole da quelle sane.

Un’applicazione della fisica plasmonica

I nuovi dispositivi per osservare i campioni sono stati chiamati NanoMslide e per svilupparli sono stati necessari cinque anni di ricerche. La nuova tecnica, che ha preso il nome di istoplasmonica, si basa sulle scoperte della fisica plasmonica, una disciplina che ha avuto un notevole sviluppo a partire dal primo decennio di questo secolo. Essa studia le proprietà dei plasmoni, cioè i quanti (quasiparticelle), associati alle oscillazioni di un plasma, che in un solido metallico come può essere un tessuto biologico sono prodotti dal moto oscillatorio della nube elettronica. Si tratta di settori di ricerca che da qualche tempo hanno trovato applicazioni sperimentali anche in medicina, oncologia compresa.

Nei vetrini in questione sono presenti sottili strati d’argento incorporati nella superficie del vetro stesso, che sono in grado di modificare l’interazione della luce con le cellule del campione. Gli strati d’argento producono, infatti, campi di elettroni che, sollecitati dalla luce, assumono uno specifico allineamento. I pori di dimensioni nanometriche presenti nell’argento modificano la struttura della luce che, attraversando il campione, genera diversi colori, sulla base delle piccole differenze nella struttura di cellule e tessuti e delle rispettive configurazioni elettroniche. In breve, il vetrino diventa capace di comportarsi come un sensore in grado di analizzare la composizione delle diverse cellule traducendola in più colori.

Abbreviare i tempi

Questo tipo di vetrini presenta un ulteriore vantaggio: il loro uso riduce notevolmente i tempi di preparazione dell’esame istologico di un campione rispetto alle tecniche di uso comune, un aspetto essenziale nei casi in cui una diagnosi rapida può fare la differenza. Si pensi, per esempio, alle circostanze in cui i medici devono decidere su quali parti di un tumore sia necessario intervenire chirurgicamente e su quali no. Il prossimo passo, per il gruppo di ricerca, sarà tentare di comprendere come estendere la stessa tecnica ad altri tipi di cancro, oltre a quello mammario, e a malattie diverse, senza escludere la biologia vegetale e l’agricoltura, dove potrebbe essere applicata alle fitopatologie.

Anna Rita Longo
Insegnante e dottoressa di ricerca, membro del board dell’associazione professionale di comunicatori della scienza SWIM (Science Writers in Italy), socia emerita del CICAP (Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sulle Pseudoscienze), collabora con riviste e pubblicazioni a carattere scientifico e culturale.
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