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World Toilet Day: cosa significa vivere senza WC

In occasione della Giornata Mondiale del Gabinetto, tiriamo le somme sulla situazione globale. Quante persone vivono ancora in comunità prive di fognature e servizi igienici? E con che effetti sulla salute?

Noi abitanti dei Paesi occidentali tendiamo a dare per scontato fognature e servizi igienici, quasi come fossero una dotazione di natura. La disponibilità per tutti di queste infrastrutture, e la loro gestione efficiente e sicura, sono però lungi dall’essere obiettivi raggiunti a livello globale. Secondo gli ultimi dati forniti dalle Nazioni unite (Onu), ancora oggi più della metà della popolazione mondiale vive senza servizi igienico-sanitari gestiti adeguatamente. Un fatto che comporta gravi problemi di salute per intere comunità, tanto che proprio le Nazioni unite hanno inserito tra gli obiettivi di sviluppo sostenibile (SDG’s 6) da raggiungere entro il 2030 l’adeguato ed equo accesso ai servizi igienico-sanitari e di igiene per tutti, in modo da eliminare anche la defecazione all’aperto. Con particolare attenzione alle esigenze delle donne, delle ragazze e di coloro che si trovano in situazioni vulnerabili. Per esempio, una scarsa igiene genitale può agire in maniera sinergica con l’infezione da virus HPV, creando condizioni particolarmente favorevoli allo sviluppo del tumore della cervice uterina, non a caso una malattia particolarmente diffusa fra le donne dei Paesi più poveri.

Sempre per conseguire il proprio obiettivo, l’Onu ha anche istituito, a partire dal 2013, il World Toilet Day (o Giornata Mondiale del Gabinetto), che ricorre il 19 novembre, allo scopo di sensibilizzare il pubblico sull’importanza salvavita dei servizi igienici e igienico-sanitari e sul fatto che una persona su tre nel mondo non ha a disposizione un posto sicuro e pulito dove recarsi quando “la natura chiama”.

Numeri impressionanti, quelli diffusi dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), che spiegano come ancora 2 miliardi di persone sul pianeta non dispongano di servizi igienici di base come gabinetti o latrine. Di questi, 673 milioni defecano ancora all’aperto, per esempio nei canali di scolo, dietro i cespugli o in specchi d’acqua aperti. E almeno il 10 per cento della popolazione mondiale consuma cibo irrigato dalle acque reflue.

Meno igiene significa meno salute

Un problema, quello dei servizi igienici di base, strettamente collegato alla disponibilità di acqua potabile. Lo vediamo in questi mesi di pandemia: tra le raccomandazioni per tutelare la propria salute e quella degli altri c’è di lavarsi spesso e bene le mani. Ma come possiamo proteggerci se l’acqua che usiamo per bere o per altri usi igienici è contaminata?

Nel documento Water, Sanitation, Hygiene and Health, pubblicato a dicembre 2019, l’Oms sottolinea come “nel 2017, il 71 per cento della popolazione mondiale (5,3 miliardi di persone) ha utilizzato un servizio di acqua potabile gestito in modo sicuro, ovvero situato nei locali, disponibile quando necessario e privo di contaminazioni. Il 90 per cento della popolazione mondiale (6,8 miliardi di persone) ha utilizzato almeno un servizio di base. Un servizio di base è una fonte di acqua potabile migliorata a cui si può accedere entro 30 minuti (andata e ritorno)”.

Eppure sono ancora 785 i milioni di persone che non dispongono nemmeno di un servizio di base di acqua potabile, inclusi i 144 milioni di persone che dipendono esclusivamente dalle acque superficiali. L’Oms inoltre ricorda che “entro il 2025, metà della popolazione mondiale vivrà in aree a stress idrico”. Una vera emergenza globale.

Non solo l’accesso all’acqua rimane a oggi un diritto ampiamente non garantito, ma mancano a livello globale anche quei sistemi e infrastrutture che possano gestire le acque reflue delle comunità. E a pagarne le spese sono spesso le frange più povere della popolazione, per le quali uno standard igienico sicuro rimane ancora un miraggio e per le quali le conseguenze sono spesso drammatiche.

La scarsa igiene infatti incide pesantemente sulla trasmissione di molte malattie, come colera, diarrea, dissenteria, epatite A, tifo e poliomielite. Sempre l’Oms stima che ogni anno le persone morte prematuramente per diarrea, a causa di acqua non potabile, servizi igienici non sicuri e igiene delle mani insufficiente, siano almeno 432.000, di cui 297.000 bambini sotto i cinque anni.

Inoltre un’igiene personale insufficiente contribuisce alla malnutrizione e al rallentamento della crescita in età infantile e a minare la salute mestruale delle donne e delle adolescenti, per il rischio di infezioni che possono compromettere in maniera irreversibile la fertilità. In modo indiretto pesa anche sullo sviluppo sociale ed economico delle comunità, dove il fenomeno della defecazione a cielo aperto si lega spesso a disturbi come l’ansia, a un aumentato rischio di violenza sessuale e, soprattutto nel caso delle donne, alla perdita di opportunità educative (quando, appunto, nelle scuole non vi è possibilità di accedere a un gabinetto).

Oltre all’elevatissimo costo sociale, uno scarso accesso all’igiene comporta a livello globale anche pesanti perdite economiche. Secondo la Banca mondiale, la mancanza di servizi igienico-sanitari costa miliardi ad alcuni Paesi, pari all’equivalente del 6,3 per cento del Pil in Bangladesh (2007), del 6,4 per cento in India (2006), del 7,2 per cento in Cambogia (2005) e del 2,4 per cento in Niger (2012). Perdite economiche causate principalmente da morti premature, dal costo delle cure sanitarie, e dalla produttività persa nella ricerca di cure o per trovare un sistema di garantire l’accesso ai servizi igienici.

Rudi Bressa
Giornalista ambientale e scientifico, collabora con varie testate nazionali e internazionali occupandosi di cambiamenti climatici, transizione energetica, economia circolare e conservazione della natura. È membro di Swim (Science writers in Italy) e fa parte del board del Clew Journalism Network. I suoi lavori sono stati supportati dal Journalism Fund e dalI'IJ4EU (Investigative Journalism for Europe).
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