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Speciale Halloween: la complicata scienza dei “mostri”

Vampiri, streghe e zombi: in occasione di Halloween, vediamo come la scienza ha cercato di spiegare le origini delle leggende su queste creature, anche se non sempre le ipotesi più “riduzioniste” sono corrette.

I mostri, per definizione, sono fantasiosi e non reali. Come mai sono così diffusi nel nostro immaginario? Anche la fantasia ha bisogno di regole: c’è un proverbiale fondo di verità alla base di queste leggende? E se sì, qual è? Alcuni scienziati hanno provato a rispondere ad alcune di queste domande, anche se non sempre le loro ipotesi si sono rivelate corrette o sufficienti a spiegare il mistero. In occasione del 31 ottobre, festa di Halloween, ripassiamo alcuni dei casi più famosi.

I vampiri, tra malattie rare ed epidemie non comprese

Le porfirie sono un gruppo di malattie rare. Chi ne è affetto non riesce a sintetizzare correttamente il gruppo eme, un complesso chimico che fa parte della famiglia di composti, chiamati porfirine, e che è necessario per il trasporto dell’ossigeno nel sangue da parte dell’emoglobina. La sintesi del gruppo eme è complessa e richiede l’intervento di otto enzimi: è la carenza di uno di questi catalizzatori a determinare quale tipo di porfiria si manifesta.

Alcune forme di porfiria, oltre a colpire il sistema nervoso, provocano segni e sintomi, come la fotosensibilità o l’anemia, che ricordano alcune delle caratteristiche popolarmente associate ai vampiri. Per questo, a partire dagli anni Sessanta, alcuni medici hanno cominciato a suggerire che il mito del vampiro affondasse le sue radici proprio in questa malattia congenita. Il biochimico David H. Dolphin della University of British Columbia ha addirittura ipotizzato che le persone con questa malattia in passato abbiano davvero provato a consumare sangue per compensare la carenza di eme.

Questa spiegazione affascinante è diventata molto popolare in passato, ma i folkloristi, ossia gli studiosi delle tradizioni popolari, l’hanno fatta letteralmente a pezzi. Per esempio, alcuni di loro hanno fatto notare che la fotosensibilità non è altro che un’aggiunta letteraria relativamente recente al mito. Il vampiro “classico”, descritto nei racconti popolari e precedenti a opere come Il Vampiro di John Polidori (1819) e Dracula di Bram Stoker (1897), era infatti un non-morto (un cosiddetto “revenant”) che terrorizzava i villaggi, e lo si poteva combattere in vari modi, ma non con la luce del Sole.

Un’altra obiezione è di natura medica: nessun tipo di porfiria provoca attrazione per il sangue, e consumarlo non aiuterebbe affatto i malati a ripristinare l’eme mancante. Alle persone affette da porfiria non si consiglia infatti di mangiare più carne rossa (fonte importante di eme) rispetto agli altri, anzi, si raccomanda di seguire la stessa dieta bilanciata che vale per tutti, salvo valutazioni specifiche del medico.

L’ipotesi che la porfiria abbia dato origine alle leggende sui vampiri non è soltanto innocua speculazione, è anche dannosa, dato che per chi soffre di questi disturbi, l’associazione al vampirismo è fonte di pregiudizi. Nelle “cacce al vampiro” di cui abbiamo notizia dalle testimonianze storiche, di solito il “mostro” non era altro che una persona utilizzata come capro espiatorio per qualcosa di brutto che accadeva alla comunità, per esempio un’epidemia. In questa tradizione, al vampiro venivano in genere dati i connotati di una persona morta e sepolta, di cui si diceva che uscisse nottetempo dalla tomba e, nutrendosi della linfa vitale (sangue), facesse ammalare e poi morire altre persone. Il sospetto vampiro era allora esumato, e la popolazione, senza nozioni sulla decomposizione, poteva interpretare il suo aspetto apparentemente non decomposto, e magari con la bocca sporca di sangue, come la prova che effettivamente fosse un vampiro. A quel punto il cadavere veniva esorcizzato e distrutto con varie procedure.

Non avendo idea di come si diffondessero le malattie contagiose, questi riti davano un’illusoria sicurezza alle comunità. I folkloristi hanno ben documentato, per esempio, il legame tra epidemie di tubercolosi (allora chiamata a volte consunzione) e le leggende sui vampiri.

Le streghe lisergiche

Le grandi cacce alle streghe erano un fenomeno comune nell’Europa della prima età moderna. Ma mentre nel vecchio mondo questi riti medievali stavano scomparendo, negli Stati Uniti, attorno al 1692, cominciava la famosa caccia alle streghe di Salem, in Massachusetts. Tutto sembra essere iniziato con due bambine che si comportavano in modo “strano”: si contorcevano in convulsioni, abbaiavano come cani, lamentavano dolori, sostenevano che qualcuno le pungesse. Gli stessi disturbi pare che si fossero presto riscontrati in altri bambini. Poiché il medico locale non riusciva a spiegare cosa potesse provocare questi sintomi, spuntò l’ipotesi della stregoneria.

Le bambine, istigate dagli adulti, cominciarono ad accusare presunte streghe e loro aiutanti, che a loro volta ne accusarono altre. Alla fine furono circa 200 le persone incriminate e 19 (14 donne e 5 uomini) finirono impiccate. Ma già a pochi anni dalla fine dell’ultimo processo, nel 1693, l’errore commesso fu riconosciuto e si iniziò a pregare per il perdono da parte delle famiglie delle vittime.

Le ipotesi sulle cause di questo massacro sono due. Secondo la prima, le delazioni erano probabilmente pilotate da lotte di potere tra due famiglie rivali, e favorite da superstizioni ancora molto diffuse in una popolazione povera e poco istruita. L’isteria di massa (o malattia psicogena di massa), cioè la propagazione di sintomi psicosomatici tra i membri di una comunità, potrebbe avere fatto il resto.

Nel 1976 la psicologa Linnda R. Caporael suggerì che i fatti di Salem potessero essere spiegati da un’intossicazione alimentare. A Salem la popolazione consumava la segale, un cereale che può subire l’attacco del fungo Claviceps purpurea, o ergot. Il fungo contiene alcaloidi allucinogeni simili all’Lsd, che non sono totalmente distrutti dalla cottura, e provocano le convulsioni e le psicosi tipiche dell’ergotismo. Insomma, la strana malattia attribuita alla stregoneria potrebbe in realtà essere imputata a un fungo.

Anche per questa ipotesi “riduzionista” sulla genesi del mito delle streghe di Salem i dubbi sono molti. Per esempio, ci si aspetterebbe un’epidemia generalizzata di ergotismo, e non disturbi riscontrati solo in un gruppo ristretto di persone. Inoltre i sintomi avrebbero dovuto includere ance vomito, paralisi, e cancrene, e non solo convulsioni e psicosi. L’intossicazione non spiega neppure l’improvvisa fine delle manifestazioni stregonesche a meno di un anno dalle prime accuse. L’ipotesi della malattia psicogena sembra quindi più compatibile con i fatti. Se non si può escludere un contributo dell’ergot, non sarebbe comunque sufficiente a spiegare quanto avvenuto a Salem.

La chimica degli zombi

Nel cercare il fondo di verità delle leggende bisogna fare attenzione a non crearne di nuove. È quello che è successo con gli zombi, i non-morti tipici del folklore haitiano e africano e in particolare legati alla religione Vudù. Secondo le leggende, questi mostri, a parte il nome, avevano caratteristiche ben diverse da quelli per esempio della nota serie tv The Walking Dead. Sarebbero stati, infatti, stregoni malvagi chiamati “bokor” a crearli, inducendo in alcune persone una condizione di morte apparente per poi “resuscitarle” in uno stato di totale sudditanza. Per una religione nata dalla schiavitù, può avere senso credere che esista un destino peggiore della morte: quello di diventare schiavo a vita, senza un’anima. Uno zombi, appunto.

Quando alcuni antropologi occidentali hanno scoperto il folklore haitiano, hanno cercato di capire come fossero nate le leggende sugli zombi. Negli anni Ottanta un etnobiologo chiamato Wade Davis si convinse di aver scoperto la chimica degli zombi. Le persone che si spacciavano per bokor nei loro riti di fatto usavano delle pozioni per “zombificare”. Lo scienziato trovò il modo di procurarsi un po’ di queste pozioni e le analizzò. Scoprì che contenevano tetrodotossina, un potente veleno che si può trovare nel pesce palla e che, secondo Davies, era responsabile dello stato di morte apparente dal quale poi si risvegliavano gli zombi grazie a un’altra pozione, capace di agire da antidoto. Tuttavia, altri scienziati, negli stessi campioni di Davies, non trovarono tetrodotossina sufficiente a produrre un qualunque effetto. Un fatto confortante, poiché l’intossicazione da tetrodotossina è pericolosissima e potenzialmente letale.

L’idea che, partendo dagli organi interni di un pesce, che ha un contenuto molto variabile di tetrodotossina, fosse possibile preparare una droga con un dosaggio sufficiente a “ibernare” qualcuno, senza ucciderlo, richiede forse un tipo particolare di fede: quella del turista occidentale a caccia di emozioni. A più di trent’anni di distanza, non è ancora stato provato che i bokor sapessero indurre una morte apparente con la tetrodotossina, né che esista un antidoto per contrastare gli effetti di questa sostanza.

Le persone che ancora oggi ad Haiti sono identificate come “zombi” sono in realtà vittime di malattie psichiatriche non curate e non della magia.

Stefano Dalla Casa
Giornalista e comunicatore scientifico, si è formato all’Università di Bologna e alla Sissa di Trieste. Scrive o ha scritto per le seguenti testate o siti: Il Tascabile, Wonder Why, Aula di Scienze Zanichelli, Chiara.eco, Wired.it, OggiScienza, Le Scienze, Focus, SapereAmbiente, Rivista Micron, Treccani Scuola. Cura la collana di divulgazione scientifica Zanichelli Chiavi di Lettura. Collabora dalla fondazione con Pikaia, il portale dell’evoluzione diretto da Telmo Pievani, dal 2021 ne è il caporedattore.
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