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Eredità preziose e millenarie rafforzano il sistema immunitario

Dall’analisi dei genomi rinvenuti negli ominini di Denisova, sappiamo che parte di questo DNA è stato trasmesso alle attuali popolazioni che abitano la Nuova Guinea. Sembra che questa eredità genetica aiuti a rispondere in maniera molto efficace alle infezioni virali.

Nel DNA degli esseri umani moderni sono presenti tracce di materiale genetico che si ritrovano anche nei reperti di gruppi umani presenti sulla Terra decine o centinaia di migliaia di anni fa, dai Neanderthal ai Denisova, passando verosimilmente per una lunga serie di ominini arcaici ancora da scoprire. Di frequente gli scienziati aggiungono nuovi tasselli a questo puzzle sul passato della nostra specie, tra ritrovamenti e analisi genetiche.

In particolare, i recenti risultati di uno studio, pubblicati sulla rivista Plos Genetics, hanno chiarito che alcune popolazioni attuali di Paesi che si affacciano sull’Oceano Pacifico portano con sé la maggiore quantità di materiale genetico originario dei denisoviani. Pare che proprio da questa eredità derivino la spiccata resistenza a varie infezioni virali e un sistema immunitario particolarmente sviluppato ed efficace nel contrastare alcune malattie.

Gli esseri umani contemporanei non hanno caratteristiche così esclusive

Soltanto una piccola parte del nostro genoma, quantificabile in una percentuale compresa tra l’1,5 per cento e il 7 per cento, è esclusiva della specie Homo sapiens e non è condivisa con le altre specie del nostro stesso genere. Gli esseri umani moderni presentano infatti diverse porzioni di genoma comuni a quelle dei Neanderthal, dei denisoviani e di altri ominini arcaici. Tali mescolanze di DNA sono quasi certamente l’effetto di incroci tra membri dei diversi gruppi, che possono essersi incontrati anche per i molteplici flussi migratori avvenuti nel corso della storia. È stato stimato che i neandertaliani hanno contribuito grosso modo per il 2 per cento alla formazione dei genomi non africani. Il ruolo dei denisoviani è invece molto più variabile e in particolare sembra avere inciso fino al 5 per cento sui genomi delle popolazioni indigene del Sudest asiatico e dell’Australia.

Oltre agli intrecci di popolazioni differenti, quello che siamo oggi è il risultato di numerose mutazioni genetiche e processi evolutivi che si sono susseguiti nel corso dei millenni, consentendo alla nostra specie, rispetto alle altre, di adattarsi maggiormente alle condizioni ambientali e sopravvivere più a lungo.

Chi sono i denisoviani?

I cosiddetti denisoviani sono un gruppo di nostri antenati i cui resti sono stati scoperti solo nel 2008. Anche per questo si tratta di ominini ancora poco noti al grande pubblico, con molte ricerche ancora in corso.

Questi ominini devono il proprio nome alla Grotta di Denisova, il sito della Siberia meridionale in cui sono stati trovati i primi reperti. Inizialmente i paleontologi avevano pensato che potessero essere resti ossei di Neanderthal, ma con il tempo si sono resi conto che appartenevano a un gruppo umano ancora ignoto, aprendo le porte a una lunga serie di ulteriori indagini. Ancora oggi, le informazioni sull’aspetto dei denisoviani sono poche, ma si sa che erano originari delle montagne del Tibet, erano particolarmente abili nella costruzione di utensili di vario genere e avevano la pelle di colore scuro, oltre a mascelle lunghe e ingombranti.

Lo studio che complica la linea di discendenza dell’Homo sapiens

L’assetto genomico dei membri attuali della nostra specie è il risultato di scambi e intrecci tra antenati, molto più numerosi di quanto si potesse pensare fino a qualche anno fa. Da questo punto di vista sono stati cruciali gli studi dello scienziato svedese Svante Pääbo, che ha ricevuto il premio Nobel per la fisiologia o la medicina nel 2022. Una conferma successiva è venuta da uno studio americano, i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista Plos Genetics ad agosto 2020. La ricerca è stata condotta con un algoritmo in grado di analizzare le sequenze genetiche umane di tre Neanderthal, un Denisova e due uomini moderni provenienti dall’Africa. I risultati hanno chiarito che circa il 3 per cento del DNA di Neanderthal proviene da esseri umani più antichi e che l’incrocio tra questi gruppi di ominidi differenti risale a un periodo compreso tra 200.000 e 300.000 anni fa, decisamente prima che avvenisse la più recente e nota mescolanza delle due specie.

Un altro dato significativo riguarda il fatto che circa l’1 per cento del DNA del Denisova proviene da un essere umano più antico e del tutto sconosciuto, come risultato di un incrocio accaduto circa un milione di anni fa. Anche se rimangono molte incertezze a riguardo, sembra ormai assodato che grosso modo il 15 per cento delle sequenze genetiche ritrovate in queste popolazioni antiche siano presenti anche in molte persone che vivono oggi.

Un sistema immunitario efficace

In uno studio più recente, condotto presso l’Università di Melbourne in Australia, alcuni ricercatori hanno indagato le caratteristiche genetiche di gruppi indigeni della Nuova Guinea. Come anticipato, queste popolazioni sembrano avere una discendenza forte dal gruppo umano dei denisoviani. Gli scienziati hanno analizzato 56 genomi, confrontando la distribuzione delle varianti e valutandone gli impatti funzionali. Dai dati analizzati sembra che la speciale eredità aiuti queste popolazioni a contrastare in maniera particolarmente efficace le infezioni virali.

Il gruppo di scienziati ha infatti trovato una frequenza molto elevata di mutazioni nelle sequenze geniche coinvolte nello sviluppo e nel controllo del sistema immunitario. Di per sé la presenza di queste varianti geniche potrebbe non avere un significato funzionale. Tuttavia le differenze sono state anche osservate nei comportamenti e nelle reazioni delle cellule del sistema immunitario. Un ruolo importante da questo punto di vista riguarda il cosiddetto tempo di adattamento. In Nuova Guinea le popolazioni di origine denisoviana sono state isolate molto a lungo. Hanno perciò avuto decine di migliaia di anni in più, rispetto ad altri in diversi luoghi del mondo, per adattarsi per esempio alle malattie locali, prima che, nel Settecento, arrivasse la cosiddetta modernità. Pertanto dagli accoppiamento tra queste popolazioni indigene sono verosimilmente emerse configurazioni geniche specifiche, che hanno permesso di contrastare varie infezioni e malattie virali.

Queste informazioni mettono in luce – e confermano una volta di più – come le differenze geniche e i tempi di adattamento svolgano un ruolo essenziale nel processo di sviluppo e maturazione del sistema immunitario.

Gianluca Dotti
Giornalista scientifico freelance e divulgatore, si occupa di ricerca, salute e tecnologia. Classe 1988, dopo la laurea magistrale in Fisica della materia all’università di Modena e Reggio Emilia ottiene due master in comunicazione della scienza, alla Sissa di Trieste e a Ferrara. Libero professionista dal 2014 e giornalista pubblicista dal 2015, ha tra le collaborazioni Wired Italia, Radio24, StartupItalia, Festival della Comunicazione, Business Insider Italia, Forbes Italia, OggiScienza e Youris. Su Twitter è @undotti, su Instagram @dotti.it.
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