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La donna insensibile al dolore

Jo Cameron non sente alcun dolore, né prova mai paura o ansia. I risultati di un recente studio, pubblicati sulla rivista Brain, hanno mostrato i meccanismi molecolari alla base di questa insensibilità. Si apre così la strada allo studio di nuove strategie terapeutiche per la gestione del dolore.

Nel 2013 Jo Cameron ha 66 anni e vive in Scozia. Sta affrontando una trapeziectomia, un’operazione chirurgica ortopedica alla mano per curare l’artrite, che prevede di rimuovere il trapezio metacarpale, l’osso alla base del pollice. In genere dopo questo tipo di operazione i pazienti provano dolore e hanno bisogno di forti analgesici. Jo però dice di non averne bisogno, perché non sente nulla di fastidioso. Il personale sanitario si stupisce e, incuriosito, inizia a rivolgerle qualche domanda. Scopre così che, un anno prima, a Jo era bastata qualche pastiglia di paracetamolo per sopportare i postumi di un intervento all’anca. Ma in realtà è da tutta la vita che Jo si fa male, subisce tagli e bruciature, senza provare dolore. Se appoggia un braccio su un fornello acceso, si accorge che qualcosa non va soltanto quando inizia a sentire odore di carne bruciata.

Ai medici è ormai evidente che il suo è un caso studio da manuale e la spediscono per alcune analisi in un laboratorio di genetisti del dolore all’University College of London (UCL). Vogliono capire se tra i geni di Jo si riesce a trovare il motivo che la rende tanto speciale. Nel 2019 sono così state identificate due importanti mutazioni nel suo DNA, mentre solo di recente, a maggio 2023, si è compreso il meccanismo molecolare alla base di questo raro effetto. I risultati di questi studi potrebbero portare a sviluppare nuovi trattamenti per la gestione del dolore.

In famiglia nessuno è come Jo. Suo figlio sente il dolore in modo più attenuato rispetto alla norma, mentre la madre e la figlia lo percepiscono in modo normale. Così, per trovare i geni responsabili di questa diversa percezione, i ricercatori dell’UCL hanno analizzato e paragonato il DNA di tutti i membri della famiglia. Nel 2019 i primi risultati pubblicati sul British Journal of Anaesthesia hanno identificato nel genoma di Jo una piccola mutazione nel gene FAAH, detta a singolo nucleotide, e una microdelezione di FAAH-OUT, ovvero la mancanza di una piccola parte del gene. La microdelezione è presente in entrambi i cromosomi di Jo, su soltanto uno del figlio, e in nessun cromosoma della madre e della figlia. Invece solo Jo manifesta la mutazione a singolo nucleotide in FAAH. I ricercatori sono così arrivati alla conclusione che possedere entrambe le mutazioni conferisce a Jo una totale insensibilità al dolore, mentre portare solo la microdelezione, come suo figlio, causa una parziale insensibilità. Chi non ne ha nessuna, come la madre, la figlia e la maggior parte della popolazione, percepisce il dolore in modo normale.

Jo Cameron non è soltanto insensibile alla sofferenza fisica, ma non prova nemmeno ansia, stress e paura. È sempre di umore allegro, dimentica spesso le informazioni e le sue ferite si cicatrizzano in fretta. Tutte queste caratteristiche così diverse tra loro riconducono al sistema degli endocannabinoidi endogeni, noto per essere coinvolto appunto nella regolazione del dolore, dell’apprendimento, della memoria e della rimarginazione delle ferite. Il gene FAAH porta infatti alla formazione di un enzima, l’idrolasi degli acidi grassi ammidici, che nel cervello e nei gangli spinali modula l’attività di questo sistema. FAAH-OUT rientra invece nel cosiddetto “DNA spazzatura”, come era chiamata fino a qualche tempo fa la parte di genoma che non codifica per proteine e che sembrava non produrre nulla di noto. Negli ultimi anni si è compreso quanto queste porzioni di materiale genetico siano invece cruciali per regolare l’accesso ai geni e quindi, indirettamente, numerosi processi cellulari. In questo caso sembra proprio che FAAH-OUT possa ridurre l’attività del gene FAAH.

Con gli ultimi risultati pubblicati su Brain, si è fatto un passo avanti nella comprensione della relazione tra FAAH e FAAH-OUT. Si è scoperto che c’entra l’epigenetica, ovvero l’insieme di caratteristiche che non riguardano la sequenza del DNA, ma la possibilità di accedervi e di utilizzare o meno i geni per produrre proteine. Più precisamente, la microdelezione di FAAH-OUT porta all’accumulo di molte alterazioni epigenetiche, dette metilazioni, in prossimità del gene FAAH. Il risultato è che questo gene diventa illeggibile, inaccessibile. Si riduce così l’attività dell’asse FAAH-FAAH-OUT, portando all’attivazione di diverse vie di segnalazione e quindi alle caratteristiche inedite di Jo. I ricercatori hanno infatti scoperto che la deregolazione di questo asse può alterare l’espressione di altri geni, tra cui BDNF, coinvolto nella regolazione dell’umore, ACKR3, in quella del dolore, e NAT, nella rimarginazione delle ferite.

Comprendere così nel dettaglio i meccanismi molecolari alla base delle caratteristiche inedite di Jo non è fine a se stesso. Se non sentire alcuna sofferenza fisica può portare a ignorare situazioni di pericolo, diventando persino un rischio per la salute, riprodurre questa capacità in modo temporaneo e controllato potrebbe aiutare a formulare nuove strategie terapeutiche per la gestione del dolore, ma anche dell’ansia, della depressione e di disordini neurologici. A questo scopo sono già stati svolti alcuni tentativi di produrre inibitori di FAAH che, però, non hanno portato ancora a risultati ottimali. Con questi nuovi dati si apre la strada anche per lo studio di farmaci che agiscano in modo diverso, per esempio influendo sull’attività di FAAH-OUT.

Camilla Fiz
Comunicatrice della scienza, ha terminato il master in comunicazione della scienza alla SISSA di Trieste, dopo una formazione in biotecnologie molecolari all’Università degli studi di Torino e in pianoforte al Conservatorio Giuseppe Verdi della stessa città. Oggi si occupa della realizzazione e revisione di testi sui temi di salute e ricerca biomedica per Fondazione AIRC.
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