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I benefici degli abbracci, tra falsi miti e surrogati robotici

Gli abbracci possono avere importanti effetti benefici sulla nostra salute? Lo stiamo ancora scoprendo. Nel frattempo, alcuni ricercatori stanno cercando di capire se possano essere usati, anche con strumenti tecnologici, per migliorare il benessere di alcune categorie di persone.

“Secondo la tradizione, quando abbracciamo qualcuno in modo sincero, guadagniamo un giorno di vita” scrive Paulo Coelho nel romanzo Aleph. Nella realtà, è probabile che i benefici degli abbracci non siano fondamentali come li descrive lo scrittore brasiliano, ma è vero che possono farci stare meglio: i risultati di diversi studi indicano che possono calmarci, renderci più felici e farci sentire più compresi. Al punto che da anni alcuni ricercatori stanno cercando di capire se pupazzi e robot che abbracciano possano aiutare a far stare meglio alcune categorie di pazienti, come quelli affetti da demenza. Ma studiare gli effetti degli abbracci sulla salute e sul benessere non è semplice e c’è ancora molto da scoprire.

L’importanza degli abbracci

In un mondo sempre più digitale, il contatto fisico continua a essere considerato fondamentale dalla maggior parte delle persone. E la psicologia gli riconosce un valore importante per lo sviluppo, l’apprendimento e la socialità, fin dalla nascita. Per esempio, secondo i risultati di alcuni studi, bambini allevati in orfanotrofi con scarsi contatti fisici con le persone che si prendevano cura di loro possono mostrare processi di sviluppo psicofisico più complicati rispetto a bambini che in analoghe condizioni avevano ricevuto anche abbracci.

Gli abbracci sono tra le forme di contatto fisico più intime. Li offriamo per salutare, consolare, mostrare vicinanza e gratitudine. In etologia, la disciplina che studia il comportamento animale, si parla di gesti di affiliazione, che rafforzano i legami e stimolano a cooperare. Si tratta di comportamenti importanti per specie sociali come la nostra, in cui la cooperazione ha un forte valore evolutivo, ovvero promuove la nostra sopravvivenza. Per questo è ragionevole pensare che l’abbraccio sia uno di questi comportamenti, che si sono affermati e conservati nel corso dell’evoluzione per i vantaggi che offrono agli individui di molte specie sociali. Anche per questo l’abbraccio ci fa sentire bene (secondo alcuni studi, più delle parole di consolazione, per esempio)

Secondo alcuni scienziati, gli abbracci potrebbero avere molti effetti positivi sulla salute, dalla riduzione dello stress al contributo alle terapie di alcune malattie. Tuttavia, la questione è complessa da indagare.

Quanto fa bene un abbraccio?

In genere, le persone amano gli abbracci e li descrivono come un segno di affetto, empatia e supporto, che le fa sentire più comprese, rilassate e al sicuro. I risultati di uno studio che ha coinvolto oltre 20.000 canadesi sopra i 64 anni d’età, pubblicati sulla rivista Research on Aging nel 2020, mostrano che gli abbracci farebbero bene alla salute degli anziani. Infatti, secondo questi risultati, chi ha ricevuto abbracci quando ne ha sentito il bisogno avrebbe avuto maggiori probabilità di sentirsi bene più avanti nella vita rispetto a coloro che hanno ricevuto meno abbracci. Tuttavia, dai dati emerge anche che altri fattori preludono a un maggiore benessere: il sesso femminile, una situazione familiare più agiata, un livello di educazione superiore, avere un lavoro, una maggiore attività fisica, l’assenza di condizioni croniche o dolore e una maggiore indipendenza nelle attività quotidiane.

Tutti questi risultati si basano però su autovalutazioni, raccolte soprattutto tramite questionari: un metodo che in ambito scientifico non è considerato particolarmente affidabile. Sono infatti considerazioni soggettive, basate sulla memoria, difficili da replicare e confrontare tra i diversi studi. Per stabilire più accuratamente i possibili effetti degli abbracci sulle persone, alcuni ricercatori hanno effettuato esperimenti in condizioni controllate e studiando alcuni parametri biologici associati a stress o, viceversa, a emozioni positive. Per esempio, hanno misurato se prima e dopo un abbraccio ci sono differenze nei livelli di ossitocina, un ormone legato all’affettività e all’attaccamento, o in quelli di cortisolo, il cosiddetto ormone dello stress.

In generale, i risultati di questi studi suggeriscono che dopo un abbraccio aumenterebbero i livelli di ossitocina nel sangue, segno del fatto che questo gesto potrebbe favorire la formazione di legami sociali e così migliorare il benessere psicologico. Inoltre, si riducono la velocità del battito cardiaco, la pressione sanguigna e i livelli di cortisolo nella saliva o nel sangue. Per questo alcuni ricercatori sostengono che gli abbracci calmino le persone e riducano l’ansia. E, secondo i risultati di uno studio del 2015 pubblicati sulla rivista Psychological Science, ricevere abbracci e supporto sociale potrebbe persino ridurre la gravità dei sintomi o la possibilità di ammalarsi di alcune infezioni.

Tuttavia, a oggi non è possibile stabilire un nesso causale tra gli abbracci e questi possibili benefici, perché non è possibile eliminare alcuni fattori sia intrinseci sia esterni che potrebbero influire sul risultato. Per esempio, anche il solo contatto fisico può regolare l’attività del cosiddetto asse dello stress, il meccanismo biologico che ci rende stressati producendo cortisolo, e del sistema nervoso autonomo, che (tra i vari aspetti) regola il battito cardiaco.

Gli abbracci usati come terapie

“Già quando avevo tre anni, avevo alcuni sintomi classici dell’autismo, come l’avversione al contatto fisico e un’incapacità a comunicare, tantrum [una sorta di scatti di collera, ndr] e stereotipie [comportamenti ripetuti in modo sempre uguale, ndr]. Mi irrigidivo quando le persone mi toccavano e per questo le respingevo, ed ero ipersensibile sia al tatto sia ai suoni.” Così scrive Temple Grandin, nota attivista ed esperta di comportamento animale statunitense, ex docente della Colorado State University e tra le più conosciute personalità viventi con una diagnosi di spettro autistico. Per ridurre i propri problemi di ipersensibilità, a 18 anni realizzò una cosiddetta “hug machine” o “squeeze machine”, una sorta di “amaca abbracciante” che la stringeva e la aiutava a calmarsi. Nelle sue ricerche alla Colorado State University, Grandin si è poi dedicata anche a studiare i possibili benefici di questi “abbracci stretti” e artificiali.

Secondo i risultati dei suoi studi e di quelli di altri ricercatori, strumenti come la “hug machine”, che applicano una pressione laterale sul corpo, potrebbero avere effetti calmanti su bambini con diagnosi di spettro autistico o di disturbo da deficit di attenzione e iperattività (ADHD). Effetti simili del contatto fisico sono stati osservati, anche con bovini, cani e altri animali. Come abbiamo visto, però, studi come questi presentano limiti importanti che non consentono di trarre conclusioni nette, né è ancora ben chiaro perché questi “abbracci” possano avere effetti positivi. Tuttavia, strumenti come la “hug machine” e altri surrogati più o meno tecnologici in grado di offrire sensazioni simili a un abbraccio sono in fase di studio, poiché potrebbero offrire delle potenzialità terapeutiche.

Si potrebbero utilizzare, per esempio, per offrire conforto a persone affette da demenza senile, un problema cognitivo comune tra gli anziani, che spesso convivono con questa malattia per anni se non per decenni, dato che ancora non esistono cure. I problemi di memoria, orientamento, percezione e cognizione tipici di molte forme di demenza sono spesso associati a stress, agitazione, rabbia e ansia. Inoltre, spesso queste persone soffrono di solitudine. Abbracciare bambole o cuscini e peluche dalla forma di animali domestici o sembra dare conforto ad alcuni di questi pazienti, che descrivono tali pupazzi come rassicuranti e di compagnia.

Sono in fase di studio anche altre possibili applicazioni degli abbracci in terapia. In particolare, in alcuni ospedali britannici e di altri Paesi sono in sperimentazione diversi robot da abbracciare, che per esempio riproducono brani musicali e interagiscono con i pazienti. La maggiore personalizzazione di questi strumenti consentita dalla tecnologia, e in particolare dall’intelligenza artificiale, potrebbe avere notevoli potenzialità terapeutiche.

Abbracci, robot e intelligenza artificiale

A novembre 2023, in una residenza sanitaria assistenziale (RSA) in provincia di Brescia è arrivata Paro, una foca robot che interagisce con gli anziani. Grazie a microfoni, sensori, arti mobili e all’intelligenza artificiale, il peluche tecnologico può muoversi ed emettere versi in accordo con la volontà della persona, perché è programmato per imparare a ripetere solo le azioni che la persona premia con delle carezze. Così, Paro e altri robot sociali, progettati cioè per interagire in modo apparentemente intelligente con gli esseri umani, potrebbero aiutare i pazienti.

I ricercatori stanno sperimentando anche altri robot da abbracciare dotati di capacità simili. Alcuni riproducono il battito cardiaco e playlist musicali personalizzate, altri hanno sensori di pressione e smettono di abbracciare la persona quando sentono che questa sta interrompendo il contatto fisico. Qualcuno è capace di elaborare e produrre una conversazione, grazie all’intelligenza artificiale. Adattamenti come questi possono rendere l’interazione con i robot più piacevole o benefica. I risultati di alcune delle sperimentazioni in corso mostrano che gli esseri umani preferiscono robot che iniziano la conversazione, gesticolano mentre parlano e mimano i gesti dell’interlocutore. Altri aspetti esaminati sono stati l’aspetto e la voce dei robot.

Naturalmente ognuno ha gusti differenti. Se alcuni rispondono bene ai robot da abbracciare, altri possono trovarli infantili, poco interessanti o addirittura sgradevoli. Ma cosa potrebbe accadere se si realizzassero robot sociali dotati anche di carattere e personalità? O se i pazienti interagissero con robot capaci di analizzare lo stato mentale o le emozioni di chi si trovano davanti e agire di conseguenza?

Naturalmente sono necessari ulteriori studi per capire meglio le potenzialità e i limiti di queste tecnologie. Nel dubbio sui reali benefici del contatto fisico, anche da parte di nuove tecnologie sperimentali, l’importante è sempre abbracciare nuove prospettive per imparare un po’ di più, domanda dopo domanda.

Jolanda Serena Pisano
Dopo una laurea triennale in scienze biologiche e la laurea magistrale in Evoluzione del comportamento animale e dell'uomo presso l'Università degli studi di Torino, ha conseguito il master in comunicazione della scienza MaCSIS dell'Università degli studi di Milano-Bicocca. Si occupa di comunicazione della scienza dal 2019, principalmente come redattrice di contenuti per siti rivolti a pubblici vari e per eventi rivolti ai professionisti della salute. Nel 2023 è diventata Caporedattrice di BioPills, associazione senza scopo di lucro di divulgazione scientifica. Per AIRC, in qualità di Scientific Communication and Dissemination Specialist, redige e revisiona testi, è responsabile editoriale del sito WonderWhy.it e cura la comunicazione di progetti di ricerca europei.
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