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La storia dell’herpes labiale è scritta anche nei denti dei nostri antenati

L’epoca in cui si sono differenziati alcuni ceppi di Herpesvirus (HSV-1) di tipo labiale comuni ancora oggi potrebbe risalire a circa cinquemila anni fa. L’ampia diffusione che questi virus hanno raggiunto nella popolazione di tutto il mondo è forse il risultato di una combinazione, favorevole ai virus stessi, di caratteristiche biologiche e di comportamenti umani. Questo almeno sembrano dire i risultati di uno studio condotto sul DNA ritrovato nei resti di persone defunte secoli e millenni fa, verosimilmente affette da questo tipo di virus.

Il virus dell’herpes labiale, che oggi nel mondo sembra essere diffuso in quasi 4 miliardi di persone, considerando solo quelle di età inferiore ai 50 anni. I ceppi che circolano ancora oggi potrebbero essersi diversificati da ceppi precedenti in un’epoca più recente di quanto creduto finora dagli scienziati. In particolare, secondo i risultati di un recente studio, pubblicati sulla rivista Science il 27 luglio 2022, la loro origine si collocherebbe all’interno delle Età dei metalli, più precisamente attorno a cinquemila anni fa. I risultati, in parte inaspettati, sono stati ottenuti grazie all’analisi del DNA trovato in resti di esseri umani che in vita avevano verosimilmente sofferto di questo fastidioso disturbo.

Uno fra tanti tipi di Herpesvirus

Oggi conosciamo circa un centinaio di tipi differenti di Herpesvirus, che possono infettare molte specie di mammiferi, uccelli e pesci. Gli esseri umani sono comunemente colpiti da una decina di essi: gli herpes simplex di tipo 1 e 2 (HSV-1 e HSV-2), il virus della varicella-zoster, il citomegalovirus, il virus Epstein-Barr, gli herpesvirus di tipo 6 (varianti A e B), 7 e 8, e il virus del sarcoma di Kaposi. In questo approfondimento ci occuperemo di HSV-1, un virus a DNA a doppio filamento che causa l’herpes labiale ed è diffusissimo ovunque nel mondo. Si trasmette prevalentemente per contatto orale e proprio all’interno della bocca trova l’ambiente più adatto alla sua proliferazione.

Come accade per molti virus endemici e a così ampia diffusione, le persone colpite soffrono perlopiù di infezioni lievi se non asintomatiche, motivo per cui molti non sanno di esserne affetti. Le persone che contraggono questi virus portano dentro di sé il virus a vita, seppure in maniera latente, e possono essere soggette al riacutizzarsi dell’infezione in caso di stress o di condizioni per cui il virus si riattiva e dà segno di sé con i sintomi tipici della malattia. Esiste inoltre un rischio di complicazioni più o meno gravi, che possono sfociare in una viremia nell’ospite nel caso in cui le difese immunitarie non siano in grado di contrastare il virus.

La trasmissione del virus è per contatto e principalmente verticale, ossia dai genitori ai figli e nell’infanzia. È tuttavia probabile che vi siano anche trasmissioni laterali, ossia tra partner, verosimilmente cominciate con l’aumento di densità della popolazione umana a partire dall’Età del bronzo e con la maggiore frequenza di contatti affettivi e sessuali tra individui di diverse famiglie o tribù. Questa seconda modalità di diffusione può anche avere contribuito a far prevalere alcuni ceppi virali rispetto ad altri.

Oggi, anche in seguito alle diffuse cure dentistiche, sappiamo che HSV-1 ha maggiori probabilità di manifestarsi e dare sintomi in presenza di una malattia parodontale o di altri tipi di infiammazioni orali. Tuttavia, la presenza di tali malattie potrebbe anche essere il segno di un sistema immunitario indebolito, dal quale i virus potrebbero essere favoriti in modo indipendente.

La ricerca del materiale genetico virale nei reperti paleontologici

Un gruppo di scienziati dell’Università di Cambridge, composto da archeologi, paleontologi, antropologi e biochimici, ha svolto una ricerca sui resti umani ritrovati in oltre 3.000 sepolture di diverse epoche, tra cui vi erano persone che erano state affette da questi virus. I ricercatori hanno individuato la presenza di DNA di HSV-1, di quattro ceppi diversi, nelle radici dei denti molari. Il sito è inusuale per la ricerca di questi campioni, ma non è inverosimile per un virus che notoriamente predilige la cavità orale, il palato, la lingua e – appunto – le gengive. In altri siti, per esempio la polpa dentale, il virus non è stato comunemente trovato in resti di sepolture. Ciò può essere dovuto al fatto che la maggior parte delle persone ha infezioni latenti a carica virale troppo bassa per il reperimento.

I defunti, protagonisti involontari dello studio, sono deceduti nell’arco di un millennio circa, tra 1.500 e 500 anni fa. Con metodo filogenetico gli scienziati hanno potuto ricostruire in parte le mutazioni e le evoluzioni nei DNA virali identificati. Studi comparativi hanno permesso di riunire i campioni di DNA virale in alcuni ceppi, in base anche all’origine geografica dei reperti umani. È stato così possibile stabilire che i ceppi virali si sarebbero differenziati nell’umanità dopo le più antiche migrazioni dei nostri antenati dall’Africa. Per questi studi i ricercatori hanno fatto riferimento alle sequenze del cosiddetto DNA antico (aDNA).

I risultati ottenuti suggeriscono che alcuni dei soggetti i cui resti sono stati esaminati non siano deceduti a causa del virus. Verosimilmente queste persone convivevano con l’infezione proprio come oggi accade a tanti. Gli scienziati hanno anche potuto rilevare che nel tempo non si sono verificate particolari mutazioni nel genoma virale e che i moderni ceppi di HSV-1 sono piuttosto simili a quelli antichi. La maggiore diffusione del virus potrebbe essere pertanto dovuta a cambiamenti nei comportamenti umani in grado di favorire il contagio.

L’Herpesvirus HSV-1 e il suo posto nella storia

Utilizzando alcuni database contenenti informazioni filogenetiche sugli Herpesvirus e confrontando con esse i risultati ottenuti, i ricercatori considerano che sia plausibile un’origine africana del virus. Successivamente, nel corso delle Età dei metalli, il virus si sarebbe differenziato in più ceppi, anche in seguito al mutamento dei comportamenti associati a una maggiore densità di popolazione. Forse all’epoca il bacio stava cominciando a diffondersi nei rapporti amorosi tra individui di diverse famiglie o tribù, il che può aver contribuito alla diffusione del virus HSV-1 su scala planetaria.

Il ritrovamento di DNA virale nei campioni studiati conferma che già qualche millennio fa l’infezione era molto comune e non fatale, proprio come oggi.

Come gli autori dello studio hanno sottolineato, si tratta comunque in gran parte di deduzioni indirette, poiché il genoma più antico estratto dai denti di un essere umano risale a circa 1.500 anni fa, nei pressi della catena montuosa degli Urali. Tutto il resto è frutto di estrapolazioni ottenute analizzando dati di DNA antichi provenienti da altri nostri antenati vissuti anche in epoche meno recenti, che presentavano caratteristiche genetiche compatibili con la presenza del virus. Gli scienziati stessi, nonostante l’enorme mole di lavoro già svolto, ritengono sia necessaria una copertura di dati più ampia dal punto di vista sia geografico sia temporale. In particolare, per confermare o confutare le ipotesi avanzate, serviranno analisi su reperti asiatici e africani, oltre a genomi antichi di altre epoche da mettere a confronto.

Gianluca Dotti
Giornalista scientifico freelance e divulgatore, si occupa di ricerca, salute e tecnologia. Classe 1988, dopo la laurea magistrale in Fisica della materia all’università di Modena e Reggio Emilia ottiene due master in comunicazione della scienza, alla Sissa di Trieste e a Ferrara. Libero professionista dal 2014 e giornalista pubblicista dal 2015, ha tra le collaborazioni Wired Italia, Radio24, StartupItalia, Festival della Comunicazione, Business Insider Italia, Forbes Italia, OggiScienza e Youris. Su Twitter è @undotti, su Instagram @dotti.it.
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