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Le molteplici caratteristiche della memoria e del suo funzionamento

Come funziona la memoria? Quali sono le differenze tra quella a lungo e quella a breve termine? Quali sono i meccanismi biologici coinvolti e quali gli aspetti ancora poco compresi? Ecco una (neanche tanto) breve panoramica su una delle nostre facoltà più interessanti e complesse.

La memoria umana è una facoltà cerebrale ancora in buona parte misteriosa, nonostante l’interesse che suscita da lungo tempo nella comunità scientifica e le scoperte fatte. La capacità di ricordare ha un ruolo cruciale nel determinare, tra le altre cose, il nostro posto nel mondo: è alla base dell’apprendimento e del senso di identità. Inoltre porta con sé parte delle motivazioni alla base dei comportamenti e dei progetti umani. Senza memoria non potremmo compiere azioni complesse ed elaborare relazioni di causa ed effetto, né saremmo in grado di prevedere e scegliere a partire dall’esperienza. Non stupisce che gli antichi attribuissero alla memoria una natura soprannaturale.

Quando la capacità di generare ricordi peggiora o si disintegra (per esempio nelle demenze senili), i molteplici ruoli di questa fondamentale funzione risultano lampanti in negativo. E proprio in queste circostanze diventa anche chiarissimo che la memoria è una funzione centrale al funzionamento di quasi ogni attività umana ed è ben di più un archivio di informazioni.

A quanto pare, noi esseri umani siamo l’unica specie che soffre di patologie come l’Alzheimer, una malattia neurodegenerativa che pregiudica la capacità di ricordare fatti e persone, di apprendere e di mantenere l’integrità della propria esistenza, fino a una decostruzione del proprio sé. Con l’allungarsi dell’aspettativa di vita, le demenze saranno sempre più frequenti, dato che il principale fattore di rischio è l’età. Una conseguenza sarà l’aumento delle spese private e collettive per la cura dei malati. Anche per questa ragione gli studi sulla memoria e sulla cura delle sue patologie sono tanto più urgenti.

Le ricerche sulla memoria si sono rivelate di una complessità immane, poiché ne abbiamo di molti tipi, con numerosi meccanismi coinvolti. Una delle distinzioni che siamo più abituati a sentire è quella tra memoria a breve e a lungo termine, ossia tra le informazioni elaborate per un corto periodo di tempo, dalla cosiddetta memoria di lavoro, e quelle conservate invece più a lungo. Questa classificazione, come molte altre del resto, è soprattutto descrittiva e i diversi meccanismi coinvolti nella memoria tendono a funzionare in modo non solo simile, ma anche e soprattutto in maniera integrata.

Come funziona la memoria a lungo termine

Grazie ai risultati ottenuti nel corso di ricerche lunghe più di un secolo, i neuroscienziati hanno elaborato (al netto di molti lati ancora oscuri) più di una teoria generale dei processi della memoria. Secondo una delle più accreditate, la memoria potrebbe consistere in almeno tre processi cognitivi: un processo di codifica, uno di archiviazione e uno di recupero. La codifica consiste nella ricezione di uno stimolo sensoriale e nella sua trasformazione in una forma, o in un codice, che può essere memorizzato, mantenuto e recuperato nel tempo. La sede fisica in cui tutto questo avviene sono i neuroni, le principali cellule del sistema nervoso, e in particolare le loro sinapsi, o terminazioni nervose. Al rafforzamento di questa teoria hanno anche contribuito i dati più recenti forniti dalle tecniche di neuroimaging e i progressi nel campo della biologia molecolare e dell’optogenetica.

La creazione dei ricordi è legata, in linee generali, alla cosiddetta plasticità neuronale, ossia alla capacità dei neuroni, e in particolare delle sinapsi, di modificarsi, adattarsi e rinforzarsi in risposta ai più svariati stimoli. Più precisamente, la memoria si forma e permane grazie alla creazione e allo sviluppo di nuove connessioni neurali. Sappiamo che la trasmissione di segnali all’interno del tessuto nervoso avviene, non solo per la memoria, tramite potenziali d’azione elettrici all’interno di una singola cellula. A ogni potenziale d’azione segue il rilascio di neurotrasmettitori, o piccole sostanze chimiche, da parte delle sinapsi dei neuroni coinvolti. Tali neurotrasmettitori stimolano quindi ulteriori neuroni, creando una sorta di effetto a cascata che può amplificare o inibire un segnale, e modificare in modo più o meno duraturo le sinapsi stesse.

I meccanismi neuronali funzionano in questo modo a partire da quando, nel feto, si forma e si attiva il sistema nervoso. Si creano così le prime percezioni e via via le esperienze si accumulano, sotto forma di ricordi più o meno espliciti, segnando letteralmente la forma che assumono i neuroni e le loro reti ramificate. Tra aree cerebrali differenti si genera così una trama di complicate interazioni, in un incessante dialogo tra le regioni cerebrali che ricevono stimoli dall’esterno, e quelle dove si immagazzinano le nuove informazioni e dove originano i comandi per le azioni e reazioni. Tra questi, vi sono, per esempio, i numerosi processi decisionali, di pensiero e le azioni motorie. Per fare giusto un esempio, quando vediamo un oggetto o udiamo un suono conosciuto, il cervello confronta il nuovo stimolo percepito con ciò che è archiviato in memoria, in base a stimoli precedenti. Siamo così in grado di riconoscere l’oggetto o il suono, a volte di nominarlo e possibilmente di richiamare le occasioni in cui lo abbiamo già visto o udito.

Ogni sinapsi può essere attivata da molti stimoli diversi. Il cervello potrebbe contenere circa 100 miliardi di neuroni, ciascuno dei quali potrebbe avere in media anche 7.000 connessioni sinaptiche con altri neuroni. Da soli, questi numeri più che astronomici ci dicono che la memoria, uno dei principali fenomeni cerebrali, è qualcosa di molto complesso e difficile da indagare.

Se evochiamo, per esempio, un cane, a ogni lettore di questo articolo verrà probabilmente in mente uno specifico animale. Ogni cane avrà una determinata forma, un colore, una consistenza, forse un odore e un modo di abbaiare, magari un nome, e così via. Ciascuna di queste informazioni è elaborata, nel nostro cervello, in diverse aree cerebrali. A oggi non sappiamo come queste aree concorrano a formare quella percezione unitaria e non frammentata di ciascun cane.

Un altro aspetto poco chiaro è come tutte queste informazioni partecipino alla costruzione di un concetto astratto. Come facciamo, per esempio, a riconoscere che uno specifico cane, magari diverso da tutti i cani che abbiamo conosciuto in precedenza, fa parte della categoria generale dei “cani” che hanno tutti quattro zampe, il pelo, la coda e così via? Vi è poi la questione di come il concetto generale di “cane”, derivato dal cumulo di esperienze con vari tipi di cani, si colleghi a ulteriori informazioni sul mondo canino, acquisite, per esempio, con lo studio o lo scambio di informazioni con altre persone. Informazioni quali i comportamenti tipici dei cani a seconda delle situazioni, la durata della vita media di un cane, le malattie di cui possono soffrire e così via.

Memoria implicita ed esplicita

La memoria a lungo termine è associata a varie forme di apprendimento implicito, come il condizionamento o associazione. Il condizionamento, o associazione, può per esempio avvenire quando uno stimolo piuttosto potente (per esempio del cibo) è associato a un altro stimolo neutro (per esempio un suono). Nei classici esperimenti di condizionamento del fisiologo russo Ivan Pavlov, agli inizi del Novecento, ad alcuni cani era stato fatto sentire più volte un suono prima che fosse dato loro del cibo. In seguito a questi cani bastava sentire il suono perché si attivassero le reazioni tipiche di attesa del cibo, come la salivazione. La memoria del suono era verosimilmente associata alla memoria del cibo nel cervello di questi cani. Anche gli esseri umani possono essere soggetti ad analoghi condizionamenti o associazioni, da cui possono dipendere reazioni di vario tipo. Possono essere indotte azioni motorie, oppure possono scaturire risposte come la sudorazione, l’aumento della respirazione e del battito cardiaco, l’arrossamento o l’aumento della salivazione. I condizionamenti e le associazioni possono anche coinvolgere le emozioni, che aiutano a valutare gli stimoli come positivi, neutri o negativi, e a preparare la risposta più adatta per la sopravvivenza e il benessere. Il condizionamento o associazione può essere considerato un apprendimento implicito perché non è detto che ne abbiamo consapevolezza.

Altre forme di memoria implicita comprendono, per esempio, l’apprendimento sociale, ossia le convenzioni culturali che derivano dall’esperienza di vivere in una determinata società, nell’ambito della quale osserviamo e replichiamo automaticamente consuetudini e comportamenti. È implicito anche l’apprendimento motorio, che può consistere nell’osservazione, memorizzazione e riproduzione di una sequenza complessa di movimenti e procedure. Esempi sono imparare a camminare o andare in bicicletta. Si tratta di movimenti che all’inizio comandiamo volontariamente e coordiniamo poco e male, ma che nel tempo diventiamo capaci di eseguire in modo fluido e automatico, senza che ci dobbiamo pensare.

Oltre che diverse aree della corteccia cerebrale, queste forme di memoria implicita coinvolgono anche altre parti del sistema nervoso, anche piuttosto distanti tra loro, tra cui l’amigdala (per emozioni come la paura e l’aggressività), il cervelletto (per il controllo motorio) e via dicendo.

La memoria esplicita è invece quella che riguarda l’acquisizione di informazioni e ricordi che possono essere richiamati e dichiarati. Il confine tra memoria esplicita e implicita non è tuttavia netto, perché è impossibile escludere del tutto dalla memoria i processi automatici o quelli a cui non dobbiamo prestare attenzione. Per esempio, potremmo considerare come esplicita la memoria utilizzata nell’apprendimento di una lingua, ma anche questo processo coinvolge numerosi meccanismi di memoria implicita automatica, come quello della riproduzione di suoni. Numerose ricerche, svolte soprattutto con pazienti affetti da condizioni patologiche come varie forme di amnesia selettiva, hanno individuato nell’ippocampo un centro importante per la formazione delle memorie esplicite. L’ippocampo, che fa parte delle parti del cervello più antiche dal punto di vista evolutivo, sembra svolgere compiti di confronto e verifica di informazioni, e potrebbe contribuire a canalizzare le informazioni in diverse aree di archiviazione poste all’interno della corteccia cerebrale.

La memoria a breve termine

Fortunatamente non tutti i ricordi perdurano nel tempo, altrimenti il cervello sarebbe sopraffatto dal sovraccarico di memorie e non potrebbe funzionare, né saremmo in grado di discriminare tra informazioni più o meno rilevanti. Per elaborare informazioni, pensieri, azioni utili al momento, che non è però necessario immagazzinare, c’è la cosiddetta memoria di lavoro o a breve termine, che consente di trattenere tutto ciò che serve finché è utile, per poi liberarsene.

I risultati di alcuni studi hanno mostrato che alcuni tipi di memoria a breve termine sono situati in diverse parti della corteccia prefrontale: per esempio informazioni di tipo verbale nella corteccia prefrontale sinistra, e di tipo spaziale in quella di destra.

Si è anche osservato che la memoria di lavoro interagisce con diversi altri processi cerebrali, tra i quali l’attenzione e la motivazione, attivando quindi molte altre aree cerebrali. Non è invece ancora chiaro se si tratti di un sistema a se stante o se invece rappresenti un primo passaggio a partire dal quale, poi, le memorie possono essere immagazzinate, in caso servano, nella memoria a lungo termine.

Meccanismi neurochimici

I processi elettrofisiologici e biochimici fondamentali dell’apprendimento erano verosimilmente già presenti, almeno in qualche forma, negli organismi con sistema nervoso più semplice.  Tali meccanismi si sarebbero successivamente differenziati nei diversi meccanismi utilizzati dalle varie specie animali. Dallo studio del sistema nervoso di animali anche distanti evolutivamente si possono ottenere conoscenze utili anche per comprendere il funzionamento del sistema nervoso umano. In particolare, molte conoscenze sui meccanismi della memoria sono emerse nell’ambito di studi sul sistema nervoso di alcuni molluschi (appartenenti ai generi Aplysia e Hermissenda). Questi animali erano stati scelti dai ricercatori per il fatto di avere neuroni molto grandi, più facili da isolare e studiare rispetto ad altre specie. Eric Kandel ha ricevuto il premio Nobel per la medicina o la fisiologia nel 2000 per questi studi.

Quali aspetti molecolari sono coinvolti nella creazione di memorie a breve termine? Per quanto se ne sa finora, il neurotrasmettitore serotonina sembra stimolare la sintesi di alcune proteine nelle sinapsi, tra cui le cosiddette chinasi A e C (PKA, PKC), le quali a loro volta attivano cascate di segnali e modulano l’eccitabilità dei neuroni inducendo modifiche temporanee del loro funzionamento. Questo meccanismo non sembra invece sufficiente a spiegare la memoria a lungo termine, nella quale le modifiche neuronali diventano se non permanenti molto durature. Poiché le proteine delle sinapsi vengono completamente rinnovate in un arco di tempo che va da alcune ore a pochi giorni, le modifiche dovrebbero andare perse con esse. Poiché invece la memoria a lungo termine perdura, ci dev’essere qualche ulteriore meccanismo coinvolto.

Una delle ipotesi più accreditate al momento indica che in questo processo intervenga qualche fenomeno epigenetico. Le cascate di segnali implicate nella memoria a breve termine potrebbero attivare ulteriori molecole, chiamate fattori di trascrizione, che a loro volta possono legarsi con il DNA nel nucleo, regolando la trascrizione dei geni e di conseguenza la sintesi di altri tipi di proteine. Uno di questi fattori di trascrizione, detto CREB, sembra influenzare l’attività di geni coinvolti nello sviluppo di nuove sinapsi. È stato dimostrato che l’azione di CREB è necessaria per la formazione di memorie a lungo termine, ma non per quelle a breve termine, sia nei molluschi sia in alcuni piccoli vertebrati.

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