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L’incredibile storia di Phineas Gage

Chi era costui e perché è diventato uno dei più celebri casi di studio della neurologia, della psicologia e delle neuroscienze cognitive? Ricapitoliamo la vicenda dell’incidente di Phineas Gage, sopravvissuto alla ferita procuratagli da una sbarra di metallo che gli trapassò il cranio, e delle sue ripercussioni sulla ricerca scientifica.

Nel settembre del 1848 l’operaio americano Phineas Gage, di appena 25 anni, stava lavorando alla costruzione di una ferrovia a sud di Cavendish, nel Vermont. Per la precisione, stava compattando della polvere da sparo all’interno di un foro scavato nella roccia, come aveva fatto molte altre volte. L’operazione richiedeva l’uso di un’apposita sbarra di ferro, il cosiddetto “ferro da pigiatura”, lunga poco più di 1 metro e con un diametro di 3 centimetri. Quel giorno però si distrasse per parlare con dei compagni di lavoro e la sbarra cadde nel foro: la polvere detonò e il ferro schizzò verso l’alto, attraversando il lato sinistro del volto di Gage e il suo cranio e atterrando circa 25 metri più in là.

La cosa interessante, oltre che altamente improbabile, è che Gage sopravvisse, dopo aver perso conoscenza solo per qualche breve istante. In poco tempo divenne anche uno dei pazienti più famosi della storia della medicina, con citazioni che lo riguardano nella maggior parte dei libri di testo di psicologia, neurologia e neuroscienze. Il suo cranio, oggi conservato nel Museo anatomico di Warren, alla Harvard University di Cambridge, in Massachusetts, è infatti uno degli oggetti più visitati, ed è custodito insieme al ferro che lo ha attraversato e a un calco del volto di Gage. Ma l’episodio da cui si è originato il tutto, e le sue conseguenze, sono stati ben presto circondati da un alone di leggenda per cui è diventato piuttosto difficile stabilire quali siano stati i fatti.

Qual è dunque la vera storia di Phineas Gage?

La dinamica dell’incidente e il danno cerebrale

Quando la sbarra lo colpì, Gage cadde all’indietro e fu percorso da convulsioni per qualche istante, ma subito dopo riprese a parlare e a camminare quasi senza bisogno di aiuto. Sembrava che, a parte il dolore e la debolezza causati dall’emorragia, la perforazione del cervello non avesse compromesso la sua lucidità, tanto che fu in grado di descrivere accuratamente l’incidente a chi lo aveva soccorso.

Visitato e preso in carico dal medico del luogo, John Martyn Harlow, Gage sembrò perfino convinto di poter tornare a lavorare nel giro di qualche giorno. Tuttavia, ebbe una convalescenza lunga e complicata, con frequenti perdite di coscienza. Nella ferita si sviluppò infatti un’infezione fungina e alcune parti del cervello dovettero essere quindi rimosse. Circa un mese dopo l’incidente, Gage sembrava essersi ripreso e avere riacquisito gradualmente la forza fisica. Aveva però perso la vista dall’occhio sinistro e gli era rimasta una paralisi parziale del volto, con una palpebra completamente abbassata (ptosi palpebrale).

Come si spiega che Gage sia sopravvissuto a un incidente di tale gravità? Nel suo percorso inclinato, la sbarra aveva probabilmente fratturato lo zigomo, passando quindi dietro l’occhio e attraversando l’emisfero cerebrale sinistro per uscire dall’osso frontale. La velocità di perforazione, la punta acuminata e la superficie levigata del ferro temprato hanno probabilmente contribuito a limitare il danno cerebrale. Inoltre il foro d’ingresso ha permesso il drenaggio di molto sangue che altrimenti si sarebbe accumulato in un pericoloso ematoma cerebrale. Anche gli interventi di Harlow hanno verosimilmente limitato l’aumento della pressione intracranica.

Ciò non toglie che vi è consenso unanime, tra coloro che hanno studiato il caso, circa il fatto che il lobo frontale sinistro di Gage sia andato distrutto, e che quindi l’operaio abbia subito una lobotomia ante litteram. Nell’Ottocento tuttavia non esistevano tecniche di imaging cerebrale, e per questo non sappiamo di preciso quali altre parti del cervello siano state danneggiate e in che modo. Peraltro, nel tempo la ricrescita ossea ha mascherato i punti d’ingresso e di uscita del ferro. Quindi, nonostante il cranio di Gage sia stato riesaminato a posteriori con la tomografia computerizzata, non è ancora oggi chiaro se fossero stati coinvolti, per esempio, anche il lobo temporale sinistro o il lobo frontale destro.

Tra medicina e mito

Ciò che consegnò Gage alla leggenda furono i resoconti di Harlow, che, come accennato, ebbe in cura Gage per i mesi successivi all’incidente. Secondo Harlow e i conoscenti di Gage, sebbene l’intelligenza e la memoria fossero rimaste intatte, l’affidabilità e la disciplina che avevano caratterizzato l’operaio prima dell’incidente erano andate perdute. Phineas era diventato impulsivo, capriccioso, incostante, aggressivo, si lasciava andare alle peggiori volgarità e non riusciva più a concentrarsi né a portare a termine alcuna attività pianificata. La società che lo aveva impiegato per i lavori di costruzione della ferrovia non volle riassumerlo.

Il suo caso suggerì, forse per la prima volta, l’esistenza di un legame fra i traumi cerebrali e i mutamenti di personalità. Tuttavia, sulla sua personalità prima e dopo l’incidente non si sa davvero molto, al di là dei resoconti di Harlow. Né hanno contribuito a colmare la lacuna le numerose narrazioni fantasiose e prive di fondamento che si sono susseguite nel tempo.

Si raccontava che avesse cominciato a bere, che fosse diventato un pervertito, violento con la moglie e i figli (che in realtà non aveva), disonesto, dedito alle scommesse, e che finì per morire in miseria in un istituto, dopo essere vissuto di elemosine o aver fatto il fenomeno da baraccone in circhi itineranti. La sua storia venne spesso rimaneggiata affinché potesse confermare qualunque possibile teoria sulla mente, inclusa la frenologia. Una disciplina oggi considerata pseudoscientifica, la frenologia prediceva i tratti mentali di un individuo sulla base della forma del cranio.

La vera storia di Gage

Studi approfonditi hanno stabilito che dopo l’incidente, per un certo periodo, Gage fece alcune apparizioni in qualità di “reperto vivente” al Barnum’s American Museum di New York (di proprietà dello stesso P.T. Barnum proprietario del famoso circo) e in altre località del Vermont e del New Hampshire. In quest’ultimo stato lavorò anche in una scuderia, prima di trasferirsi in Cile nel 1852, dove lavorò per sette anni come guidatore di diligenze nella tratta Santiago-Valparaíso.

Fino alla morte, avvenuta a San Francisco nel maggio del 1860, all’età di 36 anni, Phineas non si separò mai dal ferro che gli aveva attraversato il cranio. Negli ultimi mesi una serie di attacchi epilettici aveva minato la sua salute, impedendogli di lavorare.

Nel complesso la vicenda di vita di Phineas Gage potrebbe indicare che le manifestazioni peggiori del mutamento di personalità siano state temporanee: Gage riuscì infatti a trovare un lavoro stabile che dovette abbandonare solo alla fine, per malattie diverse dai suoi problemi cerebrali. L’impiego richiedeva peraltro affidabilità, pazienza, resistenza e capacità di trattare con i passeggeri, a maggior ragione in un paese diverso dal suo, dove si parlava un’altra lingua. Nei due dagherrotipi che lo ritraggono col ferro da pigiatura in mano, Gage si presenta inoltre come un uomo ben vestito e che, dalla posa e dall’aspetto, non appare uno “sbandato”. È tuttavia difficile trarre conclusioni affidabili in base a questi elementi.

Al di là del folklore, il caso di Gage ha avuto un ruolo rilevante nella comprensione delle funzioni cerebrali. L’idea che le funzioni mentali potessero essere localizzate in specifiche regioni del cervello stava cominciando a emergere all’epoca del suo incidente, ma alcuni studiosi ritenevano ancora che il cervello avesse a che fare solo con le funzioni sensoriali e motorie e non con quelle cognitive superiori. In particolare, il caso di Gage ha contribuito a dimostrare per la prima volta l’associazione dei tratti di personalità con la corteccia frontale.

Secondo le teorie moderne, il recupero di Gage, avvenuto senza supervisione medica (Harlow smise di seguirlo dopo pochi anni), dimostrerebbe che i contesti fortemente strutturati possono contribuire a una riabilitazione efficace in presenza di un danno al lobo frontale. Lavorando con le diligenze, Gage doveva alzarsi presto la mattina, preparare i cavalli, essere puntualissimo e occuparsi delle necessità dei passeggeri per tutto il viaggio. Doveva inoltre programmare il tragitto, agire rapidamente in caso di imprevisti e adattare l’andatura alle condizioni della strada, non sempre ottimali. Si trattava di una serie di compiti molto strutturati, che hanno verosimilmente costretto Gage a tenere sotto controllo la propria impulsività.

Oggi pazienti che subiscono un danno cerebrale analogo a quello di Phineas Gage sono sottoposti a lunghi interventi di riabilitazione. La base neurologica di tali interventi risiede anche nella neuroplasticità, ossia la capacità del cervello di formare nuove connessioni in modo da supplire ai percorsi neurali danneggiati. Tuttavia, va anche considerato che il legame tra lobo frontale e la personalità non è così netto come viene descritto solitamente quando si parla di Gage, se non altro per l’influenza dei fattori ambientali. Oggi sappiamo che la relazione tra anatomia e funzionalità del sistema nervoso centrale è ben più complessa di quanto si ritenesse un tempo.

Silvia Kuna Ballero
Classe ’79, genovese di nascita e carattere, milanese d’adozione. Astrofisica, insegnante, redattrice scolastica, giornalista e divulgatrice con un interesse particolare per la storia della scienza e il rapporto tra scienza e società.
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