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Qual è stato il primo studio clinico della storia?

La storia di James Lind, il medico che nel Settecento trovò la cura per lo scorbuto, una malattia dovuta alla carenza di vitamina C, attraverso prove che noi oggi chiamiamo sperimentazioni cliniche.

“La medicina non dovrebbe essere una questione di autorità, e la domanda più importante che chiunque può fare riguardo a qualsiasi affermazione è semplice: ‘Come fai a saperlo?’”. Le parole sono del medico e divulgatore Ben Goldacre nella prefazione al suo libro Dove sono le prove? (titolo originale: “Testing treatments”). Il libro pubblicato qualche anno fa e liberamente scaricabile spiega come dovrebbe funzionare una corretta sperimentazione di farmaci e terapie.

Scopo di ogni sperimentazione clinica è valutare il rapporto tra vantaggi e svantaggi di ogni intervento medico rispetto alla terapia correntemente in uso o, in caso non ne esista una, a una sostanza inerte, detta placebo. Per questo occorre effettuare sperimentazioni cliniche, da progettare in modo da ridurre al minimo i possibili errori di interpretazione. Inoltre una sperimentazione clinica ben pianificata dovrebbe anche permettere di capire se e come il farmaco o la procedura oggetto di studio funzionerà nella vita reale oltre che nell’ambiente sperimentale.

L’esigenza di stabilire la sicurezza e l’efficacia di un trattamento non è nuova ed è anzi piuttosto antica. Persino nella Bibbia se ne trova un esempio: nel Libro di Daniele leggiamo che il re di Babilonia Nabucodonosor, dopo la conquista di Gerusalemme, aveva portato a corte un gruppo di nobili israeliti e voleva imporre loro la propria dieta a base di carne e vino. Quattro di essi, tra cui Daniele, ritenendo tali alimenti impuri, chiesero al sovrintendente del re di non essere obbligati a consumarli. Questi, tuttavia, temeva che senza carne sarebbero deperiti e che il re, accorgendosene, lo avrebbe considerato responsabile. Daniele allora al sovrintendente che fossero dati loro da mangiare legumi e acqua per dieci giorni. Quindi il sovrintendente stesso avrebbe valutato con i propri occhi i risultati. Il sovrintendente acconsentì e alla fine del periodo i quattro giovani gli sembrarono ancor più floridi e in salute di coloro che avevano accettato di seguire la dieta del re.

Fu solo nel Settecento, però, che un medico descrisse quello che è considerata la prima vera sperimentazione clinica della storia. Era lo scozzese James Lind, ufficiale medico in servizio nella Marina britannica.

Il problema dello scorbuto tra i marinai

Lo scorbuto è una malattia causata da una prolungata carenza di vitamina C, o acido ascorbico, una sostanza che si assume con la dieta ed è indispensabile per sintetizzare il collagene. È questa una delle principali proteine che compongono i nostri tessuti connettivi, dai vasi sanguigni alle ossa, fino alla pelle. Lo scorbuto causa spossatezza, emorragie, difficoltà di cicatrizzazione e, se non curato, può portare anche alla morte.

Per evitare di ammalarsi è sufficiente seguire un’alimentazione adeguata che soddisfi il fabbisogno di vitamina C. Di fatto oggi lo scorbuto affligge popolazioni molto svantaggiate, come per esempio i migranti e i senza fissa dimora. In passato era invece comune in una categoria particolare di lavoratori: i marinai. Potevano passare mesi prima che una nave a vela, una volta iniziato la navigazione, toccasse terra. Per questo a bordo era quasi impossibile conservare a lungo frutta e verdura fresche, le principali fonti di vitamina C.

Lind visse nella cosiddetta “età della vela” quando, tra la fine del Quattrocento e la metà dell’Ottocento, gli europei navigarono ampiamente e ovunque nel mondo, inseguendo interessi commerciali e di conquista. Una delle conseguenze negative era senza dubbio lo scorbuto, che dilagava a bordo delle navi. Né Lind, né nessun altro all’epoca, aveva alcuna idea di cosa fossero le vitamine o le proteine. Questo però non gli impedì di scoprire una cura per lo scorbuto, o, meglio, di dimostrare che una delle tante cure ipotizzate funzionasse davvero.

Dove sono le prove?

Nel tempo si erano iniziati a usare empiricamente numerosi rimedi contro lo scorbuto. Alla domanda, “Come si fa a sapere se funzionano?” era possibile rispondere solo citando teorie, aneddoti, tradizioni, esperienze personali o al massimo osservazioni. Stabilire in modo oggettivo se una (o più) di queste soluzioni funzionasse davvero, e quale eventualmente funzionasse meglio delle altre, sarebbe presto diventato fattibile, grazie agli esperimenti del dottor Lind. Nel 1747, mentre si trovava a bordo della nave HMS Salisbury, Lind decise infatti di fare alcune prove su determinati rimedi ritenuti salvifici contro lo scorbuto, somministrandoli a parte dell’equipaggio.

Scelse dodici marinai con sintomi di scorbuto che si trovavano a uno stadio simile della malattia. Li divise a coppie e a ciascuna coppia assegnò una terapia giornaliera diversa. Le sei “cure” prevedevano, rispettivamente: 1,1 litri di sidro, 25 millilitri di elisir di vetriolo (ossia acido solforico diluito), 18 millilitri di aceto prima di ognuno dei tre pasti, mezza pinta di acqua marina, due arance e un limone e, infine, un medicinale fatto con aglio, semi di senape, radice di ravanello essiccata e resina di mirra. L’esperimento sarebbe dovuto durare 14 giorni, ma al sesto giorno la coppia che assumeva limoni e arance mostrava già segni inequivocabili di miglioramento, a differenza delle coppie trattate con gli altri rimedi.

Lind descrisse l’esperimento in poche righe nel suo libro più famoso, A Treatise of the scurvy (1753). Il volume includeva anche ciò che oggi chiameremmo una revisione sistematica, ovvero un riassunto dei dati disponibili nella letteratura scientifica sullo scorbuto. Come i risultati della sua sperimentazione, anche quei dati suggerivano che gli agrumi fossero la cura più efficace.

L’impatto degli esperimenti di Lind

Molte idee in medicina richiedono del tempo per affermarsi. Nonostante Lind fosse un medico celebre e stimato, il suo trattato non cambiò né la pratica medicina, né il modo di curare lo scorbuto dal giorno alla notte. La Marina britannica ci mise la bellezza di quasi cinquant’anni a prevedere un’integrazione quotidiana della dieta dei marinai con succo di limone. Lo stesso Lind, nonostante le prove da lui stesso raccolte, era rimasto dell’idea che la malattia avesse più di una causa oltre alla dieta carente, tra cui la mancanza di esercizio e l’aria viziata. Nel libro raccomandava quindi una serie di rimedi accanto al consumo di agrumi, frutti che peraltro erano molto costosi.

Va anche detto che l’esperimento di Lind era piuttosto rudimentale, se visto con gli occhi di oggi. Dodici pazienti distinti in gruppi di due sono pochissimi, insufficienti a raggiungere alcuna potenza statistica e a escludere l’effetto del caso. Non era poi stato preso in considerazione un gruppo di controllo di dimensioni adeguate (all’idea del placebo da somministrare al gruppo di controllo si sarebbe arrivata più tardi). E lo studio non era ovviamente “in cieco”, cioè sia i pazienti sia il medico erano a conoscenza di quale terapia era somministrata a ciascuna coppia, e questo poteva rendere poco oggettiva l’interpretazione dei risultati.

Fortunatamente, a bordo della Salisbury, limoni e arance sortirono un effetto immediato e inequivocabile rispetto agli altri rimedi contro lo scorbuto. Spesso però i medici si trovano a valutare effetti ben più sottili e meno eclatanti rispetto a quelli che si osservano quando si risolve una importante e banale carenza alimentare.

Una storia istruttiva per pensare al presente

Al di là delle limitazioni del suo studio, imputabili principalmente a un’epoca un po’ primitiva della medicina, Lind rimane un pioniere della medicina basata su prove di efficacia. Si tratta di un filone della scienza medica che punta a curare i pazienti in base ai migliori dati prodotti dalla ricerca, riesaminando le proprie decisioni a mano a mano che le conoscenze evolvono. Lind ha, infatti, voluto confrontare tra loro i vari rimedi ipotizzati contro lo scorbuto nella maniera più equa e paritaria possibile. I pazienti condividevano lo stesso ambiente, mangiavano le stesse cose, con l’unica eccezione del trattamento oggetto dello studio, ed erano a uno stadio simile della malattia. In questo modo Lind pensava, a ragione, che l’effetto delle diverse terapie sarebbe stato poco “inquinato” da altri fattori. Inoltre la sua pionieristica sintesi della letteratura dimostra anche quanto egli considerasse importante confrontare i risultati ottenuti con quelli già disponibili, in modo da irrobustire o indebolire le proprie intuizioni dopo tale confronto.

La sperimentazione clinica ha fatto molti passi avanti dai tempi di Lind, ma, come spiega “Dove sono le prove?” di Goldacre, non sempre le decisioni odierne sono prese in base alle migliori prove disponibili. Accanto alla ricerca di qualità, esiste anche molta ricerca mediocre o inutile. Anche per chi non è specialista è importante sapere che le terapie più tollerate ed efficaci non sono necessariamente quelle più nuove, né quelle più pubblicizzate. E che una sola sperimentazione non basta a raggiungere conclusioni univoche. In questo senso James Lind è diventato anche un simbolo didattico, capace con il suo esempio di trasmettere anche al grande pubblico l’importanza di fare ricerca di qualità e utile ai pazienti e alla società. “Dove sono le prove?” cita a questo proposito il sito della James Lind Library, ricco di articoli e documenti che ripercorrono l’evoluzione delle sperimentazioni cliniche in un linguaggio accessibile.

Stefano Dalla Casa
Giornalista e comunicatore scientifico, si è formato all’Università di Bologna e alla Sissa di Trieste. Scrive o ha scritto per le seguenti testate o siti: Il Tascabile, Wonder Why, Aula di Scienze Zanichelli, Chiara.eco, Wired.it, OggiScienza, Le Scienze, Focus, SapereAmbiente, Rivista Micron, Treccani Scuola. Cura la collana di divulgazione scientifica Zanichelli Chiavi di Lettura. Collabora dalla fondazione con Pikaia, il portale dell’evoluzione diretto da Telmo Pievani, dal 2021 ne è il caporedattore.
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