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Quanto impatta il tuo computer?

Le emissioni legate alle attività informatiche e alle tecnologie dell’informazione e della comunicazione potrebbero essere maggiori rispetto a quanto previsto. E non è una buona notizia per il cambiamento climatico.

E-mail, piattaforme di e-learning, video call, video on demand, blockchain. Sono quasi tutti strumenti che fanno parte della quotidianità di moltissime persone nel mondo, soprattutto da quando è iniziata la pandemia di SARS-CoV-2. Milioni di milioni di dati vengono scambiati ogni minuto attraverso miliardi di dispositivi connessi in rete. Le tecnologie dell’informazione e della comunicazione (o Ict, dall’inglese “information and communications technology”) sono diventate importantissime e indispensabili per gran parte delle operazioni e dei servizi che usiamo ogni giorno. Una buona ragione per interrogarsi sul loro impatto ambientale e su come questo incida sui cambiamenti climatici.

Negli ultimi anni sono numerosi gli studi che hanno provato a fare delle stime. Fino a poco tempo fa, si calcolava che le emissioni di gas serra legate a queste tecnologie fossero l’1,8-2,8 per cento circa del totale globale. Questo valore è stato però messo in discussione da studi più recenti.

Le emissioni prodotte dall’Information technology sono maggiori di quanto stimato

In particolare, un gruppo di ricerca della britannica Lancaster University e della società di consulenza per la sostenibilità Small World Consulting Ltd ha pubblicato alcuni dati aggiornati lo scorso settembre su Patterns, rivista di riferimento delle ricerche di data science. Nell’analisi, intitolata “The real climate and transformative impact of Ict: a critique of estimates, trends, and regulations”, i ricercatori sostengono che le emissioni di gas serra dovuti alle Ict potrebbero aggirarsi intorno al 2,1-3,9 per cento del totale globale. Secondo questa stima, potrebbero essere addirittura superiori (solo per fare un esempio) a quelle dell’intero comparto aeronautico, che sono stimate in circa il 2 per cento. Anche se, sottolineano gli scienziati, si tratta di calcoli che necessitano di ulteriori approfondimenti.

Nello studio i ricercatori sottolineano che i dati precedenti riportavano soltanto un quadro parziale dell’impatto climatico del settore. Alcune di quelle stime non tenevano conto, per esempio, dell’intero ciclo di vita dei prodotti. Esso comprende la filiera che va dalla produzione alla logistica, e dalla fornitura alle infrastrutture necessarie all’uso. Venivano anche trascurati l’energia spesa nella produzione delle attrezzature e quella consumata durante l’utilizzo effettivo degli strumenti, l’impatto sul clima di tutti i componenti e l’impronta di carbonio delle aziende.

Il documento descrive come, storicamente, le emissioni relative alle Ict siano cresciute costantemente negli anni assieme alle emissioni globali, con un aumento complessivo ‒anche secondo le stime che non consideravano l’intero ciclo di vita ‒ del 40 per cento circa nel decennio 2002-2012. La tendenza è comune a tutti i settori, ma secondo i ricercatori potrebbero guidare un’ulteriore crescita sostanziale dei gas serra le nuove aree di attività informatica intensiva, come i big data, l’intelligenza artificiale, il cosiddetto “internet of things”, le blockchain e le criptovalute. Ciò vale anche in considerazione del fatto che almeno la metà della popolazione mondiale, cioè 3,8 miliardi di persone, ormai usa la rete, soprattutto tramite i telefoni.

I dati sono confermati anche da un’analisi del 2018, secondo cui, se non adeguatamente controllato, il contributo di questo settore alle emissioni globali potrebbe arrivare al 14 per cento entro il 2040. In particolare l’impronta dovuta all’impiego dei soli smartphone potrebbe superare il contributo di desktop, laptop e altri device messi insieme.

Un dibattito aperto

Bisogna sottolineare però che le società di tecnologie informatiche stanno facendo un notevole sforzo per mitigare i cambiamenti climatici. Negli ultimi anni l’efficienza dei data center è decisamente migliorata e la maggior parte dei colossi del web alimenta le proprie operazioni tramite l’acquisto di energia rinnovabile o addirittura promuovendo la produzione di elettricità da fonti rinnovabili “in casa”, grazie a impianti finanziati dagli stessi gruppi. L’obiettivo di queste aziende è diventare climaticamente neutre entro il 2030, in modo da portare a un risparmio nelle emissioni nette di gas serra.

I dati disponibili su questo fronte sono un po’ datati, ma, per esempio, in un’analisi del 2015 si sostiene che le soluzioni fornite dalle Ict potrebbero portare a una riduzione dal 6 al 12 per cento delle emissioni globali di gas serra entro il 2030. Su questo punto i ricercatori della Lancaster University sono però piuttosto critici. Nel corso degli anni, infatti, il contributo del settore alle emissioni globali, in termini di impronta di carbonio, ha continuato ad aumentare, nonostante le tecnologie informatiche siano diventate sempre più efficienti. È quello che gli scienziati chiamano “effetto rimbalzo”: una maggiore efficienza si traduce in un aumento della domanda che riduce, se non addirittura vanifica, gli sforzi di compensazione.

Rudi Bressa
Giornalista ambientale e scientifico, collabora con varie testate nazionali e internazionali occupandosi di cambiamenti climatici, transizione energetica, economia circolare e conservazione della natura. È membro di Swim (Science writers in Italy) e fa parte del board del Clew Journalism Network. I suoi lavori sono stati supportati dal Journalism Fund e dalI'IJ4EU (Investigative Journalism for Europe).
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