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Sempre più sterili

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L’aumento dell’infertilità che si sta osservando in molti Paesi del mondo non sembra fare discriminazioni né economiche, né di genere. Comprendiamo meglio il fenomeno attraverso i casi dell’India e l’Italia, due Paesi diversi ma con alcuni importanti elementi in comune.

Dall’India all’Italia, l’infertilità è in aumento a livello globale. Secondo l’ultimo rapporto al riguardo dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS), circa 1 persona su 6 ha un problema di infertilità, ovvero l’impossibilità di concepire un figlio dopo almeno 12 mesi in cui i rapporti sessuali sono stati regolari e non protetti. Il fenomeno non discrimina, perché riguarda il 17,8 per cento circa della popolazione nei Paesi ad alto reddito e il 16,5 per cento circa di quelli a basso reddito.

Questi numeri sono dovuti alla combinazione di fattori socioeconomici, comportamentali, genetici, ambientali e culturali. Tutti elementi strettamente legati l’uno all’altro e su cui è difficile intervenire con successo senza considerare il problema nel suo insieme.

Uomini e donne

L’infertilità riguarda allo stesso modo uomini e donne. Anche se le percentuali possono variare a seconda degli studi, spesso si approssima con la regola del 30/30/30/10: il 30 per cento dei casi di infertilità sono legati a problemi dell’apparato riproduttivo maschile, il 30 per cento a quello femminile, il 30 per cento a difficoltà di entrambi i partner, mentre il restante 10 per cento a motivi non conosciuti.

Per donne e uomini l’infertilità è legata a fattori che interagiscono con l’apparato endocrino, costituito dall’insieme di ghiandole che producono e diffondono gli ormoni nel circolo sanguigno. Alla guida di questo meccanismo si trova l’asse ipofisi-ipotalamo, situata nel sistema nervoso centrale. Ipofisi e ipotalamo sono due parti del cervello coinvolte in una stretta e fitta comunicazione volta a regolare la formazione di specifici ormoni in determinate ghiandole sparse in tutto il corpo. Gli ormoni sessuali, come gli estrogeni, il progesterone e il testosterone, sono prodotti nelle gonadi, ovvero le ovaie per le donne e i testicoli per gli uomini, e in altri tessuti. Questi ormoni svolgono diverse funzioni che variano nel tempo, oltre a contribuire a dare un riscontro, in inglese “feedback”, all’asse ipofisi-ipotalamo su come deve procedere la loro stessa produzione. Mediano lo sviluppo delle cellule germinali, spermatozoi e ovociti, lo sviluppo dei caratteri sessuali secondari, come il seno e il cambio della voce, ma anche del ciclo mestruale.

Bastano piccole interferenze per interrompere questa delicata e complessa comunicazione tra cervello e ghiandole, portando ad anomalie nel numero e nella forma degli spermatozoi oppure a problemi nel ciclo mestruale, nell’ovulazione o nella riserva degli ovociti. Queste poi possono sfociare in una riduzione della fertilità.

Geni, comportamenti e ambiente

Alcune persone sono infertili in modo completo o parziale dalla nascita. Succede quando nel proprio DNA sono presenti delle alterazioni responsabili di malattie che predispongono all’infertilità, tra cui il diabete di tipo 1 e la fibrosi cistica, o a sindromi, come quella dell’ovaio policistico per le donne o la sindrome di Klinefelter e la distrofia miotonica per gli uomini. Alcune stime riportano che il 10-15 per cento circa dei casi di infertilità maschili sia dovuto proprio a patologie di origine genetica.

Per entrambi i generi, però, le probabilità di incorrere in problemi di infertilità possono dipendere anche dai propri comportamenti. Infatti, il rischio aumenta in modo significativo se si consumano sostanze stupefacenti o bevande alcoliche in eccesso, se si pratica poca attività fisica, si fuma, si è obesi o in carenza nutrizionale e si è molto stressati. Inoltre, va sempre tenuta in considerazione anche l’età: le probabilità che avvenga il concepimento si abbassano dopo i 35 anni, sia per le donne sia per gli uomini.

Altri fattori di rischio invece sono presenti nell’aria, nel cibo o nell’acqua, come i pesticidi e inquinanti ambientali, tra cui metalli pesanti e idrocarburi policiclici. Secondo i risultati di uno studio condotto in Tanzania, le donne esposte a pesticidi quotidianamente, per motivi lavorativi o di altro tipo, hanno una maggior probabilità di andare incontro ad aborto, periodi mestruali prolungati o con una frequenza più rada. Allo stesso modo gli uomini che lavorano nel settore agricolo, e quindi esposti a pesticidi, corrono un rischio più alto di infertilità rispetto a chi ha altre occupazioni. Questo perché composti come il DTT agiscono come interferenti del sistema endocrino: essendo simili a molecole prodotte nel nostro organismo, ne mimano in parte il comportamento, alterando il delicato equilibrio ormonale. Agiscono in modo simile anche alcuni inquinanti ambientali prodotti dai processi industriali, come gli idrocarburi policiclici aromatici. I metalli pesanti, invece, come piombo, zinco e rame, generano specie reattive dell’ossigeno (ROS) o mediano modifiche del DNA, alterando l’espressione genica. Quindi, da un lato producono stress ossidativo e dall’altro cambiano il modo in cui funzionano le cellule. Il risultato è, però, pressoché lo stesso: irregolarità e alterazioni del ciclo mestruale e compromissione dell’integrità del DNA degli spermatozoi. E quindi un aumento del rischio di infertilità.

Questi sono solo alcuni esempi dei fattori genetici, comportamentali e ambientali che influenzano la fertilità. L’effetto di ciascuno di essi per ogni individuo dipende da molte variabili, come i livelli di esposizioni o l’età, ma anche elementi sociali, culturali ed economici. Il caso dell’India ci può aiutare a comprendere meglio l’entità del problema dell’infertilità anche nel nostro Paese.

Allarme infertilità in India

In India vivono circa 1,4 miliardi di persone: il 17,7 per cento circa della popolazione mondiale. Nel 2023 ha superato la Cina, vincendo il primo posto come Paese più popoloso al mondo. Tuttavia, la crescita dell’infertilità degli ultimi decenni genera grande preoccupazione per gli enti governativi ed è oggetto di numerosi studi e approfondimenti da parte della comunità scientifica. Tra il 1975 e il 2020 il numero di figli per ogni donna si è più che dimezzato, passando da 4,97 a 2,3, e le stime prevedono che scenderà ancora fino a 1,86 nel 2050. Oggi questo fenomeno si manifesta soprattutto nelle città, dove riguarda 1 coppia su 6. La rapida urbanizzazione, l’inquinamento dell’aria, le pressioni lavorative, abitudini non salutari e la posticipazione dell’età in cui si cerca di avere un figlio sono i principali motivi, e riguardano uomini e donne in egual misura.

Tuttavia, sono le donne a subire maggiormente lo stigma sociale associato al problema, oltre all’impatto psicologico che può derivare da una mancata gravidanza. Per la cultura indiana, infatti, avere dei figli rappresenta ancora oggi il principale strumento di realizzazione e affermazione femminile nella società. Alla discriminazione di genere si aggiungono fattori culturali ed economici. Sembra che in India le fasce della popolazione più ricche e istruite abbiano maggiori possibilità di ricorrere a metodi alternativi rispetto a quelle meno abbienti. I costi della procreazione medicalmente assistita, o fecondazione artificiale, sono inaccessibili per molti abitanti dei Paesi a medio e basso reddito. Il divario diventa ancora più evidente se si considera che la maggior parte dei centri statali di cura primari dispongono di strumenti fisici e diagnostici inadeguati e che i servizi più avanzati di laboratorio sono accessibili in meno del 42 per cento dei distretti ospedalieri e solo nell’8 per cento dei centri comunitari di salute. Mentre l’infertilità colpisce tutti allo stesso modo, accedere alla fecondazione artificiale è a oggi un lusso riservato a pochi.

La situazione in Italia

Nel nostro Paese la situazione socioeconomica, la cultura, le dimensioni della popolazione, gli spazi e molti altri fattori sono molto diversi da ciò che si osserva in India. Anche da noi, però, persiste un problema di fertilità e le nascite sono ai minimi storici. In Italia la media delle coppie con problemi di infertilità si aggira sul 15 per cento, di qualche punto percentuale superiore alla media europea. Le stime riportano una diminuzione della fertilità negli ultimi 50 anni, che tuttavia dovrebbe avere una leggera inflessione positiva nei prossimi anni, raggiungendo 1,7 figli per donna entro il 2050.

L’età dei genitori è sempre più alta e si aggira a quasi 32 anni per il primo figlio. Il rapporto “I numeri del cancro” del 2022 riporta che dopo gli anni di pandemia sono più diffusi i fattori di rischio per l’infertilità, oltre che per il cancro, di sedentarietà e consumo di alcolici. Il numero di fumatori è diminuito negli ultimi decenni, ma continua a fumare 1 persona su 5 tra i 18 e i 69 anni. I livelli di inquinamento atmosferico rimangono troppo elevati, anche se non sono paragonabili alla situazione indiana e sebbene non esistano ancora stime sul loro impatto sulla fertilità. Inoltre, pure in Italia l’impatto psicologico dell’infertilità, insieme ai giudizi di anormalità e inadeguatezza, sono maggiori per le donne che per gli uomini.

Nel nostro Paese, invece, è più facile accedere alla fecondazione artificiale tramite il Servizio sanitario nazionale (SNN). Dal 2017 il sistema di procreazione medicalmente assistita rientra tra i Livelli essenziali di assistenza (LEA) e da settembre 2023 un ticket permette di accedere a tali servizi in strutture sia pubbliche sia private. Si tratta di una politica che tutela le coppie che non possono sostenere le spese della fecondazione artificiale, stimate in qualche migliaio di euro, e rappresenta un importante passo avanti per contrastare la forte denatalità e infertilità del nostro Paese, ma potrebbe non bastare. Oltre ai fattori elencati prima, continuano a essere presenti anche aspetti sociali e culturali, come le disparità del congedo parentale dal lavoro e la precarietà giovanile, che spesso ritardano l’età in cui si cerca una gravidanza. Inoltre, i risultati di alcuni studi di laboratorio mostrano che gli inquinanti potrebbero compromettere la possibilità di portare a termine una gravidanza anche con la fecondazione artificiale. Facilitare metodi alternativi per indurre la gravidanza rischia così di essere solo un modo per tamponare il problema se non si interverrà sulle sue principali cause ultime.

Camilla Fiz
Comunicatrice della scienza, ha terminato il master in comunicazione della scienza alla SISSA di Trieste, dopo una formazione in biotecnologie molecolari all’Università degli studi di Torino e in pianoforte al Conservatorio Giuseppe Verdi della stessa città. Oggi si occupa della realizzazione e revisione di testi sui temi di salute e ricerca biomedica per Fondazione AIRC.
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