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La storia del cerotto: proteggere le ferite è solo l’inizio

Probabilmente già migliaia di anni fa le lesioni della pelle venivano in qualche modo coperte per limitare le infezioni. Da allora siamo andati molto oltre: l’odierno cerotto, nato poco più di un secolo fa, è diventato un dispositivo dalle grandi potenzialità. Oggi può infatti contribuire a monitorare il processo di guarigione delle ferite, analizzare parametri fisiologici e persino stimare le dimensioni di un tumore.

 

Il cerotto è uno strumento utile anzitutto per proteggere una ferita evitando il contatto con batteri e altri microbi e con la sporcizia, e anche per questo può facilitare il processo di guarigione. Si è però evoluto nel tempo, di pari passo con le innovazioni tecnologiche della medicina che ne hanno aumentato le possibili funzioni. Ideato originariamente come garza adesiva nei primi anni del Ventesimo secolo, è diventato poi un dispositivo versatile e fondamentale anche nel trattamento di alcune patologie e, in certi casi, nel monitoraggio delle condizioni di salute.

Oltre a fornire comfort e protezione, i tipi di cerotti più recenti nelle diverse formulazioni possono essere impiegati per gestire patologie croniche, migliorare la respirazione e persino monitorare parametri vitali come la glicemia e altri biomarcatori critici. Alcuni cerotti moderni possono anche contribuire a ridurre il dolore articolare, migliorare il sonno, trattare patologie specifiche, evitare il russamento e tanto altro. Questa evoluzione, che riflette lo sviluppo della ricerca clinica, ha reso i cerotti strumenti indispensabili non solo nella pratica clinica quotidiana, ma anche per migliorare la qualità della vita e facilitare il trattamento di varie condizioni mediche.

 

La storia del trattamento delle ferite

Fin dall’antichità gli esseri umani hanno cercato di comprendere e migliorare i processi di guarigione delle ferite, un aspetto fondamentale per la sopravvivenza e il benessere. Risalgono a circa il 2.200 avanti Cristo alcune testimonianze di pratiche utili a ridurre il rischio di infezioni: i cosiddetti gesti di guarigione, che oggi potremmo individuare come il lavare una ferita, disinfettarla e fasciarla. Alcuni manoscritti giunti fino a noi mostrano infatti che già migliaia di anni fa le persone avevano già una conoscenza sorprendente dei metodi per trattare le ferite. L’equivalente di quello che oggi noi chiamiamo cerotto, per gli antichi era una miscela di fango, argilla, piante ed erbe, che veniva utilizzata per medicare tagli, abrasioni e altre lesioni.

Anche l’uso dell’olio come uno dei principali componenti delle medicazioni antiche mostra che almeno alcune conoscenze empiriche del passato hanno trovato riscontri nella scienza moderna. Gli unguenti offrivano infatti una barriera contro le infezioni e allo stesso tempo impedivano alle bende di attaccarsi alla ferita: una funzione che oggi è assolta dalle medicazioni non aderenti. Il principio, apparentemente semplice, riflette una sofisticata comprensione, seppure empirica, dei bisogni fisiologici della guarigione delle ferite.

Uno degli elementi più affascinanti della storia della cura delle ferite è l’uso della birra da parte dei Sumeri. Conosciuti per la loro abilità nella produzione di questa bevanda fermentata, la utilizzavano come ingrediente in complesse ricette mediche per il trattamento delle ferite. Una di queste combinava resina di abete, resina di pino, tamarisco, margherita, farina e birra per creare una pasta curativa da applicare sulla pelle. Gli Egizi, noti per le loro avanzate pratiche mediche, furono pionieri nell’uso del miele, del grasso e dei “pelucchi” vegetali nelle medicazioni, con un metodo che proteggeva dalle infezioni e facilitava la guarigione. Al punto che il miele rimane tuttora una componente essenziale di molte medicazioni avanzate. Anche l’abitudine di dipingere le ferite di verde, utilizzando rame (tossico per i batteri), mostra una comprensione precoce, seppure intuitiva, della prevenzione delle infezioni.

I Greci e i Romani hanno contribuito ulteriormente, con lo sviluppo di pratiche di pulizia e individuando conoscenze come i 4 segni dell’infiammazione (rossore, calore, dolore e gonfiore), ancora oggi punti di riferimento.

Il cerotto: una continua evoluzione

Per arrivare al primo vero e proprio cerotto adesivo occorre aspettare l’inizio del Ventesimo secolo. Nel 1920 Earle Dickson, un dipendente della Johnson & Johnson, ideò il cerotto per aiutare sua moglie, che frequentemente si tagliava in cucina. Il dispositivo inventato era composto da una garza adesiva, su un lato, e una copertura di carta, sull’altro, che permetteva di proteggere la garza fino al momento dell’uso.

Negli anni successivi il cerotto ha subito numerosi miglioramenti. Negli anni Cinquanta, lo sviluppo di alcune tecnologie ha permesso un uso versatile delle materie plastiche e dei loro polimeri. Sono stati così sviluppati cerotti impermeabili, utili per esempio a coprire ferite esposte all’acqua. Materiali simili hanno aperto la strada a prodotti più resistenti e confortevoli, che non solo proteggono le ferite ma ne favoriscono anche la guarigione. Negli ultimi decenni abbiamo assistito alla produzione di cerotti sempre più specializzati: esistono cerotti antibatterici indicati per prevenire l’infezione delle ferite, cerotti medicati con sostanze come l’acido salicilico per il trattamento delle vesciche, e cerotti trasparenti che permettono di monitorare la ferita senza che sia necessario rimuoverli. Anche il design ha seguito le tendenze estetiche e funzionali. Possono essere decorati per i bambini, flessibili per adattarsi a parti del corpo difficili da trattare, leggeri per favorire la traspirazione della pelle. Insomma, il cerotto, pur essendo diventato un oggetto comune in tutto il mondo, continua a essere adattato alle diverse esigenze delle persone e delle cure.

Alcune ricerche attuali sono concentrate in particolare su materiali bioattivi, che stimolano direttamente il processo di guarigione della pelle o che possono essere rimossi senza dolore (ne esistono addirittura di tipi che tendono a essere assorbiti nel tempo).

 

Monitoraggio e guarigione delle malattie

Nelle loro formulazioni più avanzate, i cerotti possono fare molto più che promuovere la guarigione delle ferite. In alcuni casi vengono utilizzati per il monitoraggio continuo e indolore di parametri clinici fondamentali. Un esempio innovativo di questa tecnologia sono alcuni minuscoli aghi in idrogel che penetrano superficialmente nella pelle per raccogliere il liquido interstiziale, impedendogli di raggiungere vasi sanguigni o nervi, e monitorare così biomarcatori come glicemia e lattati. Le informazioni raccolte vengono inviate in tempo reale a dispositivi elettronici come gli smartphone, permettendo una registrazione continua delle variazioni dei biomarcatori.

Queste funzioni potrebbero essere particolarmente utili per fornire ai medici informazioni per lo sviluppo di terapie più precise e mirate. In questo modo, infatti, gli specialisti potrebbero accedere immediatamente ai dati, a differenza di quanto avviene con i metodi tradizionali, come gli esami del sangue, che richiedono di eseguire analisi di laboratorio. Il monitoraggio continuo dei parametri clinici potrebbe per esempio facilitare la diagnosi precoce delle malattie e monitorare l’efficacia dei trattamenti in corso. Potenzialmente, cerotti di questo tipo potrebbero offrire la possibilità di misurare qualsiasi biomarcatore di interesse, rendendo i dispositivi versatili e adatti anche a diverse specialità mediche, per esempio per il monitoraggio del diabete o in cardiologia.

Un altro cerotto ad alto valore tecnologico è stato messo a punto dai bioingegneri dell’università della Pennsylvania, negli Stati Uniti. Nel dispositivo sono inseriti micro-elettrodi ottenuti da nanoparticelle di grafene, oro e argento, sottoposte a un raggio laser. I microelettrodi sembrano in grado di misurare in modo stabile e preciso diversi parametri, come la concentrazione del glucosio nel sudore o il pH. Quest’ultimo può fornire importanti informazioni sullo stato di salute di una persona, consentendo di individuare precocemente lo sviluppo di malattie o di intervenire in maniera mirata su alcuni parametri di salute. Anche in questo caso il sistema non è invasivo ed è in grado di comunicare i dati raccolti in modalità wireless a un computer o a uno smartphone. Ciò può consentire il monitoraggio della salute di una persona e l’analisi dei dati in tempo reale.

I cerotti, grazie a specifiche tecnologie al loro interno, potrebbero fare anche di più. Per esempio potrebbero aiutare a misurare l’estensione di tumori prossimi alla cute, migliorando così la valutazione dell’efficacia dei trattamenti antitumorali. Conterrebbero infatti sensori indossabili, in grado di monitorare continuamente e autonomamente la progressione o regressione dei tumori sottocutanei su scala micrometrica, raccogliendo dati ogni minuto. A questo proposito, i risultati di uno studio, pubblicati nel 2022 sulla rivista Science Advances, avevano mostrato che il sensore sembrava aiutare a discernere le differenze nell’estensione di un tumore tra i topi trattati con farmaci e quelli trattati con soltanto il mezzo di infusione ma non il principio attivo, entro le prime 5 ore dall’inizio della terapia. Le misurazioni a breve termine sono state validate attraverso l’analisi dei tessuti, mentre le misurazioni con calibro e bioluminescenza effettuate su periodi di trattamento settimanali hanno dimostrato la correlazione con la risposta al trattamento a lungo termine. Un sistema di questo tipo potrebbe anche accelerare, se non addirittura automatizzare, i processi di selezione dei farmaci antitumorali, favorendo la guarigione.

Insomma, oggi possiamo dire che il cerotto può essere utilizzato per funzioni ben più sofisticate della semplice protezione delle ferite dalle infezioni. E in futuro potrebbe diventare un importante strumento di prevenzione, monitoraggio e cura.

Gianluca Dotti
Giornalista scientifico freelance e divulgatore, si occupa di ricerca, salute e tecnologia. Classe 1988, dopo la laurea magistrale in Fisica della materia all’università di Modena e Reggio Emilia ottiene due master in comunicazione della scienza, alla Sissa di Trieste e a Ferrara. Libero professionista dal 2014 e giornalista pubblicista dal 2015, ha tra le collaborazioni Wired Italia, Radio24, StartupItalia, Festival della Comunicazione, Business Insider Italia, Forbes Italia, OggiScienza e Youris. Su Twitter è @undotti, su Instagram @dotti.it.
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