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Un guardiano hi-tech contro l’infezione delle ferite?

Flessibile, wireless, senza batteria e super sensibile: sono le caratteristiche di un nuovo possibile rilevatore di batteri patogeni sviluppato dall’università di Singapore. Sarebbe capace di scovare i segni precoci di un’infezione che si sta sviluppando in una ferita, ancora prima che diventi pericolosa. Basato su una tecnologia che impiega il DNA, potrebbe rivoluzionare il trattamento delle ferite chirurgiche e croniche.

Per capire se una ferita sia o meno infetta di solito serve un certo tempo, perché bisogna riconoscere e verificare la presenza di alcuni segni peculiari e non precoci come gonfiore, arrossamento, secrezione di pus (nell’infiammazione purulenta) e – nei casi più seri – febbre. Si tratta di un’importante sfida clinica, che oggi si stima consumi più del 5 per cento del budget sanitario nazionale. Sarebbe importantissimo quindi riuscire a trovare un metodo per identificare e trattare più tempestivamente le infezioni, così da poter intervenire in modo efficace sul paziente senza fargli correre il rischio di una lunga e complessa battaglia contro i batteri patogeni.

Una soluzione innovativa in questo senso proviene, potenzialmente, da un gruppo di ricercatori dell’università di Singapore. Gli scienziati hanno proposto un dispositivo flessibile, wireless e con una sensibilità elevatissima, in grado di evidenziare la presenza di sostanze secrete dai batteri patogeni opportunisti tipicamente presenti nelle ferite infette. La tecnologia alla base di questo rilevatore impiega idrogel a DNA, ossia un biomateriale reattivo a base di gel di glicole polietilenico in cui alcuni filamenti di DNA tengono ancorate delle biomolecole che permettono di individuare selettivamente la presenza di alcuni composti, inviando poi le informazioni direttamente a uno smartphone. La diffusione su larga scala di questi dispositivi, commentano i ricercatori, potrebbe determinare un miglioramento sostanziale nella filiera di diagnosi, prevenzione e gestione delle tante patologie cliniche associate alle infezioni batteriche.

Le difficoltà attuali nel riconoscere le infezioni

La difficoltà di curare adeguatamente le ferite infette, e la loro possibile cronicizzazione, sono spesso imputabili anche a un ritardo nell’intervento clinico e nella diagnosi. A oggi, la diagnosi è basata su rilevazioni cliniche soggettive del medico, oltre a test di laboratorio che richiedono un tempo piuttosto lungo per ottenere risposta. Per questo motivo, spesso si tende a intervenire solo nel momento in cui si manifestano dei sintomi, ossia quando l’infezione si è già ampiamente diffusa.

Proprio per cercare di rendere gli interventi più tempestivi, di recente sono stati sviluppati sensori hi-tech in grado di monitorare continuamente parametri rilevanti, come la trasduzione elettrica, la temperatura, la pressione, l’umidità e il pH dell’area interessata. Poter fare affidamento su parametri più oggettivi relativi all’ambiente locale della ferita è in principio utile, anche se non permette comunque di avere informazioni sulla proliferazione batterica.

Alcuni sensori sono in grado di rilevare specifici marcatori della presenza di batteri patogeni, sfruttando le caratteristiche degli idrogel a DNA. Quello che tuttavia è finora mancato sono gli strumenti per la trasmissione dei dati e il monitoraggio continuo, con modalità semplici e immediate.

Il dispositivo wireless “a finestra” ideato a Singapore

La proposta innovativa del gruppo di Singapore consiste in una nuova tecnologia denominata “Wireless INfection Detection On Wounds (o Window, in acronimo). In pratica si tratta di un sensore che funge da “cacciatore” di batteri attraverso l’utilizzo di una versione rivisitata di idrogel a DNA, chiamata – senza troppa fantasia – DnaGel. La vera innovazione di questo dispositivo riguarda la flessibilità e la comodità d’uso che, grazie alla modalità wireless e al funzionamento senza batteria, potrebbe permettere una diffusione su larga scala.

I risultati dello studio che ha mostrato l’efficacia del dispositivo sono stati pubblicati sulla rivista Science Advances a novembre 2021. Nello specifico, il sensore è in grado di rilevare la desossiribonucleasi, un enzima secreto dai più comuni batteri patogeni come per esempio Staphylococcus aureus, Pseudomonas aeruginosa e Streptococcus pyogenes. Quando esposto alla desossiribonucleasi, il DnaGel inizia a degradarsi e dissolversi, determinando un cambiamento nelle sue caratteristiche elettrostatiche (in termini tecnici, nella permissività elettrica), apprezzabile attraverso un elettrodo. Quest’ultimo è poi collegato a un sistema che permette di leggere i dati direttamente su uno smartphone o su altri dispositivi.

Gli scienziati hanno verificato l’attuale potenzialità di un sistema come Window attraverso due esperimenti differenti. Dopo aver stabilito che il DnaGel è selettivamente degradabile da Staphylococcus aureus, è stato condotto uno studio in cellule in coltura che ha certificato come il sensore sia in grado di rilevare l’attività secretoria di questo batterio quando si avvicina o si supera la soglia per l’infezione clinica. Successivamente si è valutata la capacità di riconoscere l’infezione di una ferita in animali di laboratorio, attraverso un’analisi condotta su topi. Anche in questo caso, le ferite infette sono state individuate grazie al cambiamento di segnale elettrico già dopo le prime 24 ore, e un avviso di infezione arrivato su uno smartphone.

Plausibili prospettive future

Anche se il meccanismo di funzionamento deve essere migliorato e perfezionato prima di potere entrare nella pratica clinica, il sensore potrebbe cambiare il modo di trattare le ferite. Per esempio, l’idrogel potrebbe essere incorporato nella medicazione per consentire ai pazienti di monitorarne continuamente lo stato.

In generale, il dispositivo è sensibile anche alle secrezioni prodotte da patogeni diversi da Staphylococcus aureus. Il dispositivo potrebbe inoltre essere integrato con sensori già esistenti che monitorano la temperatura, il pH e l’umidità, così da svolgere analisi multiple e offrire informazioni aggiuntive. E garantire una migliore cura delle ferite, sia chirurgiche sia croniche. A oggi resta ancora da verificare scientificamente se l’enzima di riferimento possa essere considerato un biomarcatore affidabile per le infezioni in generale, e se il sistema non generi molti segnali falsi positivi. Sono numerosissimi, infatti, i batteri anche patogeni che sono ospiti del nostro corpo, senza causare, nella maggioranza dei casi, alcun problema.

Gianluca Dotti
Giornalista scientifico freelance e divulgatore, si occupa di ricerca, salute e tecnologia. Classe 1988, dopo la laurea magistrale in Fisica della materia all’università di Modena e Reggio Emilia ottiene due master in comunicazione della scienza, alla Sissa di Trieste e a Ferrara. Libero professionista dal 2014 e giornalista pubblicista dal 2015, ha tra le collaborazioni Wired Italia, Radio24, StartupItalia, Festival della Comunicazione, Business Insider Italia, Forbes Italia, OggiScienza e Youris. Su Twitter è @undotti, su Instagram @dotti.it.
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