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Una capsula robotica per migliorare l’assorbimento intestinale dei farmaci

Dalla robotica miniaturizzata arriva una soluzione che potrebbe cambiare il modo di assumere alcuni farmaci. Una pastiglia “intelligente” potrebbe essere capace di rimuovere il muco intestinale facilitando l’assorbimento dei principi attivi.

Potrebbero esserci novità importanti per quanto riguarda l’assunzione dei farmaci. Ricercatori del MIT di Boston hanno sviluppato un metodo per aumentare la biodisponibilità terapeutica, ossia l’assorbimento, delle compresse somministrate per via orale. Tale metodo potrebbe permettere ai farmaci di superare più facilmente le barriere biologiche tra l’intestino e il sangue presenti nel nostro apparato digerente.

Il gruppo di ricerca ha sperimentato in animali di laboratorio una capsula robotica chiamata RoboCap, riuscendo a consegnare all’organismo una quantità molto più elevata di prodotto terapeutico rispetto agli standard attuali. I risultati dello studio sono stati pubblicati sulla rivista Science Robotics il 28 settembre 2022, aprendo le porte anche all’idea di sostituire con pillole deglutibili alcuni farmaci oggi somministrati tramite iniezione.

L’insulina, la vancomicina e il grattacapo del basso assorbimento

La via di somministrazione dei farmaci più economica, pratica e diffusa è di gran lunga quella orale. I farmaci in questa forma sono più stabili e durano più a lungo, possono essere conservati a temperatura ambiente e assunti autonomamente dai pazienti al proprio domicilio, senza bisogno di assistenza sanitaria. Tuttavia, non tutti i prodotti farmaceutici, e relativi principi attivi, possono essere assunti in questo modo, a meno di perdere gran parte del loro potenziale farmacologico a causa degli effetti demolitivi degli acidi gastrici, dei vari enzimi degradativi e del microbiota intestinale. Ecco perché, in alcuni casi, può capitare di dovere assumere i farmaci per altre vie.

RoboCap è stata studiata in particolare per somministrare due farmaci di ampio impiego: l’insulina, un ormone assunto regolarmente da milioni di pazienti diabetici, e la vancomicina, un antibiotico utilizzato contro le infezioni gravi causate da batteri Gram-positivi. La biodisponibilità orale di questi prodotti terapeutici – ossia la quantità che arriva a destinazione se l’assunzione avviene per bocca – è decisamente scarsa: inferiore all’1 per cento per l’ormone dell’insulina e non oltre il 4 per cento per la vancomicina.

Questo significa che, se un paziente ha bisogno di queste terapie, è costretto oggi ad assumerle con altre modalità: per via endovenosa, nel caso della vancomicina, e con un’iniezione sottocute, per quanto riguarda l’insulina.

Il percorso accidentato dei farmaci che ingeriamo

Facciamo un piccolo passo indietro per ripercorrere che cosa succede quando assumiamo un farmaco per via orale. Anzitutto la sostanza ingerita deve essere in grado di resistere agli acidi presenti nello stomaco e al microbiota intestinale, che può alterare il metabolismo dei farmaci. Per giungere a destinazione, il prodotto deve essere anche in grado di eludere gli enzimi digestivi e di superare la barriera formata dal muco intestinale. Da un lato questa barriera è utile per impedire il passaggio di batteri indesiderati, ma dall’altro lato è anche la principale responsabile della scarsa biodisponibilità terapeutica di molti farmaci. Il risultato è che il principio attivo che raggiunge l’obiettivo è solo una piccola parte di quello che era contenuto nel farmaco al momento dell’assunzione.

In passato si sono fatti numerosi tentativi per superare questi ostacoli biologici, con scarsi risultati. Tra le poche soluzioni messe a punto, le vibrazioni ultrasoniche o microvibrazioni a bassa frequenza risolvono parzialmente il problema e non sono comunque applicabili a terapie da assumere in autonomia più volte al giorno al domicilio, come per chi ha il diabete.

Una capsula “intelligente” che riduce la dispersione del farmaco

Secondo quanto descritto dai ricercatori responsabili dello studio, RoboCap – attraverso una serie di azioni automatizzate – riesce a “sgomberare gli ostacoli” e a traghettare il farmaco fin quasi al circolo sanguigno. La biodisponibilità aumenterebbe, secondo gli scienziati, da 20 a 40 volte. Le prime sperimentazioni condotte al Massachusetts Institute of Technology (MIT) a Boston sono state eseguite nei suini, il cui tratto digerente presenta caratteristiche simili a quello umano. Agli animali è stata somministrata insulina per via orale.

Scendendo nei dettagli, il dispositivo alla base di RoboCap (che per ora è solo un prototipo) si trova dentro una capsula di dimensioni molto ridotte. Il diametro esterno è di poco inferiore al centimetro, così che la pastiglia “intelligente” contente il farmaco possa essere ingerita senza troppe difficoltà. L’involucro viene poi distrutto dall’apparato digerente dei pazienti e, una volta raggiunto l’intestino tenue, la variazione di pH attiva un piccolo motore. Il dispositivo, tramite un movimento di rotazione sul proprio asse, riesce così a raschiare dolcemente il muco intestinale e, poco dopo, il farmaco viene rilasciato sulla superficie sgombra, riducendo così la dispersione del principio attivo. Per utilizzare RoboCap non servono particolari strumentazioni: la capsula, in linea di principio, potrebbe essere riempita anche dai farmacisti, senza necessità che i pazienti debbano per questo recarsi in ospedale.

I risultati sono stati ritenuti molto promettenti: dopo l’assunzione dell’insulina per bocca, si è osservata la sperata diminuzione dei livelli di glucosio. Inoltre il transito del dispositivo non ha provocato danni o erosioni ai tessuti del tratto gastrointestinale, né sono state riscontrate infiammazioni, infezioni o danni ematologici. Un altro dato significativo è che durante la sperimentazione la totalità dei dispositivi si è attivata e ha funzionato regolarmente. Insomma, i molteplici punti di forza e l’apparente assenza di criticità aprono la strada alla realizzazione di prodotti farmacologici più efficaci, che impieghino una quantità inferiore di principio attivo e consentano un abbattimento dei fastidiosi effetti collaterali determinati da assunzioni per vie alternative a quella orale.

Gianluca Dotti
Giornalista scientifico freelance e divulgatore, si occupa di ricerca, salute e tecnologia. Classe 1988, dopo la laurea magistrale in Fisica della materia all’università di Modena e Reggio Emilia ottiene due master in comunicazione della scienza, alla Sissa di Trieste e a Ferrara. Libero professionista dal 2014 e giornalista pubblicista dal 2015, ha tra le collaborazioni Wired Italia, Radio24, StartupItalia, Festival della Comunicazione, Business Insider Italia, Forbes Italia, OggiScienza e Youris. Su Twitter è @undotti, su Instagram @dotti.it.
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