A cosa serve e cosa ha a che vedere con la nostra nutrizione? Uno sguardo scientifico sull’indice glicemico, al di là di “diete del momento” e falsi miti.
Introdotto nel 1981 da David Jenkins dell’Università di Toronto, l’indice glicemico (IG) è una misura della velocità con cui aumenta la glicemia, cioè il livello di glucosio nel sangue, dopo aver mangiato cibi che contengono carboidrati, tra cui, per esempio, frutta, verdura, cereali, latticini e prodotti dolciari.
1. Che cosa misura esattamente?
L’indice glicemico di un alimento misura la velocità con cui i carboidrati che esso contiene (zuccheri, amidi, alcune fibre) entrano in circolo, aumentando la concentrazione di glucosio. I carboidrati rappresentano la principale fonte di energia per l’organismo e per passare nella circolazione sanguigna devono essere trasformati in glucosio. Contribuiscono a questa operazione alcuni enzimi digestivi.
Se i carboidrati sono metabolizzati rapidamente, dopo il pasto si verifica un veloce aumento della glicemia: questo, indicativamente, significa che l’alimento in questione ha un alto indice glicemico. Il pane bianco, le patate o il riso, per esempio, hanno un indice glicemico alto, mentre pasta e prodotti integrali hanno un indice glicemico più basso: fanno cioè aumentare la glicemia in modo più graduale. In altre parole, l’indice glicemico si riferisce all’effetto di un cibo sui livelli di glucosio nel sangue. Ma indica quanto velocemente si alza, non di quanto.
2. Come si calcola?
Per misurare l’IG di un alimento, si osserva l’andamento nel tempo della glicemia in seguito all’assunzione di una porzione standard (50 grammi di carboidrati) di un alimento – di solito il glucosio – preso come riferimento. La glicemia tenderà ad alzarsi per poi abbassarsi, delineando la cosiddetta curva glicemica.
A distanza di qualche giorno, la misurazione viene ripetuta facendo assumere, alla stessa persona e sempre a digiuno, una porzione dell’alimento di cui si vuole misurare l’IG. Anche questa porzione dovrà contenere 50 grammi di carboidrati (nel caso del pane, la porzione sarà di circa 70 grammi). A quel punto, si osserva l’area definita dalla curva glicemica del pane e si calcola il rapporto, in percentuale, con quella definita dalla curva glicemica del glucosio.
Il pane bianco ha un indice glicemico pari a 75 . Questo significa che 50 grammi di pane bianco sono in grado di aumentare la glicemia a una velocità pari al 75 per cento rispetto al glucosio. Gli spaghetti, invece, che hanno un IG di 49, aumentano la glicemia con una velocità inferiore: del 49 per cento rispetto al glucosio. L’indice glicemico varia infatti da alimento ad alimento perché, in base alla composizione, cambia la velocità con cui i carboidrati vengono digeriti e assimilati e con cui il glucosio rilasciato dai cibi passa nel sangue.
3. Cibi e cibi. Zuccheri e zuccheri. Cottura e cottura
Come indica la Società italiana di diabetologia, 50 grammi di carboidrati contenuti in una porzione di 100 grammi di fagioli secchi (un alimento a basso indice glicemico) hanno un minor impatto sulla glicemia rispetto allo stesso quantitativo di carboidrati contenuti in una fetta di pane di 90 grammi (un alimento a elevato indice glicemico). In base all’indice glicemico, gli alimenti sono infatti suddivisi in:
Come puntualizza il Centro di ricerca Crea-alimenti e nutrizione, gli alimenti ottenuti con farina bianca hanno un indice glicemico più alto di quelli ottenuti con farina integrale (per il basso contenuto di fibra), “ma questo non significa che la farina bianca provochi il diabete o determini un’iperproduzione di insulina o sia responsabile dell’obesità. È questione di misura”, riportano le Linee guida per una sana alimentazione. “L’indice glicemico è oltretutto un parametro complesso di difficile interpretazione, poiché riguarda un solo ingrediente di un solo alimento e non tiene conto della composizione degli altri nutrienti, degli altri alimenti e degli altri pasti.”
4. Deve orientare le nostre scelte alimentari?
In estrema sintesi, no. Il valore di indice glicemico è molto approssimativo e numerosi fattori influenzano la variabilità dell’IG di un alimento. In linea di massima gli zuccheri sono facilmente assorbiti e il loro consumo provoca in tempi brevi un innalzamento della glicemia, ma questo aumento varia a seconda del tipo di zucchero: il glucosio induce un rialzo glicemico più alto del saccarosio che, a sua volta, è più alto di quello determinato dal fruttosio. Quest’ultimo zucchero ha un potere dolcificante più alto del saccarosio e un indice glicemico più basso, eppure si consiglia di limitarne l’uso come dolcificante.
In generale ogni rialzo glicemico fa aumentare anche i livelli dell’insulina. Non per questo zuccheri e dolci devono essere completamente eliminati dalla dieta (di persone con diabete e non). L’importante è “che vengano consumati in quantità controllate, nell’ambito di un pasto accompagnato da altri alimenti, meglio se ricchi di fibra, che ne rallentino l’assorbimento, evitando così la comparsa di picchi glicemici troppo elevati”.
Come indicato nelle già citate Linee guida, la risposta glicemica al consumo di un alimento varia da persona a persona e, anche nel medesimo soggetto, a seconda della composizione del pasto, della ricetta e altre variabili. Infatti, diversi fattori alimentari sono in grado di influenzare la risposta glicemica: oltre al tipo di zucchero, la presenza o meno di proteine, grassi, fibra o amido (quest’ultimo è un carboidrato composto da numerose molecole di glucosio e lo troviamo in cereali, legumi, patate). Anche i processi di produzione e l’associazione con altri cibi e ingredienti contribuiscono a modificare l’indice glicemico di un alimento.
Nel caso della pasta, la cottura incide sull’indice glicemico: quella cosiddetta al dente mantiene l’IG della pasta più basso rispetto a una cottura più prolungata. Inoltre, aggiungere al pasto verdura o legumi (più in generale, fibre) ne riduce l’indice glicemico. La pasta può anche avere indici glicemici diversi a seconda del formato. La pasta lunga, per esempio, ha un IG più basso, perché durante il processo di pastificazione – a differenza della pasta corta – l’amido contenuto viene sottoposto a pressioni elevate. E ancora, le patate hanno un alto indice glicemico, ma se consumate fredde, dopo cottura al vapore e insieme a una porzione di verdure, non avranno un effetto negativo sulla glicemia.
Quindi è fuorviante fare dell’indice glicemico il parametro in base al quale decidere cosa mangiare e cosa no, perché è la dieta nel suo complesso a modulare l’impatto glicemico. In altre parole, la nostra attenzione dovrebbe essere rivolta alla qualità e alla quantità di ciò che mangiamo e non solo all’indice glicemico dei singoli alimenti che portiamo a tavola.
Anche perché non è detto che un’alimentazione a base di cibi a basso indice glicemico sia più salutare. Basti pensare, per esempio, che l’IG di una fetta di pane e Nutella è più basso di quello di una fetta di pane da sola, in quanto i grassi, rallentando la digestione, possono ridurre l’indice glicemico. Le carote hanno invece un elevato indice glicemico, ma questo non è un buon motivo per non mangiarle, dato che hanno un basso tenore calorico e sono ricche di micronutrienti, quali vitamine, minerali e fibra. Del resto, le porzioni che se ne consumano nel corso di un pasto sono tali da non produrre un elevato carico glicemico totale.
5. Che cos’è invece il carico glicemico?
Il carico glicemico “corregge” l’indice glicemico rapportandolo alle quantità di carboidrati effettivamente consumati, ed è quindi un parametro maggiormente indicativo degli zuccheri in esso contenuti. Si ottiene moltiplicando l’IG dell’alimento per i grammi dei carboidrati mangiati e dividendo poi per 100.
Come spiega la Società italiana di diabetologia, l’IG tiene conto solo della qualità dei carboidrati (alto, medio, basso IG), mentre la risposta glicemica a un alimento è influenzata anche dalla quantità di carboidrati. Per tale motivo è stato introdotto questo ulteriore indice che meglio esprime l’impatto dei carboidrati sulla glicemia. Si tratta di un parametro utile per spiegare che bisogna fare attenzione alla quantità di ciò che si mangia. Di fatto, mangiare grandi quantità di un alimento dall’IG basso può influenzare la glicemia quanto consumare quantità minori di un alimento dall’IG più alto.