Com’è nato il Braille: come funziona e come convive con le nuove tecnologie il metodo che permette di leggere e scrivere ai non vedenti.
La possibilità anche per le persone non vedenti e ipovedenti di comunicare senza barriere a garanzia dei propri diritti: a questo serve il Braille, il sistema di lettura e scrittura attraverso il tatto per chi ha gravi problemi di vista, al quale è dedicata la giornata di oggi, 4 gennaio. Una data in cui si celebra la memoria di Louis Braille, l’educatore francese ideatore del metodo, nato proprio il 4 gennaio 1809 a Coupvray, non lontano da Parigi.
Il World Braille Day – questo il nome internazionale della ricorrenza – è stato istituito di recente, a novembre 2018, dall’Assemblea generale delle Nazioni unite. Ma sono più di 70 anni che l’Unesco ha reso il Braille uno strumento universale e ne sono trascorsi 17 da quando la stessa istituzione ne ha riconosciuto il valore “vitale e legittimo”, pari a tutte le lingue del mondo. Soprattutto, sono ormai quasi due secoli che il Braille rappresenta una strada per l’istruzione, l’accesso all’informazione, la libertà di espressione e opinione e l’inclusione sociale per molte persone con disabilità visiva. Facciamo un passo indietro per ripercorrere la storia di questa innovazione, con uno sguardo anche ai nostri giorni.
L’inizio di una rivoluzione
Era un bimbo di soli tre anni, Louis Braille, quando si ferì un occhio con un arnese, giocando nella bottega da sellaio del padre, e ne aveva cinque quando, a seguito dell’infezione che seguì all’incidente, perse completamente la vista. Sembrava destinato a osservare il mondo e la sua cultura come tutte le persone non vedenti dell’epoca: attraverso gli occhi degli altri. All’epoca, chi aveva una disabilità visiva poteva solo ascoltare i racconti degli altri, trasmessi per via orale, o al massimo utilizzare rudimentali e poco efficaci soluzioni tattili per la lettura e la scrittura, come per esempio quella che riportava in rilievo gli stessi caratteri alfanumerici usati dalle persone che non hanno disabilità. Nessuno aveva ancora ipotizzato, a quel tempo, che la percezione tattile potesse necessitare di un sistema proprio, alternativo e diverso da quello pensato per essere letto con gli occhi.
All’età di dieci anni e per iniziativa dei suoi lungimiranti genitori, il piccolo Braille iniziò a frequentare l’Institut national des jeunes aveugles di Parigi, la prima scuola speciale per bambini ciechi al mondo, ed ebbe così l’opportunità di conoscere una persona destinata a cambiargli la vita. Si trattava di Charles Barbier, il quale si trovava in visita all’istituto e aveva appena ideato un sistema di scrittura e lettura basato su combinazioni di punti tangibili in rilievo (dodici in tutto) su un supporto di cartone, che egli sperava potesse essere utilizzato da persone con disabilità visive. La “chiave” della sua strategia era rappresentare le parole non con l’alfabeto ma con diverse combinazioni di punti in base ai suoni che le componevano. L’ispirazione risaliva al suo servizio militare, durante il quale aveva appreso un codice tattile che permetteva ai soldati sul campo di battaglia di comunicare silenziosamente al buio, semplicemente scorrendo le dita su un supporto con messaggi in rilievo.
A partire dall’idea di Barbier, a soli 13 anni Louis Braille cercò di rendere quella scrittura più semplice e rapida da interpretare allo scorrervi sopra dei polpastrelli delle dita. Il risultato di questi tentativi fu un versatile sistema di celle a sei punti che Braille iniziò ufficialmente a diffondere una volta diventato insegnante nello stesso istituto, nel 1829, con un buon riscontro da parte degli studenti. Lo ripropose poi in una forma più completa nel 1837 e il linguaggio, che è ancora oggi noto con il suo nome, è così diventato uno dei più importanti canali d’accesso alla cultura, e uno dei maggiori passi avanti nella qualità della vita, per le persone non vedenti.
L’architettura del Braille
Il Braille non è di comprensione immediata e per interpretarlo è necessaria una formazione specifica, ma è molto diffuso, tanto che è possibile riconoscerne i caratteristici pallini in rilievo, solo per fare alcuni esempi, sui tasti degli ascensori, sulle confezioni dei medicinali e sui tastierini del bancomat. Come abbiamo detto, si basa su combinazioni di punti (fino a sei, ma in alcuni casi possono essere otto) all’interno di celle (piccoli spazi rettangolari) disposte in due colonne e tre righe. A ciascuna combinazione non corrisponde un suono bensì un carattere, come le lettere dell’alfabeto: la A, per esempio, viene indicata con un unico punto in alto a sinistra nella cella, la B con due punti disposti in verticale sul lato sinistro, la C con due punti affiancati, uno sulla colonna a sinistra e uno a destra, e così via, con numero e disposizione dei punti sempre diversi per ciascun carattere.
Con sei punti le diverse combinazioni possibili sono 64, che però non sono sufficienti a indicare ogni carattere necessario alla comunicazione scritta (pensiamo alle lettere accentate, per esempio). Per superare questo limite si utilizzano dei “gruppi” di caratteri Braille che corrispondono a ulteriori simboli grafici. Con questa logica, il sistema è stato ampliato nel tempo per poter rappresentare, oltre che lettere e numeri, anche la punteggiatura, la notazione musicale e i simboli matematici, scientifici, chimici e informatici. Possono servirsene, a prescindere dalla propria lingua madre, le persone non vedenti di tutto il mondo.
Il Braille nel presente
La tecnologia, con la diffusione dei computer, di dispositivi hardware come le barre Braille e per la lettura vocale, ha portato una serie di miglioramenti nella vita delle persone non vedenti e ipovedenti. Ciò nonostante, per motivi intrinseci del codice – non ultimo, la necessità di riportare il testo su un’unica riga, così come, per esempio, la difficoltà di rappresentazione degli ideogrammi – nell’era digitale l’uso del Braille presenta ancora alcune limitazioni. Inoltre l’accessibilità e l’alfabetizzazione digitale non possono ancora oggi essere date per scontate: una questione che la pandemia di Covid-19 ha messo ulteriormente in evidenza – a prescindere dal tipo di disabilità di cui si è portatori.
Secondo il parere delle Nazioni Unite, la pandemia ha comportato molti disagi per chi ha gravi deficit visivi, limitandone e aumentando l’isolamento. E questo è valso soprattutto per le persone che fanno affidamento esclusivo sull’uso del tatto per comunicare i propri bisogni e per accedere alle informazioni. In questo contesto, per preservare l’incolumità di chi ha gravi problemi di vista, è stato molto importante che i materiali informativi (come le linee guida e le precauzioni per prevenire il contagio) fossero forniti anche in formati accessibili, come appunto il Braille, fruibili in prima persona e senza il bisogno di intermediari. Da veri protagonisti, insomma, della propria vita.