Che cos’è e come funziona un importante strumento collettivo per arrivare a un’economia con zero emissioni di gas a effetto serra.
Una rapida transizione energetica, il passaggio a modi di produzione e consumo più sostenibili, è una delle grandi sfide globali. Per realizzarla, e quindi arrivare a un’economia dall’impatto più limitato sul clima entro il 2050, occorre ridurre drasticamente l’uso dei combustibili fossili e investire con vigore sulle fonti di energia rinnovabili. Le comunità energetiche sono uno degli strumenti che possiamo sfruttare per avvicinarci a una sempre maggiore decarbonizzazione dei nostri consumi.
Energia da fonti rinnovabili
Energia eolica, energia solare, energia idroelettrica, energia oceanica, energia geotermica, energia da biomassa e biocarburanti: ricorrere a fonti di energia rinnovabili, alternative ai combustibili fossili, è determinante per contribuire a ridurre le emissioni di gas a effetto serra. Nel 2018 i leader europei si sono accordati sull’obiettivo di coprire entro il 2030 il 32 per cento dei consumi energetici con fonti rinnovabili. In seguito hanno puntato ancora più in alto, stabilendo che entro il 2030 fino al 45 per cento del fabbisogno energetico dovrà essere coperto da queste fonti, con il fine ultimo di conseguire la neutralità climatica entro il 2050.
Le comunità energetiche, favorendo la partecipazione dei cittadini e della collettività alla produzione di energia da fonti rinnovabili, possono concorrere al raggiungimento di questi target europei. Vediamo come.
Che cos’è una comunità energetica e che vantaggi ha
Le comunità energetiche rinnovabili consistono in associazioni tra cittadini, attività commerciali, pubbliche amministrazioni locali e piccole-medie imprese che insieme decidono di unire le proprie forze con l’obiettivo di produrre, scambiare e consumare energia da fonti rinnovabili su scala locale. Si tratta di una modalità alternativa per la promozione e l’uso di energia da fonti rinnovabili che costituisce un’opportunità per i cittadini, le amministrazioni pubbliche e le imprese locali, che possono avere un ruolo attivo e centrale per lo sviluppo sostenibile all’interno delle politiche energetiche e climatiche del Paese. Possono infatti favorire l’efficienza energetica, promuovere l’uso delle fonti rinnovabili e favorire l’acquisizione di una maggiore consapevolezza dei consumi e ridurre la dipendenza dalle fonti fossili per i consumi energetici anche a livello domestico.
Come si legge nella guida dell’ENEA dedicata alle comunità energetiche, si stima che entro il 2050 oltre 260 milioni di cittadini e cittadine dell’Unione Europea generanno fino al 45 per cento dell’elettricità rinnovabile prodotta nei 27 Paesi. Questi saranno quindi “prosumer”, un neologismo che indica che non saranno più solo consumatori (consumer), poiché parteciperanno attivamente alla produzione di energia (producer). Infatti, con questo nuovo termine si intende designare chi possiede un proprio impianto di produzione di energia, della quale consuma una parte. La quota di energia non utilizzata può essere scambiata con altri consumatori fisicamente vicini o tenuta da parte in appositi accumulatori per essere utilizzata nel momento più opportuno. Come scrivono gli autori del documento, “il prosumer è un protagonista attivo nella gestione dei flussi energetici, e può godere non solo di una relativa autonomia ma anche di benefici economici”.
Risparmio in bolletta, dunque, ma non solo. Dall’energia di comunità derivano infatti anche benefici ambientali e sociali, come decarbonizzazione dei consumi domestici e maggiore cooperazione territoriale.
Energia pulita per tutti gli europei
“Favorire la partecipazione attiva delle famiglie, delle imprese e delle comunità energetiche e contribuire all’economia circolare.” Nel 2019 l’Unione Europea ha approvato il pacchetto legislativo Energia pulita per tutti gli europei, otto direttive per mettere in atto quadri giuridici volti a incentivare la transizione energetica e dare un ruolo di primo piano anche ai cittadini nel settore dell’energia. Tra le azioni da favorire in questo pacchetto vi sono quelle che possono essere svolte dalle comunità energetiche.
Attualmente in Europa sono attive circa 9.000 comunità energetiche. In Italia sono 35 le sperimentazioni operative. Infatti, il nostro Paese ha recepito queste direttive europee con la legge 8 del 28 febbraio 2020, riconoscendo legalmente e regolamentando l’autoconsumo collettivo e le comunità energetiche.
Le comunità energetiche in Italia
Come si legge nel Manifesto delle comunità energetiche redatto da un gruppo di lavoro coordinato dall’Energy Center del Politecnico di Torino, “costituire una comunità energetica significa promuovere e innescare un processo di aggregazione e creare valore, economico, sociale e ambientale, attraverso l’innovazione nel modo di generare, consumare e scambiare l’energia”.
Le prime esperienze italiane sono state monitorate nell’ambito di una ricerca, i cui dati sono stati pubblicati nel 2021 dai ricercatori Lorenzo De Vidovich, Luca Tricarico e Matteo Zulianello dall’editore Franco Angeli. La prima è nata in Piemonte: si tratta della comunità energetica di Magliano Alpi, nella provincia di Cuneo. La sperimentazione ha ispirato anche il progetto RECOCER, con il primo caso in Friuli-Venezia Giulia (l’acronimo che sta per Regia coordinata dei processi di costituzione di comunità energetiche rinnovabili sul territorio). Questa iniziativa coinvolge la Comunità collinare del Friuli, un ente locale che rappresenta 15 comuni, e l’Energy Center del Politecnico di Torino. L’area interessata coinvolge circa 50.000 abitanti, e nel comune di San Daniele del Friuli è già operativa una scuola che, come prosumer, dispone di un impianto fotovoltaico da 55 kW.