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Le interazioni tra esseri umani e animali selvatici potrebbero peggiorare a causa dei cambiamenti climatici

In un clima sempre più caldo ed estremo potrebbero aumentare i contatti con la fauna selvatica con conseguenze sfavorevoli sia per gli esseri umani sia per gli animali. Ne ha parlato un gruppo di ricercatori dell’Università del Washington sulla rivista Nature Climate Change.

L’enorme impatto ambientale di noi Homo sapiens ha spinto ormai molti scienziati a chiamare la nostra epoca antropocene, dal greco anthropos uomo, e kainos recente. A sottolineare il ruolo chiave (purtroppo molto spesso negativo) che le attività umane, soprattutto degli ultimi due o tre secoli, hanno avuto nel modificare il proprio ecosistema e provocare l’attuale crisi climatica.

Una recente sintesi degli studi e dei risultati ottenuti, pubblicata a febbraio 2023 sulla rivista Nature Climate Change, fa proprio il punto sul ruolo dei cambiamenti climatici nell’amplificare le possibili interazioni problematiche tra specie umana e fauna selvatica. Il lavoro è stato condotto da un gruppo di ricerca del Center for Ecosystem Sentinels dell’Università di Washington a Seattle, in collaborazione con ricercatori di altri istituti negli Stati Uniti e in Canada.

Il clima come fattore di aggravamento

Tra le varie conseguenze della crisi climatica in corso, c’è un peggioramento della quantità di risorse disponibili e ricercate da più specie, che per questo sono in competizione tra loro. A sua volta, la scarsità di cibo può provocare migrazioni di massa, sia di esseri umani, sia di animali, aumentando le probabilità di incontri complicati tra esseri umani e fauna selvatica.

Prendendo in esame i dati che coprono ben trent’anni di studi effettuati in diverse parti del mondo, il gruppo di ricerca ha osservato una notevole crescita dei conflitti tra esseri umani e animali selvatici in seguito alle modificazioni del clima. Inoltre gli studi che associano la crisi climatica a interazioni problematiche tra esseri umani e fauna selvatica sono quadruplicati nell’ultimo decennio, rispetto ai vent’anni precedenti, e il problema si è esteso in modo estremamente significativo. Sono stati presi in esame casi di conflitto tra esseri umani e specie selvatiche, legati ai cambiamenti climatici e riguardanti i principali gruppi animali: uccelli, pesci, mammiferi, rettili e invertebrati. Il conflitto è stato definito come l’interazione diretta tra esseri umani e un’altra specie, in seguito al quale si è verificato un esito negativo per uno dei due gruppi. In particolar modo, il 43 per cento degli studi ha riportato come esito danno o mortalità a carico delle persone, mentre il 45 per cento è stato a carico di altre specie. Perdite nella produzione alimentare sono state registrate nel 45 per cento degli studi esaminati.

L’amplificarsi dei conflitti tra esseri umani e altre specie è all’origine di fenomeni di riduzione delle popolazioni e di estinzione, che a loro volta innescano ulteriori cambiamenti negli ecosistemi, portando a un circolo vizioso. Come i ricercatori hanno sottolineato, la riduzione del conflitto tra esseri umani e fauna selvatica va inteso come un problema che riguarda non solo la conservazione degli ecosistemi, ma anche una questione centrale relativa alla giustizia sociale e sicurezza.

Fare previsioni sugli scenari futuri

Uno degli aspetti più importanti della ricerca è la possibilità di fare previsioni esperte e scientificamente fondate sugli scenari futuri. Ciò non significa che una previsione così fatta si verificherà esattamente. Qualunque prognostico è necessariamente limitato e comporta delle semplificazioni, tanto più quando i sistemi su cui si fanno le predizioni sono estremamente complessi e solo in parte compresi. Pur con queste avvertenze, i ricercatori ritengono che si potrà anticipare in quali zone saranno più probabili le future conflittualità tra esseri umani e altri animali. Per esempio, individuando tempestivamente problemi come una siccità prolungata o incendi ripetuti e molto estesi, si potrebbero stimare i possibili movimenti locali della fauna selvatica e dei gruppi umani coinvolti.

Per esempio, in America Centrale la siccità ha portato esseri umani e tapiri a competere per le risorse idriche. Come possibile soluzione, gli studiosi hanno immaginato di predisporre abbeveratoi per evitare che questi animali si servano dell’acqua destinata all’allevamento e all’agricoltura. La prevenzione delle interazioni conflittuali e minacciose può passare anche attraverso un’adeguata attività di informazione a favore della popolazione, che potrebbe così conoscere le molteplici possibilità di imbattersi in esemplari di diverse specie. Oppure attraverso la cosiddetta “gestione dinamica” che prevede la gestione di aree protette temporanee per rispondere a determinate condizioni climatiche. Anche se è utilizzata soprattutto per la tutela della fauna marina, può essere estesa anche a quella terrestre. È ciò che è stato fatto, per esempio, tra il 2014 e 2015, quando megattere e balenottere sono rimaste più volte intrappolate nelle attrezzature da pesca al largo delle coste californiane. I dati raccolti hanno permesso di associare questo fenomeno al riscaldamento degli oceani, che aveva spinto i cetacei più vicino alle rive alla ricerca di cibo. Si è potuto così regolare di conseguenza l’inizio e la fine delle stagioni di pesca, in base alla temperatura delle acque e alle condizioni climatiche degli oceani. In alcuni casi le strategie di mitigazione permettono di tutelare la biodiversità vegetale e animale. Per esempio, piantare specie vegetali autoctone è un modo di prevenire l’erosione del suolo intorno alle zone adoperate dalla fauna selvatica come rifugio.

Conoscenze più approfondite in questo campo saranno essenziali per interventi concreti e proattivi da parte dei decisori politici. Da tempo si sottolinea l’importanza che la politica tenga conto dei dati della ricerca scientifica per elaborare strategie efficaci con cui affrontare le principali criticità del mondo contemporaneo, e in primo luogo quella ambientale. Come ricordano anche gli autori dell’articolo, è possibile e necessario progettare con urgenza un piano d’azione concreto, basato su evidenze scientifiche, per la gestione dei contatti tra la fauna selvatica e gli esseri umani.

Anna Rita Longo
Insegnante e dottoressa di ricerca, membro del board dell’associazione professionale di comunicatori della scienza SWIM (Science Writers in Italy), socia emerita del CICAP (Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sulle Pseudoscienze), collabora con riviste e pubblicazioni a carattere scientifico e culturale.
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