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Una “bussola” per proteggere la biodiversità delle foreste

I risultati di una ricerca, da poco pubblicati sulla rivista Nature, mostrano dove e quando sia più efficace intervenire per preservare le forme di vita delle foreste del pianeta. Ottimizzare le risorse e fare investimenti mirati non è più solo un’opzione, bensì una necessità, anche per contrastare i danni della deforestazione.

“Chi più spende meno spende” recita un proverbio… Ma per conservare le ultime foreste primarie e ad alta biodiversità del pianeta, questa potrebbe non essere la soluzione più indicata. Anzi, il rischio è di disperdere gli investimenti e, di conseguenza, di vanificare gli sforzi per proteggere le specie e gli habitat forestali, fondamentali per il mantenimento della biodiversità, per lo stoccaggio del carbonio e per il sostentamento di intere comunità. Per questi motivi è necessario essere in grado di prevedere dove e quando investire, in modo da massimizzare i risultati nel medio periodo. A tale scopo può essere utile effettuare simulazioni che aiutino a stabilire a quali foreste dare la priorità per gli interventi.

È ciò a cui ha lavorato un gruppo di ricercatori delle università del Minnesota e del Colorado a Boulder, in uno studio i cui risultati sono stati pubblicati ad agosto 2022 sulla rivista Nature. Grazie ai dati ottenuti è stato possibile creare uno schema per allocare in modo ottimale i budget dedicati alla conservazione in 458 ecoregioni forestali e con un orizzonte temporale di 50 anni.

Dove investire per proteggere le foreste

Come spiega Ian Luby, il primo autore dell’articolo, l’obiettivo della ricerca era mettere a punto un meccanismo di valutazione per stabilire quali regioni siano più importanti da conservare e, soprattutto, in quali sia più urgente intervenire, al fine ultimo di ridurre al minimo i rischi di estinzione. La strategia proposta mirerebbe a difendere inizialmente un numero limitato di ecoregioni, in cui un’ulteriore deforestazione porterebbe a un rischio elevato di estinzione delle specie presenti e dove i costi di intervento sono relativamente bassi. Nel tempo gli interventi di conservazione si potrebbero estendere a ulteriori ecoregioni, investendo sia nella protezione estesa della foresta primaria sia nella riforestazione.

In base ai risultati ottenuti, le aree dove investire con urgenza in questo momento e per gli anni a venire si troverebbero in Melanesia (la parte dell’Oceania che comprende Figi, Isole Salomone, Papua Nuova Guinea, Nuova Caledonia e Vanuatu), Asia del Sud e Sudest asiatico, penisola anatolica, Sudamerica settentrionale e America centrale. Inizialmente ci si concentrerebbe su 18 aree, che salirebbero poi a 46 nel corso dei primi dieci anni. Solo quando gli sforzi di protezione saranno riusciti a coprire le foreste designate, potrà avere senso dirigere altrove gli investimenti. Questo programma porterebbe a una protezione del 28 per cento delle 458 regioni in circa mezzo secolo, con 23.680 specie aggiuntive che potrebbero essere preservate.

La deforestazione non rallenta

La questione rispetto a quanto investire e come investire è fondamentale, e il dibattito a livello accademico è aperto. Sappiamo che gli sforzi per la conservazione della biodiversità sono limitati dall’ammontare disponibile per gli investimenti. Tuttavia l’efficacia di tali interventi non è sempre confrontabile poiché è misurata e rendicontata in maniera differente a seconda delle regioni coinvolte o delle specie oggetto dei progetti. Anche per questo, secondo alcuni ricercatori, è quanto mai necessario sviluppare sistemi di valutazione sistematica degli interventi da effettuare, anche in relazione ai soldi da investire, in modo che, in caso di valutazione positiva, possano essere replicabili su vasta scala.

A novembre 2021, a Glasgow, durante l’ultima Conferenza delle Nazioni unite sui cambiamenti climatici (Cop26), si è raggiunto un accordo importante, il cosiddetto Global Forest Finance Pledge, considerato da molti unico nel suo genere. Oltre 130 Paesi, che rappresentano più del 90 per cento della copertura forestale del pianeta, si sono impegnati a collaborare per fermare e invertire la perdita di foreste e il degrado del suolo entro il 2030. Inoltre per la prima volta 12 nazioni hanno annunciato la disponibilità a fornire collettivamente 12 miliardi di dollari tra il 2021 e il 2025, destinati a un investimento che dovrebbe permettere di sviluppare una sinergia internazionale per arginare la deforestazione.

Nel frattempo l’emergenza non sta rallentando, anzi. Stando ai dati del Global Forest Watch pubblicati ad aprile 2022, solo nei tropici abbiamo perso circa undici milioni di ettari nel corso del 2021. Di particolare rilevanza sono i quasi quattro milioni di ettari perduti all’interno delle foreste pluviali primarie (che corrispondono più o meno a 10 campi da calcio persi ogni minuto). La perdita di copertura forestale ha inoltre comportato l’emissione di 2,5 gigatonnellate di CO2 in atmosfera: una quantità enorme. In più, i dati forniti dalla piattaforma riportano un tasso di deforestazione costante negli anni, nonostante una riduzione dell’11 per cento rispetto al 2020 (tra il 2020 e il 2019 lo stesso era salito del 12 per cento).

D’altro canto siamo pure ben consapevoli di quanto il ruolo delle foreste primarie e tropicali sia fondamentale, non solo per proteggere la biodiversità, ma anche per sostenere intere comunità. Infine – e forse si tratta di uno dei punti più importanti – sappiamo che proteggere e ripristinare circa 230 milioni di ettari di copertura forestale, gestendo in maniera ottimale circa 2,5 miliardi di ettari di terreni agricoli e pascoli, è necessario se vogliamo ridurre e mantenere l’aumento delle temperature medie globali entro i 2 °C, mitigando la crisi climatica.

Rudi Bressa
Giornalista ambientale e scientifico, collabora con varie testate nazionali e internazionali occupandosi di cambiamenti climatici, transizione energetica, economia circolare e conservazione della natura. È membro di Swim (Science writers in Italy) e fa parte del board del Clew Journalism Network. I suoi lavori sono stati supportati dal Journalism Fund e dalI'IJ4EU (Investigative Journalism for Europe).
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