Il cromosoma Y degli esseri umani della prima età moderna ha completamente sostituito quello dei Neanderthal: ecco come si è arrivati a una delle più importanti scoperte della paleogenetica, e che cosa ci racconta delle caratteristiche dei nostri antenati.
Un colpo di scena di cui ci siamo accorti solo 50.000 anni dopo. Se già da tempo sappiamo che il patrimonio genetico di Homo sapiens è stato in parte ereditato da quello dell’Homo neanderthalensis, fin da quando questa specie abbandonò l’Africa per proliferare in giro per il mondo, oggi abbiamo scoperto che era vero anche l’opposto. Nei Neanderthal, o almeno in alcuni individui della specie prima dell’estinzione, erano riscontrabili tratti genetici acquisiti dai Sapiens. E non solo qualche gene sparso qua e là, ma un intero cromosoma: quello sessuale presente nei soli uomini, l’Y.
Il perché questa scoperta costituisca una svolta nella ricostruzione del nostro passato è evidente: ci racconta infatti che le popolazioni Sapiens e Neanderthal non sono state solo coeve, ma che sono anche andate incontro a mescolamenti e contaminazioni genetiche, imparentandosi a vicenda. E ci dice anche che per qualche ragione il cromosoma Y della nostra specie contribuiva qualche vantaggio evolutivo rispetto a quello dei nostri “parenti” più prossimi tra i primati umani.
Come si è arrivati al risultato
Il traguardo scientifico è stato raggiunto grazie al lavoro di un gruppo di ricerca internazionale guidato da Martin Petr e Janet Kelso del Max Planck Institute per l’antropologia dell’evoluzione che si trova a Lipsia, in Germania. Ma soprattutto grazie a due elementi chiave. Il primo è la nostra odierna capacità di sequenziare con facilità il DNA: se il primo parziale sequenziamento del genoma di un Neanderthal risale al 1997, oggi è possibile non solo leggere l’intero corredo genetico degli individui di questa specie di cui abbiamo ritrovato i resti, ma anche farlo con grande rapidità e maggiore accuratezza. L’altro elemento è invece la disponibilità del DNA stesso, perché quasi tutti i corpi dei Neanderthal ritrovati finora appartenevano a esemplari femmine, per cui anche i campioni di DNA mitocondriale rinvenuti contengono solo i caratteri ereditari femminili, dato che i mitocondri si ereditano dalla mamma.
Ma da dove è stato tirato fuori, allora, il DNA maschile? Come hanno spiegato in una pubblicazione scientifica sulla rivista Science, i ricercatori sono riusciti a ricavare il materiale genetico attraverso i microbi che tipicamente contaminano i resti antichi, a partire dalle ossa e dai denti. E il cromosoma Y, dunque, non è stato estratto già intero e pronto al sequenziamento, bensì è stato ricavato attraverso tecniche di laboratorio “non convenzionali”, come le hanno definite gli autori stessi dello studio.
In questo modo è stata verificata la straordinaria somiglianza tra l’Y dei Neanderthal e l’Y dei Sapiens, lasciando intendere che il cromosoma originale dei primi sia stato in qualche momento sostituito dalla versione presente abitualmente negli individui della nostra specie. Nello stesso studio è stato ricavato anche il cromosoma Y dell’Homo di Denisova, un importante ominide trovato anni fa, rilevando come tra i Denisova stessi e i Neanderthal ci fossero molte più differenze genetiche rispetto a quelle che separavano i Neanderthal dai Sapiens, perlomeno per quanto riguarda il cromosoma Y. Questo è un ulteriore colpo di scena, perché si è sempre pensato che la specie Homo geneticamente più lontana dalle altre fosse proprio la nostra.
Le implicazioni: come vanno riscritti i libri di storia
Anzitutto, va detto che le caratteristiche genetiche riscontrate non riguardano tutti i Neanderthal in assoluto, bensì alcuni fra più recenti ominidi della specie di cui si sono appunto trovati materiali biologici. Se a oggi si ritiene che Homo neanderthalensis sia vissuto tra 200.000 e 40.000 anni fa, il momento del trasferimento del cromosoma Y viene collocato tra 70.000 e 50.000 anni fa, quando in un certo senso si era ormai prossimi all’estinzione della specie. Già allora, o anche prima, i Sapiens dovevano dunque aver abbandonato l’Africa e iniziato ad abitare in Europa e Asia, confermando la teoria secondo cui la migrazione fosse avvenuta in un periodo di tempo compreso tra 65.000 e 100.000 anni fa.
Oltre alla scoperta dell’esistenza di individui ibridi Sapiens-Neanderthal – che già di per sé racconta di una stretta prossimità tra le due popolazioni – gli scienziati sono stati colpiti dall’evidenza che questa sostituzione genetica abbia fatto del tutto scomparire l’Y del Neanderthal. L’ipotesi più accreditata, al momento, è che data la ridotta dimensione della popolazione Neanderthal si possa essere accumulata una serie di mutazioni sfavorevoli proprio nel cromosoma Y, influenzando la fertilità degli individui maschi e determinando così la scomparsa della versione evolutivamente svantaggiata.
Il tassello mancante
Per arrivare a conclusioni più solide, e andare davvero a riscrivere i libri di storia, servono ancora numerosi elementi paleogenetici. Bisognerebbe identificare, infatti, la versione del cromosoma Y dei Neanderthal ancestrali, prima che fosse soppiantata dalla variante Sapiens. A oggi, infatti, l’Y dei Neanderthal non è mai stato trovato né identificato.
La nostra migliore opzione, al momento, è di cercarlo (sempre con la stessa tecnica) sui resti di ominidi ritrovati in Spagna e risalenti a 430.000 anni fa. Secondo gli scienziati, è molto probabile che in quel periodo storico l’Y dei Neanderthal fosse ancora l’originale, e che quindi fosse più simile a quello dei Denisova che al nostro. Ma finché non ci sarà l’evidenza scientifica, sono solo speculazioni.