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Che cosa può fare la gamification in medicina

Educazione e formazione, ma anche cura dei pazienti e coinvolgimento: il gioco, e in particolare alcuni tipi di videogame, possono essere utilizzati per migliorare la gestione delle malattie croniche, l’aderenza alle cure da parte dei pazienti e per una maggiore inclusione di alcune categorie di malati e cittadini. Vediamo da vicino di cosa si tratta.

Il mondo reale e quello dei videogame, intesi in senso lato, sono sempre più integrati: le tecnologie inizialmente pensate per chi gioca hanno trovato applicazione in molti altri settori.

Che cos’è la gamification

Il termine gamification, che ha, appunto, la parola game come radice, indica proprio l’applicazione delle tecnologie pensate per i videogiochi e il cosiddetto game design in contesti diversi da quelli ludici. In italiano si potrebbe tradurre con il termine piuttosto infelice di ludicizzazione. Al di là della terminologia, l’approccio che si usa nel gioco non solo virtuale è sempre più utilizzato in contesti di vario tipo, laddove può essere utile sdrammatizzare e rendere più coinvolgente un’attività impegnativa.

L’atto di nascita “ufficiale” della gamification può essere ricondotto a un famoso intervento del 2010 al DICE Summit, un importante evento annuale statunitense dedicato al mondo dei videogiochi. Ne aveva parlato il progettista di videogiochi Jesse Schell, soffermandosi sull’importanza crescente che i videogame stavano acquisendo nella vita quotidiana in diversi settori.

Nell’istruzione e nel lavoro

Il campo dell’istruzione è stato uno dei primi interessati dalla gamification, come naturale prosecuzione della tendenza tradizionale all’uso del gioco come elemento motivazionale per gli studenti. Tra le caratteristiche più apprezzate dei videogiochi in campo educativo c’è la possibilità di sfruttare meccanismi come l’accumulo dei punti e il superamento dei livelli per incoraggiare le persone nella prosecuzione dello studio. I pedagogisti, però, sottolineano che questo tipo di motivazione sembra essere la meno efficace per il raggiungimento di un duraturo successo formativo. Una delle ragioni è che si tratterebbe di una motivazione “estrinseca”, ovvero con un’origine estranea al processo di apprendimento, quasi fosse una specie di aggiunta esterna.

Un aspetto, invece, senz’altro positivo è rappresentato dall’immersività dell’esperienza. I videogame, in particolar modo quelli che sfruttano la tecnologia della realtà virtuale, consentono agli studenti di calarsi in contesti altrimenti inaccessibili, per esempio, in quanto lontani nello spazio o nel tempo. Gli studenti possono anche provare a eseguire in prima persona azioni che non sarebbero comunemente alla loro portata, come manipolare molecole, osservare da vicino specie animali molto distanti, esplorare i fondali oceanici… Sembra così possibile potenziare l’apprendimento attraverso un’esperienza concreta.

La gamification può anche essere utile a ridurre il carico di stress e di noia dei lavoratori, soprattutto di quelli impegnati in attività ripetitive e frustranti. Sono stati, però, sollevati dei dubbi etici al riguardo, perché vi si è visto un tentativo mascherato di aumentare la produttività dei lavoratori senza particolare attenzione al loro benessere. I videogiochi e altre esperienze digitali, per indurre gli utenti a ripetere una determinata azione, sfruttano, tra le altre cose, il meccanismo cerebrale della ricompensa, mediato anche dal neurotrasmettitore dopamina.

Tutela della salute e del benessere. Tecnologia e inclusività.

Uno dei settori in cui la gamification appare una risorsa promettente è la tutela della salute. Le simulazioni computerizzate fanno da tempo parte degli studi scientifici, compresi quelli in campo medico, come abbiamo avuto modo di osservare anche fra le ricerche in corso sull’emergenza pandemica. Permettono infatti di creare laboratori virtuali per la verifica di alcune ipotesi. Nell’ambito della tutela della salute, la gamification potrebbe essere utile al benessere psicofisico, da vari punti di vista.

Per esempio, è noto che nella dipendenza da sostanze sono coinvolti diversi meccanismi, con componenti genetiche, fisiologiche e psicologiche. Non è sempre facile, adoperando le normali prassi psicoterapiche, far rivivere ai pazienti le situazioni in cui possono perdere più facilmente il controllo o cedere alla dipendenza. Usando la gamification e, in particolar modo, la realtà virtuale, è possibile che il terapeuta possa far rivivere ai pazienti le situazioni più a rischio in modo concreto ma sicuro, aiutandoli a consolidare meccanismi di reazione e di difesa potenzialmente trasferibili alle circostanze reali e quotidiane da affrontare.

L’efficacia immersiva della gamification è stata anche applicata alla promozione di uno stile di vita salutare, sia per consolidare sane abitudini alimentari, sia per ridurre l’incidenza di disturbi del comportamento alimentare o per curarli. Per fare alcuni esempi, dal momento che diversi disturbi del comportamento alimentare si accompagnano a una percezione alterata della propria immagine corporea, attraverso la realtà virtuale le pazienti possono disegnare un avatar secondo la propria percezione di sé, metterlo a confronto con una rappresentazione realistica e trarre considerazioni in merito. Oppure si potranno simulare situazioni che nella vita reale provocano stress (per esempio, acquistare cibi al supermercato, uscire a cena con gli amici e simili), per facilitare l’elaborazione di strategie per affrontare la quotidianità e superare le proprie difficoltà.

Il linguaggio dei videogame è particolarmente comprensibile ai pazienti in giovane età ed è anche per questo che molte delle sperimentazioni della gamification sono state condotte, per esempio, in reparti pediatrici. In oncologia pediatrica i videogame sono utilizzati come strumento per aiutare bambine e bambini a comprendere le ragioni delle terapie alle quali sono sottoposti attraverso simulazioni che adoperano comuni console per videogiochi. Gli esiti sono incoraggianti: i piccoli pazienti acquisiscono maggiore conoscenza della malattia e consapevolezza dell’utilità delle terapie, sentendosi più motivati a seguirle. Lo stesso risultato è stato registrato anche in altre categorie di persone.

La gamification trova applicazione anche nel campo delle malattie neurologiche (tra le quali l’ictus e le malattie di Alzheimer e Parkinson), come strumento per la riabilitazione cognitiva e neuromotoria che si può eseguire anche a domicilio. In generale, la riabilitazione per le più svariate condizioni patologiche è tra i settori di applicazione della gamification in maggiore sviluppo. Per i pazienti con diabete di tipo 1, invece, sono state messe a punto delle app in forma di videogame utili al monitoraggio della glicemia, che rendono la gestione delle misurazioni del livello di glucosio nel sangue non noiosa e motivante, e sono destinate soprattutto a bambini e adolescenti.

I videogame sono anche da tempo adoperati nei disturbi specifici dell’apprendimento (in particolar modo la dislessia, ma non solo), sia come supporto all’apprendimento sia per la motivazione.

Sono stati inoltre elaborati videogame destinati a persone con disturbi dello spettro autistico, sviluppati in funzione delle loro preferenze e caratteristiche, con lo scopo di potenziare le abilità di socializzazione e comunicazione e aiutarli nell’apprendimento.

Anna Rita Longo
Insegnante e dottoressa di ricerca, membro del board dell’associazione professionale di comunicatori della scienza SWIM (Science Writers in Italy), socia emerita del CICAP (Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sulle Pseudoscienze), collabora con riviste e pubblicazioni a carattere scientifico e culturale.
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