Alcune specie animali sono più sensibili di altre ai mutamenti climatici, all’inquinamento e in generale all’impatto delle attività umane. Dal monitoraggio del comportamento o dello stato di salute degli individui di una specie, gli scienziati possono trarre informazioni importanti riguardo alla situazione dell’habitat caratteristico della specie stessa.
Numerose azioni umane inquinano, modificano e disturbano molti habitat naturali, oltre a essere responsabili della crisi climatica globale, con implicazioni per tutti gli organismi e, in generale, per l’ecosistema terrestre. Lo studio di alcune specie animali particolarmente sensibili alle alterazioni dell’ecosistema in cui si trovano può aiutare gli scienziati a prevedere gli effetti del cambiamento climatico e dell’inquinamento sull’evoluzione dei diversi ambienti naturali.
In che modo? Attraverso il monitoraggio delle modificazioni fisiologiche, del numero degli esemplari delle popolazioni, del loro comportamento, delle loro condizioni di salute, delle migrazioni. E non solo.
Indicatori biologici: cosa sono?
Le specie animali utilizzate dagli scienziati per monitorare gli ecosistemi sono chiamate in gergo indicatori biologici (o bioindicatori o, ancora, specie indicatrici o sentinella). Fra le caratteristiche essenziali, vi è la possibilità che possano essere studiate in modo agevole. Ciò significa che, oltre a essere rappresentative del fenomeno che si intende indagare, devono anche avere una certa distribuzione nell’ambiente oggetto della ricerca e devono poter essere campionate senza eccessive difficoltà.
Altri concetti complementari ma non sovrapponibili sono collegati a quello di specie indicatrice o sentinella. Semplificando le varie definizioni, si parla anche di specie chiave (o specie chiave di volta) per quelle che hanno una grande influenza e un ruolo fondamentale per la struttura e la stabilità di un ecosistema. Una specie focale rappresenta invece una ragione sufficiente per l’istituzione di un’area protetta, perché racchiude in sé le esigenze di tutte le altre specie dell’area, mentre si definisce specie ombrello quella la cui tutela porta indirettamente benefici anche ad altre specie che popolano lo stesso habitat.
Le specie bandiera, infine, in quanto particolarmente carismatiche e rappresentative, sono quelle in grado di attirare l’attenzione del grande pubblico su un problema di conservazione della biodiversità. È il caso, per esempio, del panda gigante, simbolo delle specie a rischio di estinzione a causa dell’azione umana e scelto anche per questo come logo dal WWF. Alcune specie indicatrici rientrano in una o più delle altre categorie sopra descritte.
Gli animali che aiutano a monitorare gli ambienti
Tra le specie indicatrici più sensibili alle alterazioni ci sono diversi tipi di anfibi, come rane, rospi, salamandre e tritoni. Si tratta di animali che registrano quasi immediatamente i cambiamenti di temperatura e della qualità dell’acqua, in particolare degli inquinanti, che assorbono attraverso la pelle. Questi organismi subiscono, inoltre, altri effetti in seguito ad alterazioni del clima, come la siccità. Tra i casi più singolari c’è quello, segnalato negli Stati Uniti e in Canada, di rane che nascono con arti in più: gli studi hanno permesso di ricollegare il fenomeno all’azione di un parassita, il platelminta Riberoia ondatrae, favorito dall’inquinamento e dalla perdita di biodiversità.
In altri casi, le popolazioni di anfibi sono messe in pericolo da specie alloctone, cioè provenienti da altre zone e non integrate all’interno del nuovo ecosistema, il cui spostamento è favorito dai cambiamenti climatici. È il caso del gambero della Louisiana (Procambarus clarkii), introdotto in Italia per essere commercializzato e poi sfuggito al controllo degli allevatori. Propenso ad adattarsi a varie condizioni ambientali, è predatore di molti altri organismi, tra cui anfibi anche protetti, come la rana di Lataste (Rana latastei).
Il pinguino di Adelia è invece considerato un importante indicatore biologico per l’ecosistema antartico. Gli studi hanno mostrato come le alterazioni dovute alle attività antropiche (quindi i cambiamenti climatici e l’inquinamento, ma anche le modificazioni dell’ambiente dovute alla pesca) influenzino le condizioni di salute degli esemplari e la numerosità delle popolazioni.
Importanti dati sulle alterazioni ecosistemiche provocate dalla crisi climatica provengono inoltre dallo studio dei cambiamenti nei tempi di letargo o nelle rotte e modalità delle migrazioni.
Alcune specie mostrano invece modificazioni nella ripartizione tra i sessi in risposta a cambiamenti della temperatura ambientale. Un esempio è la femminilizzazione di alcune popolazioni di tartarughe marine. In questi animali il sesso dipende dalla temperatura di incubazione delle uova che, se supera una certa soglia, determina la nascita di femmine. Ciò si sta verificando nella porzione settentrionale della Grande barriera corallina, dove nascono quasi esclusivamente tartarughe di sesso femminile.
Tra i contributi più recenti sull’argomento possiamo citare un’interessante ricerca italiana condotta dall’Università di Firenze e i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista Insect and Conservation Diversity nell’ottobre 2021. Nello studio è stato monitorato l’impatto dei cambiamenti climatici sulla farfalla appenninica Erebia pandrose, che, secondo i ricercatori, è candidata a diventare una specie bandiera. Per la raccolta dei dati i ricercatori sono stati anche aiutati dalla collaborazione dei cittadini –un esempio interessante di “citizen science”.