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Gli effetti delle microplastiche sulla nostra salute

L’inquinamento da microplastiche nell’ambiente può avere un impatto diretto sul nostro organismo? Quanto ne sappiamo? E cosa si sta facendo per ridurlo?

Che le microplastiche finiscano negli alimenti che consumiamo è una delle preoccupazioni dei cittadini europei. Lo rivela l’Eurobarometro sulla sicurezza alimentare curato dall’Efsa, l’Autorità europea per la sicurezza alimentare con sede a Parma. Ma cosa sono le microplastiche? E possono avere un impatto diretto sulla nostra salute?

In un mondo di plastica

Sentiamo spesso parlare di come il nostro pianeta sia sommerso dalla plastica. Ma quella che vediamo è solo la punta dell’iceberg, perché ancora più insidiosi sono quei frammenti dalle dimensioni piccolissime che prendono il nome di microplastiche (particelle con diametro inferiore a 5 millimetri) e nanoplastiche (inferiori ai 100 nanometri).

Vengono definite microplastiche primarie quei piccoli frammenti di plastica che sono prodotte in piccole dimensioni e vengono utilizzati per esempio nei cosmetici (in scrub, dentifrici ecc.) o in vernici, paste abrasive, fertilizzanti. Si chiamano secondarie, invece, le microplastiche la cui dimensione ridotta è causata dal degrado di oggetti più grandi, come bottiglie, contenitori per il cibo, attrezzature per la pesca, tessuti sintetici.

Le microplastiche sono praticamente ovunque: sono state rinvenute nei mari di tutto il mondo, a tutte le latitudini, e in pressoché tutti gli organismi analizzati che li popolano (pesci, molluschi, plancton compreso). È inevitabile, perciò, chiedersi se dal plancton, che costituisce la base della catena alimentare marina, le microplastiche finiscano sulla nostra tavola.

La risposta è sì, e non solo nel pesce che mangiamo. Ne sono state trovate tracce nello zucchero e nel sale da cucina, nella frutta e nella verdura. E anche nell’acqua che beviamo (sia in bottiglia sia del rubinetto).

Non bastasse, le microplastiche sono presenti anche nell’aria. Così, complici vento, pioggia, neve, possono raggiungere le zone più remote e scarsamente abitate del pianeta. I risultati di uno studio a guida francese pubblicati sulla rivista Current Opinion in Environmental Science & Health nel 2018 hanno evidenziato, per esempio, che la degradazione delle fibre tessili sintetiche produce microplastiche fibrose che possono essere inalate. È probabile, scrivono gli autori, che la maggior parte si fermino nelle vie aeree superiori grazie all’azione di ciglia e muco, tuttavia non si può escludere che alcune raggiungano i polmoni. Il punto è che le conoscenze a nostra disposizione sono ancora limitate e c’è bisogno di ulteriori studi per valutarne gli effetti sulla salute umana e arrivare a delle conclusioni.

Cibo, aria, pelle: le vie di accesso per le microplastiche

In una review pubblicata sulla rivista Science of The Total Environment, alcuni ricercatori portoghesi ribadiscono che le microplastiche sono contaminanti ambientali praticamente onnipresenti, ai quali anche noi esseri umani siamo esposti, e che, di fatto, l’esposizione può avvenire sia per ingestione sia per inalazione o per contatto cutaneo. In condizioni di alta concentrazione o alta suscettibilità individuale, riportano i ricercatori, le microplastiche potrebbero causare lesioni infiammatorie, stress ossidativo, e persino cancerogenicità e mutagenicità. Tuttavia, spiegano gli autori, è ancora troppo poco ciò che sappiamo per certo sulla patogenesi e gli effetti dell’esposizione a questi contaminanti ambientali per trarre conclusioni affrettate e suscitare allarme.

Nonostante l’’assunzione di microplastiche tramite la dieta sia sostenuta da svariate evidenze riassunte in una review del 2020 a firma italiana sull’International Journal of Environmental Research of Public Health, la frazione di particelle in grado di raggiungere effettivamente gli organi e le membrane cellulari sembrerebbe essere limitata. Una volta ingerite, solo le particelle più piccole di 2 micron (cioè milionesimi di metro) sembrano infatti permeare nel tratto gastrointestinale.

Quante microplastiche invece accedono al nostro corpo per inalazione? Secondo i risultati di uno studio pubblicati su Environmental Pollution, mangiando una porzione di cozze si ingeriscono meno fibre sintetiche di quante se ne inalano attraverso la polvere domestica durante lo stesso pasto. In generale, come indicato nella review citata in precedenza e pubblicata sull’International Journal of Environmental Research of Public Health, la diffusa presenza di microplastiche nell’aria potrebbe portare a stress respiratorio, effetti citotossici e infiammatori e malattie autoimmuni.

Altra via di esposizione alle microplastiche, spiegano gli autori, è il contatto con la pelle attraverso l’acqua (cioè mentre ci laviamo) o per l’utilizzo di scrub e altri cosmetici. Tuttavia, solo particelle di dimensioni inferiori a 100 nanometri (o miliardesimi di metro) possono penetrare lo strato corneo (quello più superficiale dell’epidermide), quindi è improbabile che l’assorbimento di microplastiche possa avvenire attraverso la pelle.

Gli autori della review citata sopra ipotizzano quindi che solo le microplastiche inferiori a 20 micron siano in grado di penetrare all’interno degli organi e solo quelle di circa 10 micron potrebbero riuscire ad attraversare le membrane cellulari. Ma, di fatto, il destino e gli effetti delle microplastiche sul corpo umano sono ancora controversi e non chiari.

Niente allarmismi: servono più studi

Lo scorso anno è stata l’Organizzazione mondiale della sanità a ribadire il bisogno di approfondire le conoscenze in merito all’impatto delle microplastiche sulla nostra salute. In particolare, nel presentare l’analisi Microplastics in drinking-water, l’OMS ha sottolineato che è improbabile che le microplastiche più grandi di 150 micron vengano davvero assorbite dal corpo umano e, sebbene le informazioni in merito alla loro presunta tossicità siano ancora frammentarie, nessun dato consistente legittima preoccupazioni. Anche se, ovviamente, è necessario saperne di più.

Definitivo invece l’invito dell’OMS a ridurre l’inquinamento da plastica, in tutto il mondo, sia per diminuire le possibilità di esposizione sia per salvaguardare l’ambiente.

Simona Regina
Giornalista professionista, lavora come freelance nel campo della comunicazione della scienza. Scrive di salute, innovazione e questioni di genere e al microfono incontra scienziati e scienziate per raccontare sfide e traguardi della ricerca. People Science & the City è tra le trasmissioni che ha curato e condotto su Radio Rai del Friuli Venezia Giulia. Elogio dell'errore la sua ultima avventura estiva. Su Rai Play Radio il podcast che ha realizzato per Esof2020 che racconta Trieste città europea della scienza: Magazzino 26. Ogni anno si unisce all'equipaggio del Trieste Science+Fiction Festival per coordinare gli Incontri di futurologia, quest'anno approdati sul web come Mondofuturo.
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