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Gli effetti dell’inquinamento atmosferico sulla nostra salute

Polveri sottili e inquinanti dell’aria sono importanti cause di malattia in Europa. L’aria inquinata provoca problemi respiratori e cardiovascolari, che colpiscono soprattutto le fasce più deboli della popolazione, come bambini e anziani. Ecco l’entità del problema, dati alla mano.

L’inquinamento atmosferico è considerato essere tra le cause rilevanti di mortalità in Europa. Sono oltre 400.000 i cittadini che perdono la vita prematuramente ogni anno a causa dell’aria insalubre che respirano, secondo dati contenuti nel rapporto annuale dell’Agenzia europea dell’ambiente sulla qualità dell’aria in Europa. Solo nel nostro Paese, a causa dell’esposizione al particolato atmosferico (PM2,5) i decessi prematuri che si sono registrati nel 2018 sono stati circa 52.000, quelli legati al biossido di azoto (NO2) circa 10.000 e quelli legati all’ozono (O3) circa 3.000. Gli inquinanti atmosferici sono uno dei principali fattori scatenanti dello sviluppo di malattie croniche, e continuano ad avere un impatto significativo sulla salute della popolazione europea, soprattutto quella delle aree urbane. In particolare, le persone appartenenti ai gruppi socio-economici più svantaggiati, gli anziani, i bambini e coloro che hanno altri problemi di salute sono i più vulnerabili agli effetti della cattiva qualità dell’aria.

Quali inquinanti, e da dove provengono

I potenziali effetti dell’aria inquinata sulla salute variano a seconda della composizione e della concentrazione dei vari componenti. Sono ritenuti fra i maggiori responsabili delle complicazioni sanitarie il particolato fine (in particolare, i cosiddetti PM2,5 e PM10), il biossido d’azoto (NO2) e l’ozono (O3), che variano in concentrazione e presenza in base alle aree geografiche e alla vicinanza o meno ai centri urbani o ai grossi centri industriali. Questi inquinanti hanno origine perlopiù dal trasporto urbano, dal riscaldamento residenziale e dalle attività industriali, compreso il settore agroindustriale. Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, il trasporto urbano è responsabile della produzione del 30 per cento circa di particolato fine e della maggior parte del biossido di azoto e del benzene nelle città.

Per misurare la concentrazione di queste componenti nell’aria si utilizzano delle stazioni di rilevamento, oltre alle immagini satellitari fornite dal servizio di monitoraggio europeo “Copernicus atmosphere monitoring service (Cams), che restituiscono un’istantanea sempre più accurata della qualità delle componenti dell’atmosfera.

Un segnale positivo

I dati rimangono preoccupanti, ma secondo l’ultimo rapporto Air quality in Europe – 2020 (pubblicato a novembre 2020) le politiche europee, nazionali e locali, e le riduzioni delle emissioni nei settori chiave, hanno determinato un progressivo miglioramento della qualità dell’aria in tutta Europa.

“Dal 2000 le emissioni dei principali inquinanti atmosferici, compresi gli ossidi di azoto (NOx), emessi dai mezzi di trasporto, sono diminuite in misura significativa, malgrado la crescente domanda di mobilità e il conseguente aumento delle emissioni di gas a effetto serra del settore” si legge in una nota rilasciata dall’Agenzia. “Anche le emissioni inquinanti determinate dall’approvvigionamento energetico hanno evidenziato un marcato calo, mentre i progressi nella diminuzione delle emissioni derivanti da edilizia e agricoltura sono stati lenti” sottolinea inoltre il documento. Questo ha portato a una riduzione dei decessi correlati all’inquinamento atmosferico, che nel 2018 sono stati infatti circa 60mila in meno rispetto a quelli registrati nel 2009. Per quanto riguarda, nello specifico, le morti premature legate al biossido di azoto, la riduzione è stata ancora maggiore, pari, nell’ultimo decennio, a circa il 54 per cento.

Qualità dell’aria e Covid-19

Guardando al 2020, ciò che sappiamo per certo è che le limitazioni negli spostamenti e nel trasporto di merci imposte da molti Paesi nei primi mesi dell’anno hanno contribuito a ridurre la concentrazione di inquinanti nell’aria. A livello europeo, il programma Copernicus ha registrato a fine marzo una riduzione fino al 60 per cento della concentrazione di alcuni di queste componenti in molti Paesi europei. In particolare, nelle aree generalmente più inquinate del nord Italia, il Cams ha registrato una riduzione settimanale del 10 per cento circa delle concentrazioni superficiali di biossido di azoto a partire da metà febbraio. Per quanto riguarda invece quelle del PM10 (pur tenendo conto che valutazioni precise in questo caso sono più complicate, perché il particolato ha un comportamento fisico e chimico diverso dal biossido di azoto, meno persistente nell’atmosfera), la riduzione avrebbe raggiunto il 20 per cento circa in alcune aree europee.

In questi mesi sono numerosi gli studi che stanno inoltre indagando la possibile relazione tra l’esposizione di lungo periodo agli inquinanti atmosferici e la gravità delle infezioni nei pazienti con Covid-19. In Italia, per esempio, è stato lanciato un progetto di ricerca denominato “Pulvirus” a cui collaborano l’Enea, l’Istituto superiore di sanità (Iss) e il Sistema nazionale per la protezione ambientale (Snpa), con l’obiettivo di indagare su un possibile legame fra inquinamento atmosferico e diffusione della pandemia. Un importantissimo banco di prova per lo studio sia delle interazioni fisico-chimiche e biologiche fra polveri sottili e virus, sia degli effetti del blocco dell’attività e degli spostamenti di marzo e aprile scorsi sull’inquinamento atmosferico e sui gas serra.

Rudi Bressa
Giornalista ambientale e scientifico, collabora con varie testate nazionali e internazionali occupandosi di cambiamenti climatici, transizione energetica, economia circolare e conservazione della natura. È membro di Swim (Science writers in Italy) e fa parte del board del Clew Journalism Network. I suoi lavori sono stati supportati dal Journalism Fund e dalI'IJ4EU (Investigative Journalism for Europe).
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