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I cambiamenti climatici danno la spinta alla diffusione dei virus

Un gruppo di ricercatori, al lavoro su come i mammiferi migrano in risposta all’aumento della temperatura globale, stima che potrebbero essere migliaia, entro la fine del secolo, i salti di specie pericolosi per l’umanità.

I cambiamenti del clima causati dalle attività umane influenzano negativamente la salute non solo umana, con modalità che gli studi stanno progressivamente mettendo in luce. La pandemia di Covid-19 ha, in particolar modo, richiamato l’attenzione sui salti di specie (in inglese, spillover) compiuti da molti patogeni, SARS-CoV-2 incluso, che sono alla base di numerose epidemie della storia.

Colin J. Carlson e Gregory F. Albery, del Dipartimento di biologia della Georgetown University di Washington DC, insieme ad altri scienziati, hanno di recente studiato l’aumento del rischio di trasmissione di malattie da altre specie animali agli esseri umani, in gergo zoonosi, come conseguenza dell’aumento della temperatura globale. I risultati sono stati pubblicati in forma preliminare ad aprile 2022 sulla rivista Nature.

Un’autostrada per i virus

I tipi di virus che al momento hanno come serbatoio altre specie, ma che hanno potenzialmente la capacità di infettare gli esseri umani, sono stimati in diverse migliaia. La crisi ambientale e climatica sta già causando un aumento di contatti tra specie animali precedentemente separate da barriere geografiche. I ricercatori ritengono che tali contatti aumenteranno ulteriormente, con un conseguente maggior rischio di salti di specie.

Nello studio i ricercatori hanno preso in esame 3.139 specie di mammiferi e, attraverso un lavoro di simulazione ampio e rigoroso durato cinque anni, hanno ipotizzato come tali specie si sarebbero spostate entro il 2070 in conseguenza dei cambiamenti climatici e dello sfruttamento del suolo. Il quadro che si prospetta è critico: molti habitat si riconfigureranno. I ricercatori prevedono che i contatti inediti tra le specie avverranno soprattutto in aree densamente popolate ad alta quota, in Asia e in Africa. Essi potranno essere occasione di nuovi salti di specie, portando nell’arco di un cinquantennio a circa 15.000 nuovi tipi di virus trasmessi tra specie diverse dalle attuali.

Assisteremo, quindi, alla formazione di nuovi punti caldi di diffusione virale, che costituiranno altrettante opportunità per possibili pandemie. Secondo i ricercatori, la crisi climatica contribuirà a renderci tutti più malati. Anzi, secondo quanto emerge dallo studio, il processo è già in atto. Ammesso che si riesca a mantenere l’aumento medio delle temperature globali al di sotto dei 2 °C nel nostro secolo, ciò non cambierà in misura sostanziale i tassi di diffusione dei virus.

Il ruolo dei pipistrelli

Diverse specie animali possono essere serbatoi di patogeni in grado di fare salti di specie pericolosi per l’umanità. Tra i più noti e studiati vi sono i pipistrelli, le cui grandi popolazioni (si stima siano circa il 20 per cento dei mammiferi) e la capacità di volare favoriscono gli spostamenti loro, e dei virus che ospitano, da un’area geografica all’altra. Ma la responsabilità non è propriamente di questi animali, che se lasciati in pace probabilmente non ci darebbero alcun fastidio. Molti scienziati da tempo sottolineano che l’invasione degli habitat dei pipistrelli e più in generale della fauna selvatica da parte degli esseri umani con le loro attività, tra cui il commercio e consumo di selvaggina, favoriscono la trasmissione di pericolosi patogeni alla specie umana, innescando epidemie.

I salti di specie possono avvenire anche in luoghi diversi dai mercati in cui si vendono animali selvatici o la loro carne. Per esempio in allevamenti o fabbriche costruiti in luoghi vicini a grandi popolazioni di pipistrelli o di altri animali. Come è stato sottolineato dagli scienziati che hanno commentato lo studio, non è possibile quantificare con precisione i rischi diretti per gli esseri umani, che sono influenzati da un complesso intreccio di fattori difficili da prevedere, ma lo scenario generale prospettato è senz’altro plausibile.

Cosa fare?

La prima strada indicata dai ricercatori per evitare il moltiplicarsi di ondate virali è la sorveglianza attiva dei nuovi patogeni, soprattutto nelle aree in cui l’insieme dei fattori presi in considerazione dagli studi indica una maggiore probabilità dell’incontro tra specie, con conseguenti “spillover”. In generale, le zone tropicali sono particolarmente interessate da rapidi aumenti della temperatura e dall’emergere di zoonosi. I dati raccolti andranno incrociati con quelli sulle popolazioni animali e sui cambiamenti relativi alle loro aree di insediamento in seguito alle migrazioni.

Oltre a sviluppare progetti per il monitoraggio dei patogeni, è importante lavorare sui fattori all’origine della crisi climatica in atto. Al centro della riflessione sarebbe opportuno porre un principio e un approccio noto come One Health, che ha acquisito un rilievo ancora maggiore dopo la pandemia da Covid-19. Non è infatti possibile proteggere la salute umana senza considerare la sua strettissima connessione con quella degli altri animali e più in generale dell’ambiente. Come sottolineato dalle autorità sanitarie nazionali, europee e internazionali, specialisti in discipline diverse devono sostenere, con un approccio integrato, le comunità umane nell’impegno a migliorare le condizioni generali del pianeta e di tutte le specie che lo abitano.

Anna Rita Longo
Insegnante e dottoressa di ricerca, membro del board dell’associazione professionale di comunicatori della scienza SWIM (Science Writers in Italy), socia emerita del CICAP (Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sulle Pseudoscienze), collabora con riviste e pubblicazioni a carattere scientifico e culturale.
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