Sempre più persone stanno aderendo alle iniziative di scienza partecipata, sia per dare una mano nell’affrontare l’emergenza sanitaria, sia portando avanti progetti di ricerca e monitoraggio di tutt’altro genere, magari dalla finestra o dal balcone di casa.
Se moltissime attività scientifiche (e non solo) che dovevano essere portate avanti necessariamente sul campo sono state rallentate o completamente bloccate dall’arrivo dell’emergenza sanitaria, c’è un filone di ricerca che sembra addirittura avere beneficiato delle misure di contenimento anti Covid-19. Parliamo della scienza partecipata, o “citizen science” per dirla all’inglese, un fenomeno che ha visto dalla primavera del 2020 in poi una vera e propria impennata di adesioni, tanto da raggiungere traguardi in termini di risultati e di diffusione impensabili negli anni precedenti.
Dal punto di vista sociale, il fenomeno è abbastanza facile da spiegare. Da una parte, molte persone hanno sentito il bisogno di rendersi in qualche modo utili alla società durante una fase critica come la pandemia, dando il proprio personale contributo a reperire informazioni e a mettere insieme statistiche che potessero essere d’aiuto alle autorità preposte per capire meglio come combattere il Covid-19.
Inoltre, in tanti hanno approfittato del maggior tempo trascorso tra le mura di casa per partecipare a esperimenti o raccolte dati, anche solo osservando i dintorni dalle finestre della propria abitazione, oppure guardando immagini digitali dai propri dispositivi. Gli ambiti di ricerca dei progetti sono i più svariati, dalle questioni ambientali allo spazio, dall’avifauna all’inquinamento acustico.
Le iniziative legate alla pandemia
Fin dai primi giorni di emergenza sanitaria, alcune istituzioni scientifiche hanno pensato di avviare iniziative di “citizen science”. Per esempio, l’università Carnegie Mellon in Pennsylvania ha creato un progetto per fare previsioni sulla diffusione del contagio: anziché basarsi sulle tecniche di intelligenza artificiale e “machine learning” a disposizione dell’università, rodate per l’influenza e poche altre patologie, le analisi predittive hanno utilizzato le informazioni fornite dalle persone comuni, sulla base semplicemente del loro intuito. Anche se ciascuna previsione, presa singolarmente, non era molto accurata, considerandole tutte insieme i ricercatori sono riusciti a elaborare un modello capace di mostrare con un certo anticipo, e con inaspettata accuratezza, come si sarebbe diffuso il contagio.
Completamente diversa, per finalità e per metodo, è stata invece l’esperienza di Foldit, un gioco online gratuito nel quale le persone hanno potuto contribuire alla messa a punto di farmaci contro Covid-19, cercando di costruire strutture proteiche virtuali in tre dimensioni che potessero impedire al Sars-Cov-2 di penetrare all’interno delle cellule. Un’idea, nata all’università di Washington, che ha potuto approfittare di tantissime persone inesperte di biologia ma ferratissime con i puzzle. In questo modo si è potuta operare una selezione delle proteine candidate, riducendo lo sforzo computazionale necessario per compiere quella stessa mansione. Curiosamente, anche se l’iniziativa è statunitense, la maggior parte dei partecipanti è arrivata dall’Europa.
Qualche altro esempio? Il Covid symptom tracker, ideato al King’s College di Londra, che è stato usato per mettere insieme statistiche affidabili sui più diffusi sintomi dovuti all’infezione virale, soprattutto nel Regno Unito. Oppure Covid-19 citizen scienze, un’app in cui si possono inserire dati quantitativi sui propri parametri vitali nel corso della malattia, dalla temperatura corporea al peso, fino alle ore di sonno e alla pressione sanguigna.
Infine, un’iniziativa promossa dall’American Lung Association ha invitato i cittadini – in particolare gli abitanti della California – a sottoporre le proprie domande in merito alla ricerca, raccogliendo oltre 2.000 adesioni e fornendo agli scienziati nuove idee su aspetti della malattia da indagare.
Nel solo sito citizenscience.org si possono trovare decine di altri esempi di ricerche di questo tipo, come l’app per individuare i luoghi a più alto rischio di contagio in Israele o il progetto di collaborazione online tra docenti impegnati nella didattica a distanza per raccogliere nuove evidenze in materia di scienze della formazione. E moltissime città italiane aderiscono ogni primavera – la stagione migliore per la citizen science, soprattutto quando si tratta di scienze naturali – alla City Nature Challenge, una raccolta di dati sulla fauna urbana, che si tiene sempre tra aprile e maggio.
Novità italiane di scienza partecipata
Anche nel nostro Paese non sono mancate le iniziative di recente ideazione. Per esempio dalla primavera 2020 è nata Scienza sul balcone, che propone esperimenti collettivi per raccogliere informazioni sull’inquinamento luminoso e acustico nelle nostre città, cui si può partecipare senza uscire di casa (per chi non ha un balcone, va bene anche una finestra). Come? Attraverso il proprio smartphone, utilizzando la videocamera per misurare quanto è luminoso il cielo notturno e il microfono per quantificare il brusio urbano.
Più o meno in contemporanea, a Ferrara, il Museo civico di storia naturale ha avviato Natura alla finestra, per provare a capire quali e quanti animali si possono avvistare dalla propria abitazione e quali specie si fossero avvicinate di più ai centri abitati o alle case nelle aree rurali.
MySnowMaps è invece un modo per monitorare la quantità di neve caduta nelle varie aree del nostro paese nel corso del tempo, condividendo informazioni utili tra escursionisti, mentre Litologia partecipativa si occupa di raccogliere e classificare le caratteristiche di campioni di roccia delle colline grossetane.
Esempi dal mondo
Le iniziative a oggi attive a livello globale sono così tante che se ne potrebbe fare un’enciclopedia. Una piattaforma sostenuta dalla Comunità Europea ne raccoglie più di 160, moltissime delle quali dedicate ad animali e piante. Da un progetto portoghese per monitorare le piante infestanti a uno irlandese per tenere sott’occhio le popolazioni di pipistrelli, ce n’è davvero per tutti i gusti.
Tra le piattaforme che hanno avuto molto successo ultimamente c’è la statunitense eButterfly, un’applicazione da utilizzare per segnalare gli avvistamenti di farfalle. Oppure Nature’s notebook, ideato per descrivere e comprendere come cambia la vita di animali e piante durante il ciclo delle stagioni, e di conseguenza come potrebbe modificarsi a causa del riscaldamento globale e del cambiamento climatico. Per chi vuole divertirsi a fare l’archeologo, invece, è stato ideato GlobalXplorer, da utilizzare per individuare nelle immagini della terra riprese dai satelliti dei potenziali siti di interesse storico.
Al di là delle peculiarità di ciascuna iniziativa, l’entusiasmo nei confronti del mondo della scienza fatta dai cittadini, generato dalla pandemia, probabilmente resterà per gli anni a venire. Sempre più persone si divertono a dare il loro piccolo contributo alla ricerca pur da non esperti. Gli scienziati sono sempre più affamati di big data che arrivino direttamente dai cittadini, utilissimi per la capillarità di raccolta, e i sistemi di analisi e validazione dei dati si fanno via via maggiormente accurati, rendendo le informazioni dei volontari sempre più utili ed eliminando il rumore di fondo. La citizen science potrebbe rivelarsi una via da percorrere per rinsaldare quel rapporto di fiducia tra scienza e società che a tratti la pandemia stessa ha messo in crisi.