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Cuori infranti dal riscaldamento globale

il riscaldamento globale contro la monogamia e l'amore degli albatri

L’aumento della temperatura delle acque e la riduzione della velocità dei venti sembrano mettere a rischio la stabilità della vita di coppia degli albatri, una specie di uccelli nota per la duratura monogamia. Costretti a spingersi a distanze maggiori del solito, in cerca di cibo, vanno incontro a problemi di vario tipo, tra cui difficoltà riproduttive con il partner. Molte altre specie potrebbero rischiare lo stesso complicato destino. 

Persino San Valentino patisce per il cambiamento climatico. Tra le conseguenze meno conosciute del riscaldamento globale e dell’inquinamento ambientale – ma il cui impatto è sottovalutato –ci sono anche i “divorzi” e le “separazioni” in specie conosciute per la monogamia. A causa delle più difficili condizioni di vita, stanno infatti incontrando alcune difficoltà riproduttive. È il caso degli albatri, animali fedeli al partner per eccellenza, che stanno soffrendo in particolare per la diminuzione dell’intensità dei venti e per il riscaldamento delle acque del pianeta.

Lo stress fisiologico che ne deriva, nonché la necessità di compiere viaggi sempre più lunghi per procacciarsi il cibo, mettono a repentaglio la loro capacità di riprodursi e di conseguenza la solidità delle coppie. Come mostrato dai risultati di uno studio internazionale, pubblicati a fine novembre su Proceedings of the Royal Society B, il rischio è che siano sempre di più le specie costrette ad abbandonare la monogamia per continuare a riprodursi. Le conseguenze per la fauna potrebbero essere piuttosto serie. Insomma, non esattamente la migliore delle premesse per una celebrazione dell’amore romantico e degli innamorati. Ma partiamo dall’inizio.

La monogamia è nel DNA di moltissimi uccelli, letteralmente

La monogamia sociale è particolarmente diffusa tra gli uccelli: circa il 92 per cento delle specie incluse in questa classe di animali rimane molto a lungo con il proprio partner, a volte per tutta la vita. Tra i mammiferi sono rigorosamente monogami solo i pipistrelli, i cani, le volpi, i gibboni, i castori del nord America, ratti e topi, alcune specie di foche e qualche antilope africana. Il motivo per cui tra i volatili la monogamia è così frequente è che la prole ha bisogno di entrambi i genitori per sopravvivere, e l’accudimento condiviso dei piccoli favorisce la stabilità dei partner: dal punto di vista evolutivo tradimenti e separazioni sono poco convenienti.

Così la maggior parte delle specie di uccelli sono abituate a condividere con il partner gli spazi per tutta la vita, regolando i comportamenti in modo da mantenere vivo il legame. Evidenze scientifiche dimostrano che questo atteggiamento sembra essere legato non solo al maggiore successo riproduttivo in sé, ma persino ad aspetti genetici. Risultati in questo senso sono emersi in uno studio condotto da un gruppo di biologi dell’università del Texas: animali monogami molto diversi sembrano presentare alcune analogie genetiche. In particolare, sono stati individuati 24 geni associati a questo tipo di comportamento, che rappresentano una sorta di “firma” comune presente nel DNA di specie anche molto distanti dal punto di vista filogenetico.

Tra gli animali simbolo della monogamia spiccano, appunto, gli albatri, appartenenti all’ordine dei Procellariformi, i quali formano coppie che durano tutta la vita, talvolta anche oltre la soglia delle “nozze d’oro” dei 50 anni. Questi enormi uccelli marini, lunghi fino a 120 centimetri e con una massa che può raggiungere i 12 chilogrammi, una volta raggiunta la maturità (intorno ai 3 o 4 anni) scelgono un partner sessuale e sociale al quale rimangono legati per tutti gli anni a seguire. Una volta terminato il periodo di corteggiamento, è il maschio che si occupa della costruzione del nido sulla terraferma, dove l’uovo viene deposto e trascorre il periodo di incubazione. Durante questo lasso di tempo i genitori lo accudiscono a turno e, nonostante l’albatros sia in grado di volare per distanze notevoli, torna sempre a “casa” dal partner.

Perché il riscaldamento globale mette la monogamia a rischio?

Il riscaldamento globale sembra mettersi di traverso a questo equilibrio. Il campanello di allarme arriva dalla comunità scientifica: il tasso di separazione degli albatri si impenna notevolmente quando la temperatura delle acque cresce. La già citata ricerca, i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista della Royal Society britannica, riguardano l’albatros sopracciglio nero (Thalassarche melanophris) che si riproduce a New Island, nelle Falkland, un gruppo di isole britanniche nell’oceano Atlantico meridionale. In quell’area, dove sono presenti circa 15.000 coppie di animali di questa specie, sono state condotte analisi dettagliate a partire dal 2003 e fino al 2019, registrando ogni anno, oltre ai dati ambientali, anche parametri oggettivi per misurare il livello di fedeltà dei partner e i tentativi di riproduzione.

Dall’analisi è emerso che negli anni in cui la temperatura superficiale dell’acqua oceanica era più alta, il tasso di “divorzio” ha raggiunto valori particolarmente elevati, con picchi dell’8 per cento, contro l’1-3 per cento che di solito caratterizza questa specie. Un altro elemento che, secondo i ricercatori, è associato a queste separazioni è la diminuzione dell’intensità del vento, corresponsabile dell’aumento della temperatura superficiale dell’acqua. In sintesi, le condizioni ambientali avverse rendono più complicata la vita degli albatri: i pesci, che sono la principale fonte di nutrimento, scarseggiano, e di conseguenza è necessario allontanarsi per procacciarsi il cibo. Ciò rende più difficile per gli animali ritornare a “casa” per il periodo dell’accoppiamento, e fa aumentare per questi uccelli sia lo stress, sia la difficoltà di accudire la prole.

Ma più di tutto, la causa principale della separazione tra i partner sembra essere stata il fallimento riproduttivo, la difficoltà che induce gli albatri alla poligamia come risposta all’istinto di riprodursi. Il “divorzio” sembra dunque da interpretare come una strategia adattiva. Secondo i ricercatori, questi fenomeni sono tutti fra loro collegati, in quanto anche la difficoltà nella fecondazione deriverebbe dallo stress fisiologico indotto dalle condizioni ambientali non favorevoli.

Un ulteriore elemento da non sottovalutare riguarda il crescente numero di individui “vedovi”: la maggiore mortalità causata dalle condizioni climatiche avverse rende molto più alta la disponibilità di compagni alternativi “single”, e di conseguenza riduce lo stress e la difficoltà nel cercare un nuovo partner riproduttivo. Se prima cambiare partner poteva apparire come un inutile dispendio di energie, visto che la coppia stabile soddisfaceva i bisogni alimentari, riproduttivi e di accudimento della prole, ora cambiare risponde alle mutate condizioni. Interpretati in un senso più generale, i dati emersi dallo studio mettono in luce gli effetti dirompenti del cambiamento climatico e come questi siano in grado di modificare abitudini consolidate almeno da quando si studiano queste specie. Gli effetti a medio e lungo termine non sono facili da prevedere.

Un rischio che coinvolge molte specie: da dove iniziare?

Questi risultati non sono rilevanti solamente per gli albatri, ma rappresentano un punto di partenza per indagare in generale l’incidenza dei casi di “divorzio” nelle specie monogame in seguito ai cambiamenti climatici. Per gli autori di questo e di altri studi simili, sempre più coppie di animali tradizionalmente “fedeli” saranno predisposte alla poligamia proprio a causa delle condizioni ambientali mutate. Il cambio di abitudini – per avere successo – richiede però una capacità adattiva che non tutte le specie possiedono, e per questo potrebbe provocare cali demografici ed estinzioni.

Tenendo conto che la temperatura media globale è destinata a crescere ancora almeno per un paio di decenni (nel migliore degli scenari), è ritenuto cruciale prestare grande attenzione anche a questo effetto indiretto del riscaldamento globale. Il compito della ricerca in questa fase è non solo analizzare il fenomeno, ma anche individuare gli animali più a rischio, così da provare a salvaguardarne il più possibile gli habitat. Lo scopo ultimo non è tanto tutelare la monogamia di per sé, quanto garantire la sopravvivenza delle specie e ridurre al minimo le estinzioni.

Gianluca Dotti
Giornalista scientifico freelance e divulgatore, si occupa di ricerca, salute e tecnologia. Classe 1988, dopo la laurea magistrale in Fisica della materia all’università di Modena e Reggio Emilia ottiene due master in comunicazione della scienza, alla Sissa di Trieste e a Ferrara. Libero professionista dal 2014 e giornalista pubblicista dal 2015, ha tra le collaborazioni Wired Italia, Radio24, StartupItalia, Festival della Comunicazione, Business Insider Italia, Forbes Italia, OggiScienza e Youris. Su Twitter è @undotti, su Instagram @dotti.it.
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