Il successo dei social media degli ultimi vent’anni sembra essere stato accompagnato da un aumento dei casi di depressione e ansia soprattutto tra i giovani. I risultati di diversi studi suggeriscono che tra i due fenomeni potrebbe esserci una correlazione, ma per capire se ci sia un nesso di causa-effetto bisogna considerare molti fattori.
Una notifica WhatsApp, qualche reel su Instagram durante le pause, un approfondimento di Barbero che ci aspetta su YouTube. Sui social media trascorriamo, in media, quasi 2 ore e mezza al giorno. Negli ultimi vent’anni, i social sono diventati parte integrante delle nostre vite: aiutano a rimanere in contatto con i propri cari e con gli amici, sono un modo per passare il tempo, informarsi ed esprimersi, nonché importanti strumenti per trovare lavoro e incontrare nuovi amici o futuri partner. Ma i risultati di alcuni studi suggeriscono che potrebbe esserci un’associazione tra la loro salita alla ribalta e un aumento di casi di depressione, ansia e altri problemi di salute mentale, in particolare tra i più giovani. Secondo i dati di uno studio condotto negli Stati Uniti su oltre 6000 adolescenti, sarebbero a rischio soprattutto i bambini e gli utenti che trascorrono online più di 3 ore al giorno.
Ma occorre ancora approfondire il rapporto tra l’uso dei social media e i problemi di salute mentale. Infatti, innanzitutto occorre considerare che probabilmente l’impatto delle tecnologie varia da persona a persona e in base all’utilizzo che ne viene fatto. Per esempio, persone che tendono a rimuginare sui pensieri negativi sembrano subire maggiori effetti avversi dalla fruizione dei contenuti sui social media, secondo alcuni studi analizzati in un articolo del 2023 sulla rivista Online Information Review. Inoltre, anche se social media e problemi di salute mentale risultassero essere correlati, potrebbe non esserci un rapporto di causa ed effetto: potrebbero essere solo due fenomeni che sono andati di pari passo senza influenzarsi. Oppure potrebbero essere entrambi legati a fenomeni sociali o ambientali comuni, e quindi potrebbero essere entrambi conseguenza di qualcos’altro. In ogni caso, conoscere i diversi fattori in gioco potrebbe consentire di agire per prevenire possibili problemi.
Il primo social network, “Six Degrees”, è nato nel 1997. Era il primo mezzo di comunicazione a distanza che consentiva di creare un profilo personale, specificare liste di persone con cui connettersi e inviare messaggi privati. In pochi anni raggiunse i 3 milioni di utenti, ma negli anni Duemila dovette cedere il passo ad altre piattaforme, come Friendster, MySpace e LinkedIn (2002), Facebook (2004) e Twitter (2006).
Oggi, gli utenti dei social media nel mondo sono stimati in circa 5 miliardi: più del 60 per cento degli esseri umani sembra usare i social almeno una volta al mese, in genere 6 o 7 piattaforme diverse (principalmente, Facebook, YouTube, WhatsApp, Instagram, WeChat e TikTok). A utilizzarli maggiormente sono i giovani, e potrebbero anche essere le persone che ne subiscono le conseguenze più negative, soprattutto tra i più piccoli. Infatti, l’esposizione a telefoni, tablet e computer nei primi anni di vita può essere problematica sotto molti punti di vista perché può interferire con lo sviluppo cognitivo, linguistico ed emotivo dei bambini, portando anche problemi come depressione e ansia.
In Italia, secondo i dati ISTAT, ogni giorno si collegano a Internet più del 40 per cento dei bambini tra i 6 e i 10 anni e oltre il 90 per cento dei ragazzini tra gli 11 e i 17 anni. Più di 1 bambino su 3 tra gli 11 e i 13 anni ha almeno un profilo social: anche se per la maggior parte di queste piattaforme è necessario avere almeno 13 anni per iscriversi, tanti bambini inseriscono date di nascita false per entrarvi, complice anche la pressione sociale dei coetanei che già sono iscritti, e i controlli sembrano essere piuttosto scarsi.
Ma strumenti digitali di questo tipo entrano nelle vite dei giovani molto prima: secondo dati 2022 riportati dall’Istituto superiore di sanità, già intorno ai 2-5 mesi di vita circa il 5 per cento dei bambini guarda i cellulari, la televisione o altri schermi per almeno un’ora al giorno. Dati allarmanti: la Società italiana pediatria consiglia di evitare l’esposizione ai device per i bambini sotto i 2 anni e di limitarla a meno di un’ora al giorno tra i 2 e i 5 anni e a meno di 2 ore al giorno tra i 5 e gli 8 anni. Infatti, quanto più siamo piccoli, tanto più siamo ricettivi a ogni genere di stimoli. Uno sviluppo armonioso sembra richiedere, soprattutto nei primi mesi e anni di vita, interazioni fisiche con adulti e coetanei, la possibilità di sperimentare funzioni sensoriali e motorie, e di affrontare situazioni in cui ci esprimiamo e iniziamo a conoscere e regolare le emozioni.
Invece, come evidenzia un articolo pubblicato sull’Italian Journal of Pediatrics, l’uso di device per oltre 2 ore al giorno sembra essere associato a una maggiore incidenza di molti problemi di diversa natura,: dal sovrappeso a problemi comportamentali e di apprendimento, a difficoltà di linguaggio, fino a problemi alimentari e disturbi dell’umore, depressione inclusa. Problemi che possono peggiorare se i bambini sono lasciati a navigare in autonomia. Un’indagine del 2022, svolta dalla Società Italiana di Pediatria su 800 famiglie con bambini, mostra che a lasciare che i figli navighino senza supervisione sono circa il 26 per cento dei genitori di bambini tra gli 0 e i 2 anni, il 62 per cento di quelli tra i 3 e i 5 anni e il 95 per cento per i ragazzini tra gli 11 e i 15 anni. Ma navigare sui social espone grandi e piccoli ad alcuni rischi.
I social media non sono mai davvero gratuiti. Il tempo che trascorriamo online e i contenuti con cui interagiamo sono fonte di guadagno per chi possiede la piattaforma, principalmente perché siamo bersagli di pubblicità e altri contenuti per cui individui o aziende pagano affinché siano diffusi in modo mirato. Così, algoritmi e formati dei social sono pensati per imparare a raccogliere e apprendere informazioni su di noi e a farci stare collegati quanto più possibile, attraendoci, coinvolgendoci e compiacendoci con la proposta di contenuti simili a quelli che ci sono piaciuti.
Tra le chiavi del successo dei social c’è la dopamina, un neurotrasmettitore coinvolto, tra le altre cose, nel sistema della ricompensa, un insieme di circuiti cerebrali attivati da stimoli come per esempio il cibo, il sesso e diversi tipi di sostanze tra cui alcune droghe. Quando questi circuiti sono stimolati, proviamo un senso di piacere che ci induce a ripetere l’esperienza. Fino a portarci, in alcuni casi, alla dipendenza, perché ai picchi di dopamina seguono dei cali che possono far sentire in ansia o depressi. I social sono una fonte inesauribile di dopamina: ogni video di gattini, ogni like o condivisione che mostra l’approvazione altrui per un nostro pensiero o azione ci fa stare bene. Per alcuni può essere come vincere ogni minuto a una slot machine: una sensazione trascinante, che vorremmo continuare a provare ancora e ancora. Ma è molto più facile da ottenere di una vincita in un gioco d’azzardo. Così, è possibile che stare spesso sui social porti a una sorta di dipendenza, anche se, dal punto di vista clinico, al momento la dipendenza da social o da Internet non è riconosciuta ufficialmente come una patologia.
Tantissimi utenti, almeno 330.000 adolescenti tra i 15 e i 19 anni, mostrano sintomi che possono indicare un uso di Internet a rischio: quando non sono connessi provano sensazioni di malumore, irritabilità e infelicità. L’ansia di non poter usare il cellulare ha anche un nome: “nomofobia”, dall’inglese “no-mobile phobia”, paura di non avere il telefono. I dati sono riportati nella “Relazione annuale al Parlamento sul Fenomeno delle tossicodipendenze in Italia”, pubblicata nel 2023 a cura della Presidenza del Consiglio dei Ministri e del Dipartimento per le Politiche Antidroga.
Alcuni fenomeni tipici di Internet possono mettere a rischio la salute mentale di grandi e piccoli. Per esempio, i social media consentono un’esposizione all’informazione senza precedenti, data la rapidità e la quantità di contenuti che rendono possibile vedere e condividere. Negli ultimi anni abbiamo assistito a continue notizie di guerre, disastri naturali e pandemie, come documentato anche da una ricerca pubblicata sulla rivista Global Health nel 2021. L’esposizione è anche alimentata dal funzionamento degli algoritmi, che tendono a proporre i contenuti che fanno più presa, ossia quelli più drammatici, allarmisti e controversi. Notizie negative e di crisi globali possono alimentare stress, ansia e senso di impotenza, come illustrato nel rapporto “Protecting Youth Mental Health” a cura del U.S. Surgeon General’s Advisory.
Sui social sono particolarmente attivi utenti che tendono all’autolesionismo e raccontano sintomi, problemi e anche eventuali intenzioni suicidarie. Secondo alcuni dati pubblicati nel 2018 sull’Indian Journal of Psychiatry, questo potrebbe essere uno dei fattori per cui sembra esistere una correlazione tra l’uso dei social e un’aumentata tendenza al suicidio: persone fragili o già a rischio potrebbero trovare sia conferma delle proprie intenzioni e volontà sia esempi da emulare. Gli algoritmi sono però sempre più allenati a censurare contenuti di questo tipo. Altri studi, come riportato in un articolo del 2016 sulla rivista Early Intervention in Psychiatry, mostrano peraltro che online le persone possono invece trovare sollievo e conforto alla depressione, grazie a reti di amicizie che forniscono supporto e buoni consigli.
A peggiorare la salute mentale in relazione ai social media potrebbe essere anche il doppio ruolo di fruitori e autori, soprattutto per coloro che cercano di essere costanti nella produzione di contenuti. È il caso di chi crea contenuti per guadagnare, che può essere molto stressato perché deve realizzarne continuamente e interagire con gli altri, talvolta sacrificando il tempo da dedicare alle attività dal vivo. Anche una piccola percentuale di utenti giovanissimi è coinvolta nella produzione di contenuti realizzati per monetizzare, dalle foto ai video in diretta streaming, in determinati casi anche in collaborazioni pagate con aziende. Alcuni, perlopiù ragazze, offrono foto e video del proprio corpo per guadagnare tramite siti come OnlyFans – con motivazioni che includono la volontà di apparire, di essere incluse e di sapere quanto sono apprezzate. Situazioni che sottraggono benessere nell’immediato e sul lungo termine espongono a rischi per la sicurezza e l’identità.
Un altro fenomeno legato a stretto filo ai social network è il cyberbullismo, la possibilità di ricevere commenti negativi e offensivi, foto moleste, minacce e diffamazione. Secondo un articolo dell’agenzia AGI nel 2024, il problema sarebbe particolarmente rilevante tra gli 11 e i 13 anni e soprattutto tra le ragazzine e le persone non binarie, mentre a partire dai 15 anni circa il problema sembrerebbe avere un impatto minore, anche grazie alla maggiore consapevolezza, alla frequenza delle denunce e alla capacità di ignorare gli attacchi o di difendersi da parte delle vittime. Il fenomeno sembra in aumento, complice la crescente presenza dei piccoli sui social, anche se è difficile poter contare su dati certi, visto che questi vengono raccolti tramite valutazioni autoriferite.
Non sorprende scoprire che sui social media tendiamo a condividere ciò che vogliamo che gli altri vedano di noi, per scoprire interessi in comune o rappresentarci come preferiamo, come conferma un articolo pubblicato sul sito PennToday dell’Università della Pennsylvania. Per questo spesso va per la maggiore pubblicare contenuti come momenti felici con partner e amici, successi personali o professionali, vacanze con sfondi eccezionali, automobili e vestiti sfarzosi. A cui si aggiungono gli influencer e le aziende con le loro pubblicità vivaci. Questa ostentazione di positività, secondo un articolo pubblicato nel 2023 sulla rivista New Media & Society, potrebbe avere effetti psicologici negativi sulle persone con una bassa autostima, con possibili riflessi su vari aspetti della vita della persona.
Per esempio, l’associazione più grande del mondo di chirurgi plastici del volto riferisce che negli ultimi anni sono aumentate le richieste di interventi di chirurgia estetica. Nel 2022, tra le persone sotto i 30 anni la richiesta sarebbe aumentata notevolmente rispetto ai 5 anni precedenti. Una delle cause potrebbe essere (ma è ancora da dimostrare) il desiderio di somigliare di più ai visi “migliorati” dai filtri dei social come Snapchat e Instagram. Le immagini patinate dei social instillerebbero una paura dei propri difetti che alcuni giornalisti hanno battezzato “Snapchat dysmorphia”, ovvero “dismorfismo da Snapchat”. A contribuire potrebbe anche esserci il “selfie effect”, il fenomeno per cui il naso risulta più grande nelle foto scattate da vicino.
Potrebbe, allora, esserci anche una correlazione tra l’utilizzo dei social network e i disturbi del comportamento alimentare? In effetti, molti di questi, tra cui anoressia nervosa, “binge eating” (disturbo da alimentazione incontrollata, in cui si mangiano grandi quantità di cibo in breve tempo) e ortoressia (una rigida ossessione per un’alimentazione salutare), sembrano essere associati a un uso problematico di Internet. Confrontarsi con tanti corpi perfetti attraverso uno schermo potrebbe esserne una causa. Tuttavia, come emerge da una metanalisi pubblicata sulla rivista Nutrients nel 2019, i risultati delle ricerche in merito sono contrastanti.
L’uso dei social potrebbe influire negativamente sulla salute mentale anche in modo indiretto, in quanto può legarsi ad alcune abitudini che peggiorano il benessere. Chi trascorre tanto tempo online tende ad avere una vita abbastanza sedentaria, che predispone a un umore peggiore, anche perché può portare ad assumere cibi poco salutari. Secondo un articolo pubblicato sull’International Journal of Environmental Research and Public Health nel 2017, l’uso dei social è associato anche a una maggiore incidenza di sovrappeso, fastidi agli occhi e dolori dovuti a posture inappropriate.
Sappiamo poi che un frequente uso dei social media è associato a una cattiva qualità del sonno, che contribuisce appunto all’insorgenza di disturbi dell’umore (oltre a stanchezza, mal di testa, sovrappeso, problemi cardiovascolari e possibile insorgenza di tumori). Ma questo non stupisce, sapendo che circa 6 persone su 10 tengono il cellulare accanto al letto e spesso lo consultano tardi la sera o a notte fonda. Quest’abitudine talvolta sottrae ore di sonno, e guardare uno schermo prima di addormentarsi fa dormire peggio. La luce, infatti, fa interrompere al nostro organismo la produzione di melatonina, ormone che modula i ritmi del nostro organismo, e in particolare il ciclo sonno-veglia, inducendo il sonno e abbassando la fame e la temperatura corporea. Inoltre, alcuni contenuti stimolano l’attenzione e l’attivazione cerebrale, soprattutto quando richiedono un’interazione. Per un buon sonno, quindi, alcuni esperti consigliano smettere di usare (soprattutto attivamente) telefoni, tablet e televisione 1-2 ore prima di andare a dormire (e coricarsi prima delle 23:00).
Un altro elemento che può influire sul benessere psicofisico è l’isolamento sociale che può seguire a un uso eccessivo dei social media. Le ore trascorse online possono infatti sottrarre tempo a hobby o attività extrascolastiche, ai familiari e agli amici. E l’aumento dell’uso di Internet, dell’isolamento e di disturbi psicopatologici sono strettamente legati tra loro: è possibile, per esempio, che un maggiore uso dei social sia associato a una maggiore predisposizione a internalizzare i propri problemi piuttosto che a condividerli, secondo quanto emerge dai risultati, pubblicati sulla rivista JAMA Psychiatry, di uno studio su oltre 6.000 adolescenti statunitensi. Ma non è chiaro quali siano le cause e quali gli effetti: potrebbe trattarsi di un classico problema del tipo “è nato prima l’uovo o la gallina?”. Secondo quanto pubblicato sul sito dell’università giapponese Kyushu, quanto più una persona si isola fisicamente tanto più potrebbe tendere a usare Internet, magari come mezzo per tenersi in contatto con il mondo.
Per ottenere risultati che confermino una relazione tra il maggiore uso dei social media e un aumento dei casi di ansia e depressione abbiamo dunque bisogno di studi con più dati, sempre secondo il rapporto “Protecting Youth Mental Health” a cura del U.S. Surgeon General’s Advisory. Occorrono in particolare studi sperimentali ben progettati, anziché dati raccolti solo tramite questionari e osservazioni, notoriamente poco affidabili. Inoltre, negli studi occorre differenziare tra diversi tipi di utenti (per esempio per genere).
Ma luce e ombre possono convivere su questi potenti strumenti di condivisione sociale. I social hanno infatti anche aspetti positivi: consentono di stringere amicizie altrimenti irrealizzabili, di tenersi in contatto con le persone care, di trovare aiuto e conforto nella condivisione dei propri problemi con altri, o imparare a fare cose nuove, grazie alla grande disponibilità di corsi e tutorial online. Possono anche facilitare la condivisione di situazioni di disagio fino ad arginare problemi e favorire lo sviluppo culturale, come nel caso di #BookTok, una tendenza di TikTok che ha stimolato i giovanissimi a leggere di più. Per bambini e adolescenti, in alcuni casi, social media e videogiochi sono associati a migliori abilità spaziali, capacità di risolvere i problemi, pianificazione delle attività, socializzazione, motivazione e creatività. Per esempio, alcune persone giovani che appartengono alla comunità LGBTQI+ risultano essere tra le principali vittime di cyberbullismo, ma sono anche tra quelle che considerano i social media come una risorsa per sentirsi meno sole, per la possibilità di esprimersi e per ricevere sostegno.
Ma questi strumenti digitali possono costituire una risorsa solo se usati opportunamente: a piccole dosi, accanto ad abitudini sane come l’attività fisica regolare e un’alimentazione appropriata, con consapevolezza dei rischi e di come approfittare al meglio dei benefici. Nel caso dei bambini, è importante anche poter godere di un buon esempio su un uso equilibrato e non patologico dei dispositivi. Per questo è fondamentale l’intermediazione dei familiari e la spinta al gioco dal vivo con i coetanei, limitando l’uso di app educative.