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La lunga storia delle cartelle cliniche, dalle incisioni rupestri al digitale

Per l’umanità documentare le esperienze di salute è una consuetudine di lunghissimo corso: dalle incisioni rupestri che raffigurano possibili ferite ai manoscritti che testimoniano l’uso di rimedi erboristici e di interventi chirurgici, si arriva fino alle cartelle cliniche elettroniche, uno dei cardini della transizione digitale della sanità.

 

Il valore delle informazioni sanitarie dei pazienti non è certo una scoperta degli ultimi decenni: probabilmente, documentare le esperienze di salute è considerata da millenni una pratica utile al benessere delle persone, delle società e dei popoli. Questa inclinazione umana è infatti evidente fin dalle più antiche pitture rupestri di cui siamo a conoscenza, alcune delle quali risalgono addirittura a 64.000 anni fa. Una delle più antiche incisioni che sembrano raffigurare immagini di problemi di salute risale a circa 17.000 anni fa, quando nel Sud-ovest della Francia è stato raffigurato un uomo attaccato da un animale, evidenziando una delle prime testimonianze di una grave ferita. Da allora le immagini e le tracce grafiche di esperienze legate alla salute sono diventate sempre più numerose, oltre che più precise e dettagliate, fino alle vere e proprie cartelle cliniche, i documenti nei quali sono conservate le informazioni dei pazienti e delle loro malattie.

Insomma, le cartelle cliniche, in tutte i loro svariati formati, sono legate alla storia umana: hanno forse preso forma nell’ambito delle attività dei primi guaritori e studiosi del corpo umano, per poi evolversi in base alle conoscenze mediche di ciascuna epoca e allo sviluppo delle tecnologie di memorizzazione dei dati e del sapere. Dai primi segni nella roccia e ai geroglifici si è arrivati alle registrazioni su papiri e carta, fino ai moderni sistemi di memorizzazione elettronica: oggi, grazie alla diffusione su larga scala delle cartelle cliniche elettroniche, è possibile effettuare grandi passi in avanti nell’efficienza e nell’efficacia dei servizi sanitari, gestendo enormi quantità di dati in maniera tempestiva e favorendo la collaborazione tra gruppi di lavoro. Una transizione che ha contribuito a una maggiore accuratezza nelle diagnosi e nelle cure, accelerando i tempi di risposta e contribuendo a salvare vite in situazioni di emergenza.

 

Le “cartelle cliniche” al tempo dell’antico Egitto e dell’antica Roma

Tra i più antichi sistemi di scrittura usati per raccontare, tra le altre cose, problemi di salute, vi è quello cuneiforme utilizzato dagli Assiro-Babilonesi, dagli Ittiti e dai Persiani. Successivamente, con i geroglifici, gli Egizi hanno registrato storie di malattie e dettagli su diversi tipi di lesioni, forse principalmente a scopo educativo.

I primi manoscritti su papiro risalgono a circa il 2.500-3.000 a.C. Nei secoli successivi su questo materiale sono state registrate testimonianze di rimedi erboristici, interventi chirurgici e persino incantesimi utilizzati per curare disturbi. Del resto, gli antichi Egizi sono noti per l’accuratezza con cui hanno registrato pressoché ogni dettaglio della loro storia, grazie a migliaia di scribi altamente istruiti e designati a tenere traccia e memoria degli avvenimenti. Questi precursori dei più moderni amanuensi annotavano anche quasi ogni tipo di informazione medica, per quanto ne sappiamo per diffondere le conoscenze sulla salute in una maniera che, tutto sommato, non è poi troppo diversa da quella attuale.

Nei documenti prima dell’antica Grecia e poi dell’Impero Romano, in tema di salute si è ridotto via via l’accento su magia e astrologia, con un pensiero un po’ più rigoroso, avvicinandosi a un approccio più scientifico, per esempio con descrizioni della storia clinica e dei problemi di salute fisica e mentale dei malati. Nonostante ciò, le divinità erano ancora menzionate di frequente, in quanto si credeva che potessero causare (o alleviare) le malattie.

 

Verso lo sviluppo della medicina e dell’assistenza sanitaria

Un punto di svolta nell’evoluzione della raccolta e trasmissione delle informazioni sulla salute risale a molti secoli più tardi, in particolare al 1793, quando un ospedale di New York introdusse per la prima volta il cosiddetto libro delle ammissioni e delle dimissioni”, un pionieristico sistema di raccolta di informazioni cliniche dei pazienti da conservare nel tempo. Un decennio più tardi, il governo dello stato di New York stabilì che anche i medici domiciliari avrebbero dovuto documentare i trattamenti effettuati. Queste registrazioni, sebbene varie in qualità e spesso costituite da appunti scarabocchiati senza molti dettagli, segnarono l’avvio di un sistema di cartelle cliniche sistematizzate negli Stati Uniti. Per la prima volta il processo di memorizzazione delle informazioni cliniche era stabilito da norme chiare e precise, che stabilivano diritti e doveri dei professionisti del tempo, con anche l’intento di conferire uniformità alle cure.

Intorno al 1850, 4 ospedali, alcuni localizzati nella città di Londra, nel Regno Unito, e altri nella provincia dell’Ontario, in Canada, iniziarono a registrare tutti i propri pazienti in ciò che oggi potremmo considerare una iniziale banca dati, segnando così l’inizio della transizione verso le moderne banche dati mediche. Da allora, per tutto il resto del XIX e all’inizio del XX secolo, il numero di cartelle cliniche è aumentata in parallelo alla crescente specializzazione della medicina.

In questo periodo, precisamente nel 1911, il Regno Unito approvò una legge sulle norme delle cartelle cliniche per l’assicurazione sociale, una forma iniziale di mutua, mentre nel 1928 il Collegio americano dei chirurghi fondò l’Associazione dei bibliotecari delle cartelle cliniche del Nord America. Vennero così stabiliti alcuni standard per la raccolta delle cartelle cliniche negli ospedali di diversi Paesi. A partire dagli anni Sessanta, la maggior parte dei dati sanitari è stata trascritta utilizzando schede perforate e computer primordiali, un processo piuttosto lungo ma che rendeva le cartelle cliniche utilizzabili, tra le altre cose, per ricerche scientifiche e studi successivi. La documentazione cartacea rimase la forma più utilizzata di cartella clinica, da parte dei fornitori di assistenza sanitaria, fino agli inizi degli anni Duemila.

 

Le cartelle cliniche e la transizione digitale

Era il 2009 quando negli Stati Uniti l’“Health information technology for economic and clinical health act” iniziò a incentivare il passaggio delle istituzioni mediche all’utilizzo delle cartelle cliniche elettroniche, che in Italia sono entrate in vigore, per legge, ad aprile del 2014. Ma affinché la maggior parte dei medici, sia Oltreoceano sia in altre parti del mondo, iniziassero a usare in maniera sistematica i sistemi digitali, per esempio per le ricette mediche, è stata necessaria la pandemia di Covid-19. Questo passaggio epocale ha portato la maggior parte dei servizi sanitari nazionali ad affrontare una trasformazione rapida verso sistemi digitali, in modo da garantire assistenza domiciliare e una gestione efficiente dei pazienti anche al di fuori di ambulatori e strutture ospedaliere.

L’utilizzo su larga scala delle cartelle cliniche elettroniche può offrire diversi vantaggi. Può facilitare la comunicazione diretta tra gli operatori sanitari coinvolti nell’assistenza, i pazienti e coloro che se ne prendono cura; può ridurre le barriere di comunicazione tra diversi tipi di enti sanitari, come ospedali, ambulatori e studi medici. La cartella clinica elettronica contiene infatti dati cruciali, riguardanti diagnosi, prognosi e terapie per specifiche patologie, e offrire possibilmente una visione complessiva, se non completa, della storia clinica delle persone.

A questi sistemi si stanno via via integrando tecnologie come l’intelligenza artificiale e il cloud computing, che permettono di effettuare analisi sempre più massive e rapide dei dati. La promessa è che possano anche consentire predizioni più accurate e promuovere lo sviluppo di una medicina più precisa e mirata.

Naturalmente la “bontà” di tutto ciò dipende da come questi strumenti vengono utilizzati, dalle capacità e dai livelli di formazione degli operatori e dalla qualità dei dati. Dipende anche da un uso onesto e rispettoso delle leggi che tutelano la riservatezza dei dati sensibili e dovrebbero ridurre al minimo i rischi di accessi non autorizzati o abusi delle informazioni.

Il passaggio al formato digitale potrebbe comportare anche vantaggi ambientali e di efficienza, per esempio con la riduzione dell’uso della carta (anche se i grandi server consumano parecchia energia). Dovrebbe inoltre far risparmiare tempo e ridurre i rischi di errori umani.

La transizione digitale delle cartelle cliniche sta dunque, in principio, alla base di un servizio sanitario più collaborativo, sostenibile e all’avanguardia. Il percorso è però ben lungi dal dirsi concluso. Tra le questioni irrisolte vi sono la mancanza di interoperabilità tra sistemi diversi e frammentati e le differenze nell’alfabetizzazione digitale tra le persone e fra gli addetti ai lavori. Tutto questo andrà migliorato sensibilmente prima che le più avanzate tecnologie di memorizzazione, comunicazione ed elaborazione di dati siano davvero al servizio della salute umana.

 

Gianluca Dotti
Giornalista scientifico freelance e divulgatore, si occupa di ricerca, salute e tecnologia. Classe 1988, dopo la laurea magistrale in Fisica della materia all’università di Modena e Reggio Emilia ottiene due master in comunicazione della scienza, alla Sissa di Trieste e a Ferrara. Libero professionista dal 2014 e giornalista pubblicista dal 2015, ha tra le collaborazioni Wired Italia, Radio24, StartupItalia, Festival della Comunicazione, Business Insider Italia, Forbes Italia, OggiScienza e Youris. Su Twitter è @undotti, su Instagram @dotti.it.
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