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5 cose da sapere sul sonno

Perché dormiamo? Cosa succede al nostro corpo se non lo facciamo abbastanza? Quali sono le fasi del sonno? Cosa sono i ritmi circadiani? Ed è vero che la nostra necessità di dormire è determinata anche dal nostro DNA? Facciamo un punto sull’argomento in occasione della Giornata mondiale del sonno, o World Sleep Day, 2021.

È un fenomeno naturale che caratterizza fino a un terzo della nostra esistenza. Ma, osservato attraverso la lente della scienza e della medicina, il sonno è un processo tutt’altro che semplice e sono tante le cose che ancora non sappiamo su quel che succede al nostro organismo quando dormiamo. Oggi 19 marzo, in occasione della Giornata mondiale del sonno (o “World Sleep Day), proviamo a capire meglio come funziona, da cosa dipende la qualità del nostro sonno e come questo incide sul nostro benessere.

Perché – come recita lo slogan scelto per l’edizione 2021 della giornata mondiale, Sonno regolare, futuro in salute – non è mai troppo tardi per comprendere l’importanza di dormire meglio, o provare a capire come ovviare al problema delle notti insonni. Partiamo dai fondamentali: cosa succede al nostro organismo durante il sonno e perché, per quel che ne sappiamo finora, è necessario dormire.

Perché dormiamo?

Ciascuno di noi sa bene come si sente quando perde una notte di sonno, o se per un periodo dorme troppo poco: siamo innanzitutto confusi, una sorta di torpore ci rende meno lucidi del solito. E non è un caso: dormire, infatti, molto probabilmente serve innanzitutto a preservare il buon funzionamento del cervello, e gli studi portati avanti negli ultimi anni stanno rendendo sempre più evidente quanto un sonno ristoratore sia cruciale per la salute di quest’organo.

Dormire a sufficienza è di vitale importanza, in particolare, per la cosiddetta plasticità cerebrale, la capacità del cervello di adattarsi ad accogliere i diversi input che riceviamo quando siamo svegli e operativi: anche se mentre dormiamo ci sembra di non fare nulla, il nostro sistema nervoso centrale continua a elaborare stimoli, preparandosi ad affrontare le giornate a venire. Per questo, se non dormiamo, i circuiti che ci consentono di mantenere la concentrazione, immagazzinare nuovi ricordi, costruire ragionamenti si ritrovano in difficoltà.

Tra le ipotesi più recenti dei ricercatori vi è anche il fatto che il sonno possa favorire la rimozione dei prodotti di scarto dell’attività delle cellule cerebrali che si accumulano quando siamo svegli, un’attività di riordino e repulisti che sembra procedere in maniera molto meno efficiente durante la veglia. Gli interrogativi aperti in questo campo sono però ancora tanti.

Cosa succede al corpo se non dormiamo abbastanza?

Non esiste un “numero magico”, universale e valido per persone di ogni fascia di età, di ore di sonno necessarie per mantenerci in salute. I bambini, per esempio, hanno bisogno di dormire molto più a lungo di un adulto, mentre gli anziani tendono a sentirne meno la necessità. Dalle evidenze scientifiche finora a disposizione, sappiamo che, per una persona di mezza età, è salutare dormire circa sette ore a notte, tuttavia vi è una tendenza nella maggioranza delle persone a dormire meno del necessario.

Questo non è un bene, poiché, se da un lato molti dei processi coinvolti nel sonno sono ancora ignoti, è ormai chiaro che gli effetti della privazione cronica o prolungata di sonno, oltre che sulle funzioni strettamente cognitive, influiscono sull’umore oltre che sul funzionamento di molti tessuti e sistemi del nostro organismo, tra cui il sistema cardiocircolatorio, i polmoni, il sistema immunitario e quello endocrino.

Chi soffre di disturbi del sonno è quindi più suscettibile alle infezioni, ingrassa più facilmente ed è soggetto a un aumentato rischio di sviluppare diabete, depressione, ipertensione e altre malattie cardiovascolari.

Quali sono le fasi del sonno?

Mentre dormiamo, il nostro cervello compie azioni diverse. Ce lo dicono, tra le altre cose, i risultati dell’elettroencefalogramma, un esame non invasivo che permette di registrare come varia l’attività elettrica del cervello e di distinguere quelle che vengono convenzionalmente chiamate, appunto, fasi del sonno.

Le fasi principali sono due: la fase REM (acronimo di rapid-eye movement) e non-REM (che sta, al contrario, per non-rapid-eye movement), ciascuna caratterizzata da attività neuronali e onde cerebrali specifiche. Il cervello le ripete, ciclicamente, fino al risveglio, per un totale di 4-5 cicli a notte, iniziando con la fase non-REM, che include il passaggio dalla veglia al sonno, cioè gli istanti in cui ci addormentiamo, un primo intervallo di sonno molto leggero, durante il quale il ritmo cardiaco e del respiro variano e la temperatura corporea (leggermente) scende e, infine, un periodo prolungato di sonno profondo e ristoratore.

La fase REM, che come suggerisce il nome si associa al movimento rapido e incontrollato dei bulbi oculari sotto le palpebre chiuse, è caratterizzata da onde cerebrali molto simili a quelle che si registrano quando siamo svegli. È questa la fase più spesso associata al sogno, nel corso della quale la frequenza respiratoria aumenta e si fa più irregolare e i muscoli del corpo (tranne il diaframma, necessario per respirare) restano pressoché immobili: in questo modo evitiamo di muoverci e di mimare quel che ci accade (appunto) mentre sogniamo.

Chi decide quando dobbiamo andare a letto?

Il nostro corpo ha in dotazione un vero e proprio orologio interno, che regola i nostri personali ritmi di sonno e veglia attraverso diversi meccanismi biologici. Questi meccanismi sono il cosiddetto ritmo circadiano – termine che proviene dal latino circa, che significa “intorno”, e dies, cioè “giorno”–, e i processi legati all’omeostasi, una parola che in fisiologia è sinonimo di capacità degli organismi di autoregolarsi attorno a una condizione di stabilità e buon funzionamento.

Il ritmo circadiano concorre a regolare il rilascio di ormoni, il metabolismo e la nostra temperatura; è inoltre sensibile ai segnali ambientali, come le condizioni di luce e di buio e la temperatura del luogo in cui ci troviamo, e usa tali segnali per “sincronizzarsi” con la durata del dì e della notte. È il ritmo circadiano, per intenderci, che con i suoi stimoli ci spinge a restare svegli di giorno e a dormire di notte. Sembra che il cervello, in particolare una sua piccola componente interna chiamata ghiandola pineale, riceva il segnale della luce a partire dalla retina dei nostri occhi, e in base a questo regoli il rilascio di determinate sostanze, come per esempio la melatonina, la cui concentrazione raggiunge il valore massimo nel corso della notte, permettendoci di dormire. I problemi del sonno dovuti a spostamenti tra fusi orari molto diversi tra loro (il cosiddetto “jet lag”) dipendono proprio da uno “sfasamento” tra il nostro orologio interno e i segnali che ci arrivano dall’ambiente circostante. Non a caso chi viaggia di frequente assume spesso integratori a base di melatonina prima di coricarsi. Qualcosa di simile accade ai lavoratori notturni, che devono adattarsi a dormire nelle ore di luce e che spesso soffrono di disturbi del sonno.

L’omeostasi sonno-veglia è invece un insieme di meccanismi che il nostro corpo mette in atto per ricordarci di dormire, e che scattano in base a quante ore ci separano dalla nostra ultima dormita e al nostro livello di attività, un po’ come lo stimolo della fame sopraggiunge a comunicarci che l’organismo ha bisogno di nuove energie quando siamo piuttosto lontani dal nostro ultimo pasto.

Quanto hai bisogno di dormire? Risponde (anche) il tuo DNA

Alcune persone, al mattino, non vorrebbero mai alzarsi dal letto. Altre, invece, sono arzille anche dopo aver dormito pochissime ore, e la loro salute non risente del poco sonno. Dipende dal carattere? Dall’ambiente in cui vivono? Da abitudini e comportamenti? Stando alle ricerche degli ultimissimi anni in materia di scienza del sonno, si tratta piuttosto di una questione genetica.

In più occasioni gli scienziati hanno infatti individuato, in particolare grazie a esperimenti con animali di laboratorio, diversi tipi di mutazioni a carico di proteine coinvolte nella regolazione del ritmo circadiano e che hanno l’effetto di alterare le necessità di dormire dell’organismo. Chi presenta specifici geni mutati nel proprio DNA sembra avere la capacità innata di trovare ristoro anche dopo (per esempio) sei ore scarse di sonno. Se riuscissimo, in futuro, a riprodurre gli effetti di queste mutazioni attraverso trattamenti o farmaci, potremmo pensare di risolvere molti disturbi legati al sonno, o convivere più facilmente con ritmi di vita frenetici senza pagarne conseguenze sul piano della salute.

Alice Pace
Giornalista scientifica freelance specializzata in salute e tecnologia, anche grazie a una laurea in Chimica e tecnologia farmaceutiche e un dottorato in nanotecnologie applicate alla medicina. Si è formata grazie a un master in giornalismo scientifico presso la Scuola superiore di studi avanzati di Trieste e una borsa di studio presso la Harvard Medical School di Boston. Su Instagram e su Twitter è @helixpis.
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