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5 cose da sapere sulla narcolessia

Che cos’è la narcolessia? Quali sono le sue cause? C’entra anche la genetica? E quali sono le strategie di intervento a disposizione? Queste e altre curiosità su una condizione che riguarda circa una persona ogni duemila.

Il ciclo del sonno e l’alternanza dei ritmi tra il sonno e la veglia sono decisivi per il benessere psicofisico. Ogni loro alterazione può avere un impatto anche molto forte sullo stato di salute delle persone e sulla possibilità di svolgere in buoni condizioni le attività quotidiane. L’impatto può essere ancora maggiore in caso di narcolessia, una malattia che coinvolge il ciclo del sonno. Di cosa si tratta?

Ecco, in cinque passaggi, le principali caratteristiche di questo problema.

1. Che cos’è la narcolessia?

La narcolessia è un disturbo del sonno caratterizzato da una sonnolenza eccessiva durante il giorno o da episodi incontrollati e ricorrenti di sonno durante le consuete ore di veglia. La parola “narcolessia” ha alle spalle la radice greca “narco-”, che fa riferimento al sonno, e la contrazione della parola “epilessia”, che pone l’accento sull’origine neurologica del disturbo. La narcolessia è più frequente in età infantile, adolescenziale e nella fascia di età compresa fra i 30 e i 39 anni. Nel mondo l’incidenza stimata è intorno alle 25-50 persone ogni 100.000, perciò questo disturbo rientra tra le cosiddette malattie rare, anche se i numeri potrebbero essere diversi dato che quelli presi in considerazione sono stati ottenuti tramite metodi considerati non del tutto attendibili e oggettivi (essenzialmente questionari e interviste cliniche). Anche per questo oggi alcuni esperti ritengono che la narcolessia sia sottodiagnosticata o comunque spesso diagnosticata in ritardo. Ciò crea notevoli disagi per i pazienti che non possono beneficiare di cure adeguate.

Dal punto di vista clinico, la narcolessia è una forma di ipersonnia, cioè fa parte di quelle malattie che causano intensa e disturbante sonnolenza diurna. Si riconoscono due forme di questa malattia: la narcolessia di tipo 1 è accompagnata anche dalla cataplessia, cioè l’improvvisa perdita del tono muscolare. Essa può riguardare solo volto e collo oppure altre parti del corpo, tanto da provocare cadute, ma si può manifestare anche con movimenti attivi intermittenti. Spesso segue a intense emozioni, positive o negative. La narcolessia di tipo 2, invece, non è accompagnata da cataplessia.

2. Qual è la causa della narcolessia?

Le precise cause della narcolessia non sono ancora conosciute, anche se sembra ormai chiaro che la malattia ha origine nel sistema nervoso centrale e coinvolge i neurotrasmettitori che regolano le fasi del sonno e della veglia. Fin dagli anni Sessanta del secolo scorso è noto che nella narcolessia l’alternanza delle fasi del sonno non funziona secondo le modalità fisiologiche. La narcolessia può causare infatti colpi di sonno improvvisi durante i quali si entra subito nella fase del sonno REM, quello in cui si verificano prevalentemente i sogni.

Gli studi hanno messo in evidenza il ruolo dell’ipocretina (detta anche orexina), un neurotrasmettitore che regola l’alternanza tra veglia e sonno REM, e che sarebbe prodotta in minor quantità in chi soffre di narcolessia. Una bassa produzione di ipocretina si riscontra soprattutto nella narcolessia accompagnata da cataplessia. Si è ipotizzato ci sia una reazione di origine autoimmune alla base della perdita dei neuroni deputati, all’interno dell’ipotalamo, alla produzione di ipocretina. Questa reazione, stando ad alcune ricerche, sarebbe legata a infezioni virali o batteriche o ad altri fattori. Permangono ancora diversi dubbi sulle origini della narcolessia nelle persone con livelli normali di ipocretina.

3. Ci sono delle componenti genetiche?

Gli studi hanno evidenziato un fattore di rischio genetico collegato allo sviluppo di questa malattia, ovvero la presenza dell’allele HLA-DQB1*0602. Tuttavia, solo un portatore su mille di questo gene si ammala. Altre componenti genetiche sono state indagate in ricerche più recenti. In generale, le possibilità che un genitore trasmetta la narcolessia ai propri figli non superano l’1 per cento, anche se tra i fattori rischio di sviluppare la malattia è riconosciuta una componente di familiarità.

4. Come si effettua la diagnosi?

I sintomi che caratterizzano la malattia sono principalmente cinque: l’eccessiva sonnolenza diurna, che causa colpi di sonno improvvisi nelle più svariate situazioni; la cataplessia; la paralisi del sonno, tipica del sonno REM ma che si può verificare durante la veglia, nelle fasi in cui ci si sta addormentando o svegliando, e che per questo spesso genera spavento; le allucinazioni, che sono dette ipnagogiche quando si verificano all’atto dell’addormentamento e ipnopompiche quando si verificano al risveglio, e che talvolta possono fare capolino anche in momenti di piena veglia; e infine il sonno notturno disturbato, per esempio da risvegli frequenti o movimenti degli arti.

Alla narcolessia si accompagnano spesso anche altri problemi, come per esempio alterazioni metaboliche, disturbi alimentari e obesità (di frequente associati ai disturbi del sonno), patologie psichiatriche come ansia e depressione o malattie cardiovascolari.

Per la diagnosi, dopo l’anamnesi e l’esame obiettivo, si eseguono anche analisi specifiche, come la polisonnografia (che registra l’attività cerebrale, muscolare, oculare, cardiaca e respiratoria durante il sonno), il test di latenza multipla del sonno (che misura il tempo che il paziente impiega ad addormentarsi) e la scala di Epworth della sonnolenza (che misura il livello di sonnolenza diurna). Talvolta viene anche prescritta una puntura lombare per misurare la quantità di ipocretina, ma si tratta di una procedura invasiva, riservata ai casi dubbi. Sono anche disponibili strumenti per la valutazione di gravità, frequenza e impatto dei cinque principali sintomi della narcolessia, come il questionario che compone la “Narcolepsy Severity Scale (NSS).

5. Come si cura?

Non esistono vere e proprie terapie per la narcolessia, ma alcune strategie e aiuti farmacologici possono consentire una buona gestione dei sintomi e migliorare notevolmente la qualità della vita dei pazienti. Gli specialisti raccomandano la regolarità nei ritmi di sonno-veglia e un numero adeguato di ore di riposo notturno, cercando di addormentarsi sempre alla stessa ora. Un aiuto concreto nella gestione della sonnolenza può venire dalla programmazione di brevi sonnellini da 15-20 minuti distribuiti nel corso della giornata. Per contrastare l’eccessiva sonnolenza diurna, o sintomi come la cataplessia e le paralisi del sonno, è possibile intervenire con farmaci specifici.

Anna Rita Longo
Insegnante e dottoressa di ricerca, membro del board dell’associazione professionale di comunicatori della scienza SWIM (Science Writers in Italy), socia emerita del CICAP (Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sulle Pseudoscienze), collabora con riviste e pubblicazioni a carattere scientifico e culturale.
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